Spazio incondizionato. L'artista nelle sue tele inventa, anzi ricicla, e racconta senza mai consegnare un reportage. La sua e' un'arte ricca di allegorie visionarie, tutte vere, nelle quali l'aspetto narrativo e' sottilmente preponderante.
“Deghe soto fioi”
Ordine del giorno dell’Ammiraglio Wilhelm von
Tegetthoff, di Maribor, Slovenia,
all’equipaggio della fregata corazzata austroungarica
Erzherzog Ferdinand Max
il 20 luglio 1866, nelle acque di Lissa.
L’arte è anche mistero, magia, odore, polvere, sudore,
freddo, fatica, attesa, eternità, birra. Vive un tempo
dal ritmo più antico del mondo. Ma oggi, il fiato
dell’arte soffia sempre meno in un paese dove la cultura
tradizionale e il tempo della vita sono in rapida
estinzione programmata. La delusione è che anche
nel catasto delle cose ‘nuove’ le proposte sono già
state fatte e soprattutto già viste da qualcuno. Ed
è proprio in alternativa a questa noia dello scoprire
senza neppure un po’ d’entusiasmo né di sorpresa
avanzi d’informale generico che si colloca l’esperienza
seguita da Albano Morandi. Convinto che l’arte
non deve inventare più nulla, ma solo cercare di perfezionarsi,
ci presenta finalmente delle emozioni e
anche un punto di partenza per la verifica del proprio
lavoro, della sua validità.
Morandi inventa, anzi ricicla, racconta senza mai riconsegnare
un reportage. È un’arte ricca di allegorie
visionarie, tutte vere, che concentrano uno strano fascino
e una grande suggestione, nelle quali l’aspetto
narrativo è sottilmente preponderante.
Ma la volubilità di fondo della persona Morandi, con
il suo inquieto distacco, e le sue segrete foga, esuberanza,
frammentarietà, è solo intuita nel suo lavoro
che è concentrazione riflessiva, consistente, densa.
Le declinazioni estetiche delle opere di Morandi si
dipanano in un racconto fatto di molteplici storie raccontate
allo specchio. Un taccuino Moleskine lasciato
aperto, un seducente mondo dei materiali, scritto
da opere in grado di raccontare e da composizioni
che vogliono gridare in uno spazio suasorio, illusivo e
allettante. Di fatto Stephane Mallarmé aveva avvertito
che “il mondo esiste per finire in un libro”.
È importante che le immagini esprimano la forza
racchiusa in esse stesse e non s’impongano per le
dimensioni. La forma diventa facoltativa, meglio: si
governa da sé, per l’urgenza dell’artista di concentrarsi
sui contenuti. Non è importante “chi” ma “che
cosa fa”.
Morandi ammicca, senza cedervi, a un manierismo
cristallino ed elegante, al citazionismo, dove la tensione
è sempre sotto controllo, mai perversa, ma si
agita in immagini che non soddisfano l’impulso, ma
certo esaltano l’esigenza di godimento estetico e l’indiscrezione.
Manifesta anche una grande preoccupazione di restituzione
nei suoi materiali apparentemente poverie riciclati, appassionati, eppure fissi. Sono immagini
effimere, sovente refrattarie all’immagine, che valicano
il confine dell’iconografia protagonista per portare
l’arte nel privato.
Morandi rapisce anime e sguardi per farne delle
icone.
È l’arte del vincere il senso e il controllo dello sguardo
per entrare nell’effluvio immateriale di sogni senza
fine. La linea di fuga è la frontiera che corre tra due
frammenti d’infinito. Tanto più se rappresenta un vivido
cinismo che ripetutamente imprime nella materia
e nella forma e nel colore un sigillo inquietante che
scandisce il tempo e lo spazio dell’opera.
Albano Morandi coglie l’attimo di silenzio interiore
che tende a raffigurare; ma è volutamente più brutale
e i suoi lavori, le sue parole, e ancor più le sue intenzioni
devono fare paura.
È proprio da questa riflessione continua, mai pedante
né formale, che Morandi trae la propria visione e la
traduce in forme e immagini. Questa coscienza informa
di sé l’uomo-Morandi in quell’eloquio rapsodico
che percorre vie segrete dall’iperbolico al metaforico,
dall’aneddoto alla citazione e che rendono audace
ogni sua avventura, affascinante ogni suo racconto,
seducente ogni sua complessa costruzione. Perfette
gabbie geometriche e temporali che urlano e gemono,
ma dettano poesia e tenera fragilità in un distacco
tenue eppur presente.
L’inquietante andamento compositivo destruttura le
composizioni di Morandi, ma ne rivela al contempo la
natura e, insieme, la sottile pericolosità. Ne recupera,
infine, le potenzialità liberanti.
Ma Morandi rimane profondamente intriso di quella
vocazione gioiosa e provocatoria, di quel gusto dissacrante
di una grande tradizione culturale, in una
generazione che incarna anche l’anima ludica, equilibrista,
spericolata e irrefrenabile di una gioia di vivere
che rasenta il rischio distruttivo e autodistruttivo.
Inaugurazione mercoledi 12 marzo 2008 ore 18
Cavenaghi Arte
via San Gregorio, 25 Milano
martedi/venerdi 15-19, sabato dalle 10 alle 12.15
sabato pomeriggio e domenica su appuntamento
ingresso libero