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Milanopoli
dal 8/5/2008 al 5/6/2008

Segnalato da

Matteo Lucchetti




 
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8/5/2008

Milanopoli

NABAsite, Milano

Un'indagine sulla citta' di Milano. Un progetto nato all'interno del workshop sulla pratica curatoriale tenuto da Jens Hoffmann per il primo anno del Bienno in Arti Visive e Studi Curatoriali. Al suo interno 4 mostre, 4 tracce di ricerca eterogenee sulla citta', la sua popolazione, i suoi spazi, le sue attivita' e le sue dinamiche interne.


comunicato stampa

Un progetto nato all’interno del workshop sulla pratica curatoriale tenuto da Jens Hoffmann per il primo anno del Bienno in Arti Visive e Studi Curatoriali. Al suo interno quattro tracce di ricerca eterogenee sulla città, la sua popolazione, i suoi spazi, le sue attività e le sue dinamiche interne.

MILANOPOLI. Un’indagine sulla città di Milano.

Milanopoli è un’indagine sulla città di Milano, articolata in quattro tracce di ricerca.
La mostra prende il nome dalla connessione esistente – a livello di toponomastica – tra il gioco del Monopoli e la città di Milano, che caratterizza il punto di partenza di uno dei lavori e rappresenta, più globalmente, l’intera mostra per l’approccio di mappatura, a diverso titolo, che i quattro percorsi condividono. Nato come progetto di ricerca all’interno di un workshop sulla pratica curatoriale tenuto da Jens Hoffmann, Milanopoli è stato interamente pensato e realizzato dagli studenti del Biennio in arti visive e studi curatoriali, con la ricerca, spesso, di contatti e collaborazioni esterni a NABA.

Nell’eterogeneità delle quattro tracce si è vista coinvolta la città di Milano negli aspetti più disparati della sua realtà, passando dal complesso problema degli spazi abitativi ad un’analisi storica dei movimenti underground dal dopoguerra ad oggi; e ancora, dal coinvolgimento dell’associazionismo legato all’arte contemporanea fino alla creazione di un kit per un “turismo critico” verso l’estetica dello spazio pubblico urbano.
Terreno comune tra le ricerche è la mappa della città a terra – sintetica e semplificata nei nove colori del gioco da tavolo citato – come momento di incontro e punto di ritorno dei quattro progetti curatoriali.

PEER TO PEER
a cura di Matteo Lucchetti, Giulia Paciello, Mila Popdimitrova e Pietro Rossi

“Per Peer to Peer si intende, tecnicamente, una rete di due o più computer in cui tutti gli elaboratori occupano la stessa posizione gerarchica, una modalità normalmente conosciuta con il termine gruppo di lavoro, in antitesi alle reti in cui è presente un dominio centralizzato.”

Peer to Peer nasce come dispositivo nel quale convogliare una selezionata rappresentanza delle associazioni culturali milanesi legate all’arte contemporanea, col fine di attivare una riflessione sul rapporto esistente tra territorialità e associazionismo. Allontanandosi dall’idea di un’indagine esaustiva e scientificamente condotta, si è scelto di relazionarsi con le varie associazioni attraverso una metodologia ludica, invitandole a ripensare ad un’ipotetica ricollocazione all’interno delle nove zone amministrative della città di Milano; partizioni totalmente sconnesse da un’identità storica, di quartiere o di comunità. Il gioco – ispirato per forme e colori al Monopoli per il suo legame con la toponomastica meneghina – diventa un mezzo per far emergere una cartografia di Milano costruita attraverso l’attività delle associazioni, letta tramite un lavoro di tipo community based oppure rivolto ad una collettività non specifica, ma spesso frutto di una percezione della contemporaneità più diretta e meno mediata rispetto ai luoghi istituzionali.
Un approccio relazionale che continua fino all’ultima fase del progetto, con un coinvolgimento del pubblico per la creazione di una piattaforma on line, nella quale annullare qualsiasi divisione fittizia interna alla città e creare possibili ''gruppi di lavoro'' e altrettanti punti d'incontro.

EVERYTHING HAS ITS RIGHT PLACE
a cura di Paolo Caffoni, Arianna Carcano, Miriam Parra e Lorenzo Tamai

Le trame narrative delle città contemporanee non sono continue, perché patiscono distruzioni o trasformazioni caotiche, o semplicemente perché una pianificazione inadeguata lascia fra le maglie di spazio urbano alcune porzioni o particelle senza scopo. Sono luoghi accidentalmente residuali, di bassissima densità volumetrica, o costruzioni abbandonate da anni per i più vari motivi: politici, sociali ed economici.
L’idea guida del progetto è stata lavorare sull’elemento abitativo per ripopolare gli interstizi urbani attraverso una nuova soluzione tipologica: quella dell’”informalità abitativa”. Informale è la situazione abitativa caratterizzante l’abusivismo e il nomadismo moderno all’interno della città, una condizione di deriva che, applicata ad un “formalismo del diritto” ormai sedimentato ed astratto, si adegua alla nostra realtà. Ecco allora come in situazioni di emarginazione, l’informalità abitativa si costituisce come garanzia di un accesso al diritto all’abitare, altrimenti negato.

Il lavoro di alcuni artisti e designer elabora alternative atte a colmare quelle mancanze e quei vuoti che il piano di sviluppo modernista ha lasciato in eredità ai giorni nostri. Everything has its right place è infatti l’enunciazione di una condizione utopica irrisolta, la discrepanza fra un progetto e il suo esito. Il fallimento di una pianificazione globale che solo ora una serie di insorgenze locali sta cercando di risolvere.

ImagEtica
a cura di Anita Gazzano, Valentina Maggi e Jose Roberto Shwafaty Siquiera

ImagEtica non ha l’intento di proporre un “nuovo programma visuale” per la città, ma tenta di evidenziare alcune sue caratteristiche, alcuni suoi problemi, le sue bellezze ed alcune situazioni specifiche. Attraverso un approccio critico ed estetico reso possibile tramite l’utilizzo di opere di alcuni artisti, sono stati creati diversi materiali, sovvertendo i luoghi e le idee originali per un possibile “turismo critico”: una sorta di kit di informazione estetico visuale. Il display che abbiamo scelto per questo progetto è connesso direttamente all’idea di un’informazione guida vendibile e rivelatrice di micro situazioni così come di altre più estese. Si può anche trattare di un luogo fisso, una sorta di piccolo archivio con le opere e la documentazione della loro produzione, ma può anche essere una sorta di esposizione tascabile: un kit informativo per turisti, distribuito presso gli aereoporti o le stazioni, negli uffici per il turismo oppure nei luoghi di interesse culturale. Può inoltre essere ristampato, e per questa sua caratteristica, avere una maggiore longevità espositiva.

MOLE HILLS
a cura di Valentina Angeleri e Michele D’Aurizio

I movimenti undeground giovanili hanno agito nel sottosuolo dei sistemi dominanti, scavando come talpe verso il basso e lasciando sulla superficie della città cumuli di terra smossa. L'indagine qui presentata racconta questi cumuli - in inglese: mole-hills - nel panorama milanese dal secondo dopoguerra ad oggi, focalizzandosi sul rapporto tra movimenti e territorio urbano. Racconta l'uso - di volta in volta inedito - che bande di quartiere, teddy boys, beat, punk, writers hanno fatto della città. Racconta come le dimensioni minime degli alloggi nelle case di ringhiera abbiano portato gli abitanti a riversarsi in strada e ad identificarsi con l'identità del proprio quartiere; come l'edilizia popolare abbia sovvertito quella stessa identità, favorendo il formarsi di gruppi trasgressivi e spesso violenti come i Teddy Boys; e poi: come le invasioni del centro storico da parte dei primi beatnik, così come il primo ed unico esempio di comune metropolitana a Milano, siano stati brutalmente repressi; come il fenomeno punk, nato nelle periferie ma presto riversatosi nel centro cittadino, nelle periferie sia poi tornato, relegandosi in spazi chiusi destinati all'autoreferenzialità; e infine come oggi solo i writer continuino a dialogare con il territorio urbano, sebbene agendo sempre unicamente sulla superficie della città. ''Mole-hills'' è la storia di utopie collettive a cui Milano ha negato lo spazio vitale. E in quanto tale è un invito a uscire dalle tane e a riprendersi la città. Be underground but be it above ground.

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via Darwin, 20 (Nuova Accademia di Belle Arti) - Milano
Ingresso libero

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