Cara Moldova. Reportage fotografico. Rappresentare la realta', selezionare porzioni di mondo visibile, raccontare le vite degli altri, interessarsi al sociale, essere dentro gli accadimenti. A cura di Maurizio G. De Bonis.
A cura di Maurizio G. De Bonis
Rappresentare la realtà, selezionare porzioni di mondo visibile, raccontare le vite degli altri, interessarsi al sociale, essere dentro gli accadimenti. Quello del reportage è un territorio impervio, ricco di insidie, spesso “sfruttato” in ambito fotografico in modo fuorviante. L’impostazione concettuale del fotografo che agisce nel reale deve necessariamente tener presente una sorta di codice etico. Occorre in primo luogo rispettare le esistenze e le realtà che di volta in volta si fotografano e in secondo luogo operare evitando con coscienza un comportamento narcisistico/colonialista. Chi si cala in un contesto estraneo deve prendere, nei confronti di ciò che intende raffigurare, una posizione non demiurgica/giudicante, né tanto meno procedere a una superficiale spettacolarizzazione descrittiva della sofferenza, del dolore e della povertà.
È proprio facendo riferimento a questi rigorosi principi che Alfredo Covino da diversi anni fotografa cercando di divenire parte integrante dell’architettura esistenziale e sociale che, ad ogni occasione, si trova ad attraversare. Le immagini di Covino non sono mai enfatiche, ridondanti, banalmente predatorie nei confronti della realtà. Si avverte in ogni suo lavoro un’evidente pulizia dello sguardo, una concezione pura del fare fotografia, una volontà di comunione nei riguardi chi si pone davanti all’obiettivo della sua macchina fotografica.
Tale impianto concettuale e stilistico è riscontrabile con assoluta chiarezza nel lavoro intitolato Cara Moldova. Definire questo approfondimento visivo un reportage sarebbe ridurre l’elaborazione di Alfredo Covino a mero intervento fotografico sulla realtà del paese dell’est europeo in questione.
L’autore, invece, ha indirizzato il suo percorso lungo due coordinate parallele che contribuiscono a edificare un affresco per nulla banale e prevedibile di un microcosmo (quello di Floresti e della famiglia Ciobanu), per altro inserito in un paese del tutto sconosciuto a noi europei occidentali. Da una parte, Covino sceglie di percorrere insieme a una famiglia moldava il viaggio di ritorno nella “terra delle radici”. In questo caso, dunque, il fotografo finisce per essere allo stesso tempo artefice di un “ritratto collettivo” e parte di questo ritratto, attraverso il suo stesso sguardo. Il suo è l’atteggiamento di un individuo che intende comprendere l’altro senza raffigurarlo attraverso scontati stereotipi. Da un’altra parte, Alfredo Covino tende a elaborare una sorta di mosaico-diario visuale sincero, impostato su uno “stupore” della scoperta che lo porta a inquadrare gli elementi con i quali interagisce in modo mai convenzionale.
Esce fuori da questa scelta espressiva, un affresco poetico di un paese che trova una sua dimensione lirica nella rappresentazione degli spazi vuoti, negli echi delle architetture industriali, nella dimensione sospesa del tempo, nella “normalità” dei comportamenti dei protagonisti del racconto. L’autore si sofferma con delicatezza formale sui volti delle persone e sulle loro attività quotidiane, intime, e procede dunque a una sorta di catalogazione visuale dei sentimenti con i quali ha dovuto confrontarsi. Ciò che emerge è la raffigurazione, per certi versi misteriosa e lirica, di ambienti, usi e costumi che noi italiani non conosciamo e che spesso interpretiamo attraverso il filtro nefasto del pregiudizio e del luogo comune, spesso causato dalle distorsioni generate dai mass media.
In Cara Moldova, Alfredo Covino mette a disposizione di tutti, il suo sano approccio anticolonialista, per delineare un universo che poi, a ben guardare, non sembra così lontano dal nostro. In sostanza, opera creativamente in modo politico, cioè prende posizione dando alla fotografia una funzione morale di comunicazione tra realtà apparentemente distanti e tentando di mettere sullo stesso piano i soggetti ripresi e i fruitori delle immagini, nella consapevolezza che non vi sia alcuna gerarchia di valori tra gesto artistico/fotografico, azione quotidiana anonima e fruizione delle immagini.
Alfredo Covino è dunque un fotografo autenticamente democratico e ugualitario, è un osservatore della dimensione umana colta nella sua “enigmatica normalità”, un autore interessato esclusivamente a ciò che fotografa e non a edificare una sua immagine glamour, secondo quelle che sono le tendenze controproducenti del sistema-fotografia dei giorni nostri.
Maurizio G. De Bonis, curatore della mostra
Biblioteca Rispoli
piazza Grazioli, 4 - Roma