Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce
Genova
via Jacopo Ruffini, 3
010 580069 FAX 010 532482
WEB
Nostalgie
dal 12/3/2008 al 24/5/2008
martedi-venerdi 9 - 18.30, sabato e domenica 10 - 18.30

Segnalato da

Massimo Sorci




 
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12/3/2008

Nostalgie

Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce, Genova

L'istante e la durata del tempo. Genova, in passato punto di partenza verso terre lontane, oggi luogo in cui si concentrano persone che portano con se' la memoria e la nostalgia delle proprie radici, ha suggerito l'idea di questa mostra come un'indagine sull'assenza, sul limite evanescente tra presenza e ricordo. Una situazione indagata, con opere realizzate in periodi e luoghi diversi, da una serie di artisti contemporanei europei, africani, americani e asiatici. A cura di Angela Madesani.


comunicato stampa

A cura di Angela Madesani

Genova, città portuale, in passato punto di partenza verso terre lontane, oggi approdo di flussi migratori e luogo in cui si concentrano persone che portano con sé la memoria e la nostalgia delle proprie radici, ha suggerito l’idea di questa mostra che si è andata ridefinendo, nelle scelte della curatrice Angela Madesani, come un’indagine sull’assenza, sul limite evanescente tra presenza e ricordo. La migrazione e la memoria si configurano come una sorta di “passaggio verso l’altrove”: la condizione del viaggiatore si allarga così verso una più ampia e al tempo stesso indefinita dimensione esistenziale.

Accanto ai lavori di Senam Okudzeto (Ghana must go), di Zoe Leonard (Liberty N.Y.) o di Churchill Madikida che rimandano ad un preciso momento della loro vicenda personale e della storia del proprio popolo, altri artisti (Tullio Brunone, Ines Fontenla, William Kentridge, Adrian Paci, Kelly Schacht) declinano il tema di un’identità smarrita e fluttuante. Si tratta di lavori caratterizzati da una intensa tonalità affettiva che indagano sulla perdita delle proprie origini, sulla nostalgia di un luogo perduto o mai trovato, sullo smarrimento di relazioni, affetti, identità. Sulla stessa linea di ricerca ma con procedimento opposto, Beatrice Pasquali annienta la singola identità individuale attraverso una ripetizione seriale e quasi ossessiva delle immagini. I lavori di Francesca Woodman, artista morta suicida a soli 23 anni e di Roman Opalka – attivo da oltre quarant’anni - riflettono con sensibilità diverse sullo scadere del tempo, sull’avvicinamento inesorabile alla morte e sulla percezione dell’insufficienza essenziale che muove l’infinita produzione della vita. Mentre Elisabetta Benassi propone la cupa apocalisse post-uman di Tutti morimmo a stento, Anne e Patrick Poirier presentano il video girato da Alain Guillaume, intima testimonianza del loro unico figlio scomparso cinque anni fa. Anche le sculture di Federico De Leonardis, ispirate al poeta inglese Shelley annegato nel golfo di Lerici, rimandano alla tristezza e all’ineluttabilità della perdita.

La Natura - con il suo ciclo infinito di morte e di resurrezione – è vista quale possibile alterità con cui fondersi per abbandonare il mondo reale nella sequenza fotografica di Hiroyuki Masuyama o nel lavoro di Kristof Klute che rilegge la selvaggia bellezza dei fiordi norvegesi attraverso la sensibilità di Wittgenstein, grande filosofo che si ritirò in quelle zone all’inizio del ‘900. L’Islanda, altro paese nordico, luogo abbastanza grande per perdersi, ma sufficientemente piccolo per ritrovarsi è al centro dell’installazione di Roni Horn. Il rapporto con il territorio, in questo caso la stessa città di Genova, è presente nella ricerca fotografica di Vincenzo Castella, mentre nel film di animazione in 3D di Patrick Tuttofuoco uno stormo di uccelli sorvola lo spazio urbano. Le surreali maquettes di James Casabere comunicano invece la distanza dal luogo, un senso di non appartenenza che ritroviamo nelle geometrie stranianti dei “Mari” e dei “Drive-in” di Hiroshi Sugimoto (per il quale Francesco Bonami ha coniato la calzante definizione di “biografo del tempo”) o nell’impronta del letto sfatto in Beds di Lena Liv. Un sentimento di inquietudine è enfatizzato dalla serie di Gregor Schneider dedicata al personaggio immaginario di Annelore Reuen o dai grandiosi scenari naturali e urbani con cui Izuma Kaoru incornicia le morti misteriose di giovani eleganti figure femminili. Un identico processo di distacco coinvolge anche l’aspetto sociale nelle immagini di lavoratori occasionali scattate da Ingar Krauss o in The City of People di Craigie Horsfield, serie che si allontana dalle sue nature morte raggelate e sinistramente biomorfe per un momentaneo avvicinamento ad un uso più militante del mezzo fotografico. Alla base della ricerca artistica di Miroslav Balka c’è il processo di cancellazione che porta all’assenza del corpo umano – il corpo stesso dell’artista – che scompare, sostituito dalle sue tracce così come nel lavoro fotografico di Mathieu Abonnenc la rimozione del soggetto rende ancor più drammatica la scena. Infine, il tema del corpo-contenitore è al centro dei lavori di Patrick Raynaud.

L’accelerazione – secondo alcuni la fine - della Storia, il polverizzarsi dell’etica morale e delle tradizioni, unita alla nostalgia delle prorie origini, all’assenza di un’immagine del futuro e alla pervasività di modelli culturali omologanti sono alcuni degli elementi che caratterizzano il vivere contemporaneo. Una situazione che indagano – con opere realizzate in periodi e luoghi diversi - una serie di artisti contemporanei europei, africani, americani e asiatici. La mostra, allestita su entrambi i piani del Museo di Villa Croce, offre al visitatore un percorso tra fotografia, video, installazione, scultura. In catalogo testi di Angela Madesani, dello psichiatra Claudio Feruglio e di Sandra Solimano.

Inaugurazione 13 marzo ore 18

Immagine: Craigie Horsfield

Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce
Via Jacopo Ruffini 3, Genova
Orario: dal martedi al venerdi 9 - 18.30, sabato e domenica 10 - 18.30
Ingresso: intero 6 euro, ridotto 4 euro

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