Maurizio Caiazzo
Giuseppe Cannistraro
David Cesaria
Giuseppe Ciraci'
Enza Clapis
Lorella Giudici
Iter, 5 Artisti milanesi: Maurizio Caiazzo, Giuseppe Cannistraro, David Cesaria, Giuseppe Ciraci' e Enza Clapis. "Nel loro svelamento del reale, gli artisti non hanno fatto altro che "aggiustare" il nostro sguardo, posizionandolo in modo che la nuova angolazione aiuti a penetrare meglio le cose e il guardare diventi vedere, non solo, ma anche l'immagine che ne resta (sul dipinto e nella memoria) sia sinonimo di essere e non di apparire" (Lorella Giudici)
Maurizio Caiazzo, Giuseppe Cannistraro, David Cesaria, Giuseppe Ciracì e Enza Clapis
testo critico di Lorella Giudici
SPAZIO 22 ospita in via balme, 22 a torino, cinque Artisti milanesi. Scrive Lorella Giudici:
"Verità o illusione?
C'è una frase di Bertolt Brecht che credo sia particolarmente adatta ad essere posta come incipit di questo scritto, un breve aforisma che, se non ricordo male, recita pressappoco così: "Solo ammaestrati dalla realtà potremo cambiare la realtà". Un assunto che ci porta dritti dritti al cuore di questa mostra, nella quale tutte le opere selezionate paiono essere state dipinte proprio per chiarire l'aforisma brechtiano.
E' infatti dal reale che partono Maurizio Caiazzo, Giuseppe Cannistraro, David Cesaria, Giuseppe Ciracì e Enza Clapis. Osservano e ci restituiscono, come riflessa in uno specchio, l'immagine del mondo: l'angolo di una strada, il volto di una donna, lo scorcio di una città, gli oggetti di tutti i giorni, i cartelloni pubblicitari, il traffico cittadino… Tutte cose che conosciamo, ma allora perché ci appaiono così diverse, perché da un lato abbiamo l'impressione che ci appartengano e dall'altro ci sembra di vederle per la prima volta?
La risposta è nella massima di Brecht, che sibillinamente suggerisce il percorso gnoseologico: conoscere per cambiare. Nel loro viaggio nel reale, anzi, forse sarebbe meglio dire nel loro svelamento del reale, gli artisti non hanno fatto altro che "aggiustare" il nostro sguardo, posizionandolo in modo che la nuova angolazione aiuti a penetrare meglio le cose e il guardare diventi vedere, non solo, ma anche l'immagine che ne resta (sul dipinto e nella memoria) sia sinonimo di essere e non di apparire. Ma facciamo qualche esempio, che forse aiuterà ad essere più chiari.
Le pitture di Giuseppe Cannistraro ci portano nelle stazioni della metropolitana. I luoghi, abitualmente affollati, sono qui inspiegabilmente deserti e silenziosi. I portelli girevoli degli ingressi restano immobili, mentre le luci dei neon mandano bagliori malinconici e uggiosi. Un leggero velo di acqua sembra ricoprire tutte le cose, conferendo all'immagine un'aria nostalgica, meditativa, a volte sottilmente delatoria: cosa pensare di quello sparuto ragazzo, infagottato in giaccone e cappello, davanti a gigantesche pubblicità di preziosi e di miracolosi rimedi terapeutici?
Anche con Enza Clapis rimaniamo in città e ancora una volta siamo avvolti dal silenzio. Nelle sue vie, per quanto congestionate dal traffico (file interminabili di moto, tram, auto), non c'è un rumore, tutto s'immobilizza in un colore greve. Il silenzio della città, è, non a caso, il titolo di una delle tele, dove il grigio plumbeo che colora palazzi e mezzi si accende di rosso solo quando segnala un divieto di sosta, colora la carrozzeria di una macchina (quella in primo piano) o quando incornicia con due cerchi due finestre. Per il resto è una visione pressoché magrittiana, pietrificata com'è in quella colata di rigido cemento.
Cesaria, Ciracì e Caiazzo si concentrano invece sulle persone, anche se in modo diverso. David Cesaria traduce, con pennellate dense e pastose, quadretti famigliari, scene conviviali, momenti di vita domestica, ma la presa così ravvicinata e l'uso di una luce che non descrive, ma cancella e consuma, carica questi ricordi (perché è di questo che si tratta) di un inconsolabile rimpianto. Si è colti da una leggera inquietudine anche davanti alle Falene di Maurizio Caiazzo: volti di uomini e donne apparentemente nudi (per la piccola porzione di corpo che ci è consentito di vedere), con indosso solo una maschera nera, a forma di farfalla. Divinità o comuni mortali? Realtà o pura immaginazione? Non è facile rispondere, ma una cosa è certa: lo sguardo inquisitore dei loro occhi non lascia né completamente indifferenti né del tutto tranquilli. Di tutt'altra natura sono i personaggi dipinti da Giuseppe Ciracì. Attraverso quei loro occhi spalancati e attoniti si scopre il mondo: stupefatto e misterioso per il bimbo, preoccupante e allarmato per il vecchio. Sono immagini che Ciracì ruba alla vita e alla memoria, sono frammenti che raccoglie qua e là per scrivere quella storia che non è fatta di eroi, ma di piccoli gesti e uomini comuni, per non lasciare che la preziosa eredità del singolo si perda nella notte dei tempi.
A questo punto, abbiamo capito che se tutti loro guardano al reale è per uscirne, per fare in modo che il vero diventi storia, racconto e ricordo perché, come diceva George Sand: "L'arte non è uno studio della realtà positiva: è una ricerca della verità ideale".
Lorella Giudici
Immagine: dipinto di Giuseppe Ciracì
Vernissage 10 maggio ore 18.30
SPAZIO22
in via Balme 22 a Torino