La mostra rende omaggio ai protagonisti del panorama culturale romano di quegli anni: artisti che furono legati tra loro da profonda amicizia e condivisero la prima gioventu'. Dipinti di Franco Angeli, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Gastone Novelli, Mario Schifano, Giulio Turcato.
Franco Angeli, Tano Festa, Giosetta Fioroni, Gastone Novelli, Mario Schifano, Giulio Turcato
Il 14 marzo si inaugura alla Galleria dell’Oca “Roma 1960 – 1965, allora. amici di strada”, esposizione dedicata agli artisti che appartennero alla generazione dei “favolosi anni Sessanta”.
E’ ormai così che si chiamano quegli anni, con una punta di verità, ma anche con un pericoloso e acritico “cliché” che spesso irrita chi li ha vissuti e sa bene come tanti di coloro che ora parlano con entusiasmo postumo di questi artisti, non seppero realmente apprezzare la loro opera.
La mostra vuole quindi rendere omaggio ai protagonisti del panorama culturale romano di quegli anni, autori di opere che rimarranno nella storia dell’arte, ma dare allo stesso tempo un racconto di vita di giovani artisti che furono legati tra loro da profonda amicizia, che condivisero quegli anni della prima gioventù e seppero viverli come per tradizione si voleva vivesse un artista: con tutta la forza, il coraggio e la creatività di cui disponevano.
La vita cominciava tra mezzogiorno e le due. Si incontrava per la strada o da Rosati Gastone Novelli, i tre fratelli Brunori, Gianni Novak, Maurizio Sacripante, Giancarlo Fusco, Giorgio de Dominicis, Piero Ciampi, Giancarlo Fini, Maurizio Costantini, Germano Lombardi che allora viveva con Giosetta Fioroni in una piccola casa a vicolo delle Orsoline, e tanti, tanti altri più occasionali. Gente che aveva un preciso codice di comportamento per cui si doveva essere ubriachi solo in piedi, sapendo reggere con garbo un bicchiere in una mano e una sigaretta nell’altra. A volte la giornata iniziava prima quando c’erano inaugurazioni alla galleria d’arte moderna, quando arrivava il raro collezionista da Milano o il gallerista, figura mitica milanese che andava negli studi per vedere i lavori. Questi personaggi erano molto attesi; se ne parlava molto prima che arrivassero, ma erano sempre deludenti perché venivano caricati di troppe aspettative. Milano allora era come la città della speranza, ma poi si rimaneva a Roma anche perché quando si decideva una partenza si perdeva regolarmente il treno.
Giulio Turcato il treno non lo perdeva mai: partiva le sera per Milano con dei rari accelerati scelti con cura che viaggiavano lentamente tutta le notte, per presentarsi con il suo pacco di quadri ancora freschi di colore davanti a qualche galleria, proprio mentre alzavano la saracinesca. C’è chi diceva li avesse fatti durante il viaggio, ma non si è mai trovato un testimone.
La sera molti artisti frequentavano il Rouge et Noir, un piccolo piano-bar in fondo a via del Vantaggio dove suonava un pianista famoso di nome Amerigo e dove ora si trova un garage. «Fu li che incontrai Giosetta che vi capitava insieme a Germano Lombardi. Mi piacque subito quel suo educato riserbo di studentessa o di collegiale che ha appena finito gli studi, una studentessa collegiale molto brava certo, ma che sembrava nascondere dietro un muoversi leggero ed esitante un suo piccolo mistero: come di una storia d’amore molto sofferta, ma aveva anche un’aria di saggezza.
Dei suoi primi quadri che vidi furono, come ho detto, quelli d’argento alla Tartaruga. Disegni d’argento sul bianco opaco della tela, immagini di donne e di ragazze, di dive hollywoodiane e di bellezze fatali anni Trenta, di bimbi e di bimbe. Impronte fugaci di volti e di gesti, di sguardi, ombre di momenti che passano per non più tornare e si fissano per un attimo nella nostra retina, frammenti sottratti al tempo, atomi dell’infinito e mai stabile organismo della vita collettiva. Presenze che appena fermate sono già ricordi. E’ certo che quelle mitologie visive del quotidiano, quelle impronte lievi degli idoli del nostro mobile orizzonte visivo bombardato da mille immagini e segni, avevano qualche parentela con la Pop Art che proprio in quegli anni diffondeva più compitamente il suo messaggio. E’ vero, ma quelle stupefatte, incantate immagini d’argento non sono soltanto citazioni ritagliate dalla vita di ogni giorno o fotogrammi ironizzati della volgare mitologia pubblicitaria: hanno una loro lieve essenza. Che, certo, è dovuta all’eleganza sofisticata del segno, alla leggerezza del rapporto tonale tra l’argento e il bianco della carta, ma che soprattutto rispecchia la lieve essenza dell’animo di Giosetta, il suo rapporto, lieve appunto, con la pittura» (Giuliano Briganti 1990).
In quanto a Tano, come ha scritto Giosetta Fioroni, «fu lui a indicare quel particolare intreccio di un sentimento che proveniva dall’arte metafisica italiana con le immagini che appartenevano al nostro mondo, quelle di una città che diventava metropoli: figure dei giornali illustrati, dei cartelloni, della pubblicità, dell’industria, della propaganda politica».
Gastone era il più sofisticato, un personaggio della Mittel Europa, sia come cultura che come fantasia di vita. Parlava correttamente il tedesco e Vienna e Parigi erano le sue città di riferimento, ma come tutti gli altri amava la luce e la sonnolenza di Roma.
Mario era allora molto sottile, naturalmente dotato di un’insinuante eleganza. Quando Michael e Ileana Sonnabend sbarcarono a Roma andando ad alloggiare a Passeggiata di Ripetta, si innamorarono subito di lui. E fu proprio Ileana ad acquistare i primi monocromi di Mario.
In quei tempi Franco faceva dei quadri neri (ne fece poi di bianchi e di verdi e di rossi) che erano così concepiti: sulla tela bianca tesa intorno al telaio attaccava delle calze di nylon aperte che diventavano come delle vele che poi dipingeva schizzando colori e segni. Il tutto veniva coperto da un velatino, o nero o verde o rosso, che sensibilizzava con poco altro colore intensificandolo in pochi altri punti. Di sacchetti di calze era pieno: tutte le ragazze, e le ragazze forse erano l’unica cosa che non gli è mai mancata, gliene regalavano perché felici di lasciare un pezzo di loro stesse in un’opera d’arte.
Interessante sembra oggi ricordare qualcosa di difficile identificazione, ma che appariva nei loro quadri, nelle loro opere, e che era stranamente collegata con la luce, l’atmosfera, l’obelisco… la geometria di Piazza del Popolo. Qualcosa di fortemente malinconico, in fondo, che riguardava Roma e i sentimenti di queste persone.
Il mondo tende ora a rivalutare questa “scuola di piazza del Popolo” e non si può che esserne contenti; ma il mondo non sa quanta difficoltà di vita e quanta sofferenza c’è stata dietro a quei bellissimi e vitali ragazzi degli anni Sessanta.
Immagine: Tano Festa, Camel
Inaugurazione venerdì 14 marzo 2008
Galleria dell'Oca Arte Contemporanea
Via del Vantaggio 45/46 a, Roma
Orari: martedì -venerdì 11 - 13:30, 14:30 - 20
sabato 11- 13:30, 14:30 - 19
ingresso libero