Tra caos e cosmo, verso l'infinito. La sua vicenda artistica parte dalla realta', dalla natura, dalla pittura in presa diretta che vuole rimanere fedele alla figura. Una figura da modificare fino al punto da renderla molte volte non piu' riconoscibile.
Il prossimo 24 maggio, presso il Museo Diocesano di Mantova, si inaugurerà, alle ore 17.00, una mostra personale dell’artista Gino Viviani “Tra caos e cosmo, verso l’infinito”, patrocinata della Provincia di Mantova, Comune di Roverbella e del Comune di Carugo.
Durante la vernice il Direttore Mons. Roberto Brunelli saluterà i presenti, mentre la mostra sarà presentata da Mauro Corradini. Successivamente, alle ore 18.30, si proseguirà l’inaugurazione dell’esposizione questa volta alla Galleria “Arianna Sartori” di Via Ippolito Nievo 10, dove Arianna Sartori darà il benvenuto e il critico Mauro Corradini terminerà la presentazione.
La rassegna allestita dall’Arch. Alberto Rubberi, è supportata da un catalogo curato da Giorgio Upiglio, con testi di Roberto Pedrazzoli Assessore alla Cultura della Provincia di Mantova, Alessandra Madella Vicesindaco del Comune di Roverbella e la presentazione del critico d’arte Mauro Corradini.
L’esposizione, che resterà aperta al pubblico fino al 12 giugno alla Galleria Sartori e fino al 15 giugno al Museo Diocesano, è stata realizzata grazie alla collaborazione di “Edil-one srl”, di “Gruppolicromatico”, “MB impianti” e “Teclumen”.
Gino Viviani: tra caos e cosmo, verso l’infinito
di Mauro Corradini
1, 1. Attorno alla metà degli anni novanta, poco più di un decennio or sono, Gino Viviani sembra giungere alla conclusione della lunga pagina neonaturalistica, che aveva praticato in pittura. Quando, terminati gli studi e intrapresa la professione di radiologo, può finalmente consentirsi spazi di personale ricerca in quell’ambito che è, ed è stata, la sua passione, Viviani dà spazio all’individuale tendenza espressiva, che si manifesta in una pittura che pur affrontando tutti i generi consueti della tradizione novecentesca, si dedica essenzialmente al paesaggio. In questa fatica-passione non c’è solo l’individuale talento; ci sono, a monte, le esperienze di pittura del nonno e del padre: la contiguità con una vicenda creativa familiare appare a chi scrive stimolo e retroterra assai più che significativo. Le opere con cui abbiamo voluto aprire questa vasta antologica imperniata sull’ultimo decennio del pittore costituiscono la conclusione della precedente, quarantennale, esperienza pittorica; sono opere che ben si collegano con la sua storia, ma, per chi come noi ne conosce gli esiti, sono al tempo stesso gli incunaboli della storia successiva, sono i chiari segnali di una nuova storia che attraverso questa mostra viene presentata per la prima volta. Come in ogni evoluzione, anche radicale, rimangono ed emergono le tracce di un passato non sconfessato e dimenticato; ormai lontano, più lontano forse di quanto non dicano gli anni, una sorta di controluce o controcanto, che appare per accenni, sussulti, fremiti, prelude e annuncia, indica e suggerisce.
Viviani si è venuto allontanando dal modello evocativo che ne ha caratterizzato l’iniziale cammino: “Creazione” titola Viviani l’ultima tela del 1996, che chiude emblematicamente il catalogo della personale tenuta nella Cappella di Sant’Anna presso il Kunstverein di Passau; e mai titolo è stato più appropriato, non solo nei confronti dell’immagine da cui partiamo, ma soprattutto come soglia, linea di partenza (e di confine) dell’arte che Viviani verrà compiendo a partire da quella data. E basterebbe volgersi un po’ indietro, tra le pagine del catalogo indicato, per trovare ampie conferme dell’imminente passaggio da una pittura ancora tutta calata nella natura ad una poetica che scopre una diversa natura, legata all’immaginazione, legata a forme che criticamente dobbiamo definire più astratte: da “Il cielo si fa mare” (1996) a “Essere” (1995), da “Mare eterno” (1995) ad “Armonie ricorrenti” (1995), fino alla “Grande luce” del medesimo anno, ci si trova immersi in una pittura che, nel permanere del naturalismo evocativo, nel riaffermare il valore di colloquio con la natura che è stato carattere costante della vicenda artistica di Viviani, indica chiaramente i segni certi di un’evoluzione ormai prossima, imminente.
Per chi, come chi scrive, giunge a riflettere sull’opera di Viviani a distanza di alcuni anni dalla storia che si è richiamata per accenni, per chi alle spalle ha ormai le belle ed esaurienti pagine critiche di Sanesi e Alzani, di Fabiani e Passoni, di Upiglio e Nikolaus Schad (figlio del grande “realista magico”) che lo presenta a Passau, per chi riflette oggi sull’opera recente di Viviani diviene necessario rifarsi all’intera vicenda poetica di un artista che ha attraversato la seconda metà del secolo, si è formato sulle esperienze dell’ultima tradizione, non travolta dalle neo avanguardie che hanno mutato non solo la nostra percezione, ma le stesse procedure; guardare Viviani oggi nella pagina che costituisce l’impianto poetico di questa esposizione significa fare i conti con un passato da cui si è allontanato, senza cancellarne la portata poetica; una storia, quella dell’artista, ormai già scritta, misurata e catalogata in un archivio quasi del tutto definito.
Quella di Viviani, pittore per “diletto”, avendo scelto come professione quell’altra indagine sulla realtà che scandagli il corpo umano attraverso il laboratorio ospedaliero di radiologia, è una vicenda complessa. Il Nostro pittore giunge all’arte per passione, è un autodidatta che può frequentare quotidianamente lo studio paterno, insegue la pittura a fianco degli studi e dell’attività professionale; è un “dilettante” con una straordinaria carica professionale, che non possiamo definire nelle consuete categorie, dal momento che il suo percorso artistico, fin dall’origine, nella fedeltà ad alcune coordinate linguistiche, segnala una scelta e un’appartenenza davvero esemplari. Ed emblematiche.
1, 2. La vicenda artistica di Viviani parte dalla realtà, dalla natura, dalla pittura in presa diretta, in parte sulla scorta dell’esperienza paterna, in parte sulla scelta di una generazione, che pur avvertendo le novità linguistiche che le neo avanguardie venivano portando in gioco a partire dalla metà degli anni cinquanta (Viviani ha quasi trent’anni; è un neo laureato in medicina, e si inserisce con autorevolezza nell’ambito di un lavoro in costante evoluzione) vuole rimanere fedele alla figura, al motivo prelevato o ritrovato nella realtà; da decantare e ricomporre, da modificare fino al punto, dopo averla lungamente e dolorosamente rivoltata dentro l’animo, da renderla molte volte non più riconoscibile. Nella storia del dopoguerra, non ancora compiutamente esaurita alla metà degli anni cinquanta, la visione naturalistica era stata investita dalla poetica informale; l’ultimo romanticismo si veniva declinando attraverso i grumi di una materia che gridava un’impossibilità, denunciava una sconfitta (quella dell’uomo europeo, riemerso dai gorghi della seconda guerra mondiale, dalla catastrofe del nazismo, dall’incredibile barbarie dei campi di sterminio); e all’informale sembra collegarsi inavvertitamente tutto il percorso di Viviani, il suo sguardo sulla realtà, a volte per distaccarsene fino a giungere all’osservazione quasi dettagliata, a volte immedesimandosi in essa, quando la natura, con le sue tensioni, sembra esprimere essa stessa i sussulti delle coscienze confuse.
Il cammino di Viviani si propone come una ricerca che senza volersi mai distaccare dalla realtà naturale, dal neonaturalismo, tenuto a battesimo dalla grande scrittura e intuizione di Francesco Arcangeli, declina immersione nei fluidi materici e rappresentazione, aspira ad una figurazione, disciolta in mille rivoli in cui dominante diviene l’emozione del segno, l’espressività delle cromie, a volte l’irruenza lacerante del gesto, che vuole ridare vigore ai rugosi ispessimenti del colore.
Viviani nella scelta del paesaggio tende ad un tempo a rimanere fedele al prelievo, alla realtà, senza rinchiudersi nelle descrizioni di un realismo che viene, dopo l’impegno del primo decennio post bellico, sciogliendosi in una narrazione aneddotica. Nella scelta, forse inconsapevole, aggalla il privilegio dell’emozione, che accompagna con la sua forza la comunicazione pittorica dell’artista lombardo.
Verso tale soluzione, cui approda alla metà del decennio novanta contribuisce non poco la calcografia; è il lavoro nell’atelier con Upiglio a dare un tono nuovo alla ricerca di Viviani (e si leggano sul catalogo indicato le parole intense dello stampatore e amico, le sottolineature per il gusto sperimentale che sembra dominare entrambi nel momento magico del foglio umido che si scopre, con impressi i segni prima tracciati sulla lastra; si comprenderà come e quanto un lavoro congiunto sia necessario per certi risultati). Il rigore del bianco e nero da una parte, la necessità di dilatare nel tempo il risultato (progettualità, esecuzione, stampa), la forza del segno che traduce e sintetizza l’universo, nella cui contenuta espressività ogni forma diviene altro, astratta, tutto favorisce in Viviani il passo decisivo verso l’ultimo cammino, che noi percorriamo nelle due sedi espositive della città d’origine della sua famiglia (nato a Milano, in realtà Gino Viviani è d’origine mantovana). Sciolti i nodi che lo collegavano con la realtà naturale, ridotta o ricondotta l’immagine a quell’emozione che non ha bisogno di narrazione, a cui basta un’evocazione per cromie e ritmi compositivi, Viviani si muove speditamente verso i nuovi territori che costituiscono l’ultimo decennio artistico di un autore, che a sessant’anni ritrova una nuova, inattesa probabilmente anche per lui, primavera espressiva.
2, 1. La pagina recente del pittore transita dalla terra al cielo, dalla natura ripresa e tradotta in flussi sentimentali ad una nuova realtà, in gran parte frutto non più dell’occhio che scruta il mondo, ma di una riflessione pittorica, di un’emozione interiore, di una memoria che ormai non vuole mediazioni evocative, ma si espande liberamente e direttamente utilizzando i percorsi dell’immaginario. Il nuovo ciclo, che potremmo definire dal caos al cosmo, dal mondo celeste al mondo interiore, perde inizialmente, e quasi completamente, il colore; vive su una forza segnica nuova, sull’intrusione di materiali (garze, tele) che divengono elementi caratteristici dell’espressività. L’artista utilizza l’astrazione del segno, la forza costruttiva del nero come strutture portanti, decisive nella creazione di un’immagine che trasporta il lettore tanto negli universi lontani di un cielo sognato, quanto nell’abisso di una coscienza che attraverso il sogno tende a dar voce al magma interiore.
Il carattere dell’immagine di Viviani può essere sintetizzato nella scansione segnica, una sorta di ritmica tutta interiore, un gesto di luce che illumina e scompone la profonda luminosità, tutta psicologica, del nero; è la luce del nero quella che viene dalle forme primordiali dell’artista. Nel muoversi lento delle tracce, onde compositive che attraversano lo spazio della tela, il nero si esalta, si rinforza, si mostra come risultante di numerose sfaccettature. Per questa via, la tela, l’immagine, divengono una struttura instabile, mossa, attraversata dai brividi di marezzature; onde luminose affiorano e sembrano confluire sulla superficie che si trasforma in una epidermide accidentata, mai ferma. Cielo o profondità marine, immensità degli spazi esteriori oltre il nostro sguardo o limiti inesausti degli abissi dell’animo, la nuova pittura di Viviani si muove in un territorio di astrattismi che tuttavia danno il volto al nostro silenzio interiore, fino a raffigurare, a volte, accidentati paesaggi di mare, dove nella notte solo le vaghe luci del cielo sembrano ancora illuminare una superficie instabile. Tutto il nero di Viviani si fa spazio emotivo, pronto ad accogliere, rivelazione improvvisa, epifania della pittura e dello spirito, la luce che penetra come un corpo solido nell’umore liquido dello sfondo.
Viviani costruisce la sua pittura sul ritmo psicologico dello sfondo, dimensione della coscienza, oscurato rigore di misure e sentimenti, e sull’intrusione, epifania abbiamo detto poc’anzi, della luce, che tutto trasforma e ripropone per interne accensioni. La pittura riconduce il caos alle forme primarie, riconduce la materia all’ordine mentale che tutto sembra avvolgere. Siamo di fronte al momento in cui, divenuta linguaggio dello spirito, la pittura sembra voler sondare le inquietudini dell’animo. Certo era più agevole, e rassicurante perché no?, muoversi negli ambiti di una natura, quand’anche sconvolta; oggi Viviani si muove sul terreno incerto e inquieto di un’immagine che per interne vibrazioni trascrive per tutti noi i turbamenti e le speranze di una vita.
2, 2. Da questa scelta emerge il nucleo poetico di una mostra costruita sull’incontro e sullo scontro tra bianco e nero; e non sembra nemmeno utile applicare criteri morali; è piuttosto l’evidenza di un dissidio, di una contraddizione di linee, forme, pigmenti, tracce, che trova nell’arte, e forse solo nell’arte, la sua straordinaria sintesi. Un ritmo interiore, il bisogno di compenetrazione, la ricerca di assoluto, tutto entra in questo contrasto voluto e controllato, dove ad un tempo gestualità istintiva e lento processo espressivo di una mano lungamente educata coesistono e possono convivere. Viviani scopre la completezza della visione interiore, ribalta il celebre “ci sono più cose in cielo e in terra” che Amleto rivolge al giovane studente: dentro lo spirito individuale che l’occhio disvela ci sono tutte le possibili contraddizioni, ma anche tutte le possibili ipotesi solutorie.
L’opera diviene metafora; non sembri fuori luogo sottolineare la concordanza di alcune opere tra caos e cosmo con alcune Crocifissioni che appartengono per coerenza stilistica e rigore formale a questo stesso ciclo; né sembri fuor di luogo richiamare l’incipit attraverso la stampa calcografica, dove il contrasto, per la prima volta, appare e trova una sua sintesi visiva. Viviani sembra volersi scoprire e dichiarare, nel momento in cui, terminata l’attività professionale, si dedica completamente all’arte; e dall’arte non possono venire che linguaggi, inganni dunque, convincenti bugie, diceva Picasso, ma anche il coraggio di affrontare a viso aperto i nodi dell’esistere. Abbandonata l’immagine, la pittura entra nella vita, la traduce e la trascrive, utilizzando non più i riferimenti iconografici che attraversano la nostra esistenza, le foreste di simboli di cui ci parlava Baudelaire, ma i semplici strumenti della costruzione dell’immagine, come travaso dell’emozione.
Per questa via, l’ultima pagina di Viviani si pone (e si propone a chi ne abbia seguito il lungo cammino) come continuità e rottura, si pone come conclusione dirompente e ad un tempo già indicabile e individuabile in quella lenta evoluzione del paesaggio, che quanto più si umanizzava e penetrava nel cuore dell’artista (e dei lettori), tanto più si discostava dalla figurazione rigorosa. Opera di coraggio e necessaria; si direbbe gettare una luce (o uno sguardo) su tutta l’opera precedente, aprire definitivamente i percorsi dello spirito, definire l’opera solo come metafora della tensione emotiva, individuale e collettiva ad un tempo. Anche perché, per Viviani e per i pittori della sua generazione, l’arte è ancora generatrice di riflessioni, tracima dall’ambito stilistico per trovare un senso e un significato in quella “visione del mondo” che ha segnato l’estetica per due secoli.
Gussago, gennaio-febbraio 2008
GINO VIVIANI
Nasce a Milano nel 1927, figlio d’arte, il padre era un pittore. La madre era di Roverbella, paesa dove Viviani trascorreva le sue estati durante l’adolescenza. Nipote dell’artista roverbellese Enos Passerini. Frequenta il Liceo Classico. Si Laurea in Medicina nel 1951, si specializza in Radiologia.
MUSEO DIOCESANO FRANCESCO GONZAGA
inaugurazione alle 17
da mercoledì a domenica 9.30-12.00 / 15.00-17.30.
Lunedì e martedì aperto su prenotazione, tel. 0376.320602
GALLERIA ARIANNA SARTORI – ARTE
inaugurazione alle 18.30
10.00-12.30 / 16.00-19.30. Chiuso festivi, tel. 0376.324260
ingresso libero