L'artista ha fatto della sua vita un costante impegno sociale volto a denunciare con le sue opere tutti quei crimini che ieri, come oggi, opprimono l'umanita'.
Se Giorgio Celiberti era rimasto particolarmente influenzato, nel suo percorso artistico e spirituale, da una visita al lager di Terezin, vicino a Praga, dove migliaia di bambini ebrei furono trucidati dai nazisti, il pittore che Confarte e la Consulta Cultura & Società presentano per la nuova mostra, Piero Tredici, ha fatto della sua vita un costante impegno sociale volto a denunciare con le sue opere tutti quei crimini che ieri, come oggi, opprimono l’umanità. Negli ultimi anni la sua attenzione si è fermata in particolare su una figura mediaticamente molto “gettonata”: il kamikaze. Così il suo pennello ha parlato non solo di questi personaggi, che vedono, nelle loro menti contorte ed abbagliate da chissà quale improbabile “salvifica soluzione finale”, il loro come un gesto puramente eroico, ma anche di tutte quelle “persone” che purtroppo sono rimaste vittime di un gioco al quale non avrebbero mai voluto partecipare.
La mostra verrà inaugurata sabato 24 maggio alle ore 17.30 nei locali della Sede Provinciale di Confartigianato Imprese Prato (viale Montegrappa 138 – PRATO) e vedrà l’intervento di Marco Fagioli e Corrado Marsan.
…ritornando alla pittura di Tredici, insisto sul concetto di testimonianza e non su quello di rappresentazione. Chi conosce il lavoro di Tredici sa che tutta la sua storia di pittore si è svolta sin qui sotto il segno dell'impegno civile: agli esordi, con i dipinti sulla vita delle periferie, poi sulla guerra del Vietnam durante gli anni Sessanta, più recentemente, nell'ultimo decennio, con la serie sull'assurdità dell'attuale condizione umana. I luoghi della sua pittura sono stati quelli della grande pittura civile, da Goya a Picasso, e dagli Espressionisti a Bacon: la violenza, il potere, la tortura, la distruzione di ogni valore umano.
La pittura di Tredici è dunque una pittura difficile da accettare, non gratifica la vista di illusioni edonistiche né di estetismi formali.
Va detto che Tredici è stato di gran lunga il pittore più brechtiano della sua generazione, e brechtiano lo è ancor oggi, quando la maggior parte degli artisti non sanno neppure cosa sia la mise en scène di un dipinto……. Similmente a quanto avviene nella messa in scena brechtiana, nei dipinti dei kamikaze Tredici ha opposto gli elementi costitutivi del quadro: il colore, sovente registrato in diafane bicromie di gialli, rosa e azzurri da rimandare ai registri cari ai Manieristi fiorentini del Cinquecento, viene posto da Tredici in costante contrasto con le rotture quasi violente, espressioniste, del disegno. La separazione di questi elementi - colore, disegno, resa spaziale - la loro dialettica opposizione, si risolve alla fine in una nuova unità, secondo un'idea di composizione antinaturalistica e alla fine figlia della linea maestra della pittura del Novecento che ha per estremi, in Tredici, Picasso e Bacon.
La violenza, sebbene molti facciano finta di ignorarlo, è uno degli spettacoli che maggiormente affascinano il genere umano. Tutti i commentatori politici del terrorismo suicida dei kamikaze hanno puntato l'attenzione sulla rilevanza mediatica del gesto: tale rilevanza, cioè la risonanza che l'atto assume attraverso la diffusione tramite i mezzi di informazione, sarebbe quindi uno dei caratteri decisivi della sua genesi. Se il suicidio esplosivo non avesse una diffusione così a macchia d'olio attraverso i media televisivi e la stampa, la sua onda d'urto simbolica in diretta non avverrebbe. Ma questi commentatori ignorano o fanno finta di ignorare che la violenza ha un fondamento spettacolare in sé: tale fondamento è stato ben presente nella storia, come dimostrano, funzionalmente le esecuzioni capitali pubbliche e gli spettacoli ludici di massa, come il calcio, intorno ai quali la violenza viene inscenata. (Marco Fagioli)
Lo trovo misteriosamente, meravigliosamente, spaventosamente lucido nell'interpretare il mondo che ci sta d'intorno, il che tanto più sconvolge in un artista del quale tanto spesso, e credo a ragione, si è sottolineata la splendida Inattualità……. E' stato detto che fosse difficile se non impossibile pensare a Dio, dopo Auschwitz. Io, che ho sempre ritenuto, al contrario, che soltanto l'inconoscibile imperscrutabilità della volontà di Dio onnipotente permetta di sostenere la memoria altrimenti insopportabile di Auschwitz e di tutto quel che gli sta intorno, ho comunque la sensazione che - per motivi non obiettivi, bensì inerenti alla nostra sensibilità - queste opere di Tredici si debbano guardare in un modo diverso, e ben altrimenti drammatico, dopo Abu Ghraib e Guantanamo, che hanno polverizzato qualunque non diciamo certezza, ma anche pretesa di superiorità d'un modus vivendi, cogitandi e agendi che pretendeva di esser esemplare e universale. I colori violenti e le forme goyesche di Tredici, con i suoi mostri, i suoi esseri seminumani e scheletrici, i suoi brandelli di citazioni tecnologiche, le sue scene di violenza e d'indifferenza peggiore della violenza, i suoi mucchi umani e i suoi quarti di macelleria non si dimenticano. (Franco Cardini)
Dalle centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini assassinati da bombe intelligenti, dai muri tremendi delle prigioni, con gli aguzzini di professione, emerge un Medio Oriente dal suolo fumante di cadaveri che un tempo furono suoi figli. Quei popoli non meritano tanta ingiustizia e infamia. Ci viene detto che tutto questo è stato necessario per portare a quei disperati la fandonia della nostra democrazia.
So che respirare è giudicare, ma non mi è stato possibile dare giudizio morale sugli assassini che si suicidano qualunque siano le loro ragioni, per me imperscrutabili: non le capisco e le respingo.
Ho sospeso, quindi, il giudizio etico, poiché al di sopra di tutte le torture inflitte a quei disperati, nonostante i morti sfigurati, e i villaggi di orfani, nel momento stesso in cui stanno per distruggersi a vicenda senza pietà, divengono loro stessi vittime.
Posso garantire di non provare nessun odio contro di loro. Posso garantire di non odiare proprio nulla, anche se la sola cosa al mondo che oggi potrei detestare nella mia soggettività, sono i carnefici delle torri di New York esattamente come quelli di Nassyria. Quei morti sono innocenti uccisi e i crimini perpetrati restano crimini.
In tutte le guerre da sempre c'è chi vive arricchendosi e chi ci muore, ma non bisogna trascurare neppure coloro che nella guerra si divertono e giocano con la massima depravazione, com'è avvenuto ad Abu Ghraib.
Fino alla fine dei tempi, gli stragisti godranno sempre dell'ammirazione di quanti a loro si ispirano, di quanti a loro somigliano e questo sarà il loro vantaggio rispetto ai tanti altri che invece si pongono interrogativi. Ma fino alla fine dei tempi, noi, che non proviamo ammirazione e neppure siamo loro somiglianti, dovremo dare testimonianza cercando la giustizia e la pace con ogni mezzo perché all'uomo sia permesso di ricevere, al di sopra dei suoi peggiori orrori, la giustificazione che gli spetta e il riconoscimento della sua innocenza. Per un po' di felicità, contro un universo di infelicità. (Piero Tredici)
Ha scritto Andrea Mazzoni, assessore alla Cultura e alla Pace del Comune di Prato, nella presentazione alla mostra:
Ho avuto modo di conoscere per la prima volta la pittura di Piero Tredici più di vent'anni fa, in occasione di una esposizione nella sua Sesto Fiorentino. Già allora ebbi modo di apprezzare la forza del suo messaggio artistico, improntata ad una decisa concezione di espressività socialmente impegnata. E tutto ciò non - come
poteva capitare - secondo dettami di maniera, ma in un'ottica di sincera e profonda attenzione ad una condizione umana (per citare Andrè Malraux) segnata dalla drammaticità della storia e della cronaca, dalle ingiustizie e dalle oppressioni. Insomma, una condivisione del dolore del mondo (atomo, nell'universo, che il male ha reso opaco, per dirla invece col Pascoli) vissuta con l'intensità dell'artista che sa di avere avuto in dono la possibilità di "dire" con efficacia perché dotato di quella "pietas" che quando si sposa con il talento diviene una delle forme più stringenti di "denuncia". E che soprattutto diventa il luogo dell'anima (del maestro
così come di coloro che ne incontrano l'opera) su cui si può costruire una diversa prospettiva esistenziale, affermando i grandi valori, spesso conculcati, dell'umanità.
In un'epoca che ha saputo imprigionare l'uomo contemporaneo in un'ossimorica realtà di affollata solitudine, per cui sembra essere venuta meno, o comunque essersi molto ridotta, la capacità di "sentire" con gli altri la drammaticità di un "martirio quotidiano" che si consuma un po' in tutti gli angoli della Terra a mo' di stillicidio, ecco che il grido di Piero Tredici contro la barbarie dei nostri tempi si fa testimonianza di una volontà di riscatto a cui l'arte e la cultura in generale possono dare alimento per sconfiggere - o almeno provarci - i tanti disvalori che ci circondano e sembrano irretirci, rendendo "istante plausibile" un pensiero di salvezza (e di innocenza) possibile. Per dirci che contro l'offesa delle tante violenze imperanti si può (occorre) resistere, resistere, resistere.
Inaugurazione sabato 24 maggio alle ore 17.30
Sede Provinciale Confartigianato Imprese
viale Montegrappa 138 - Prato
Orario: Dal lunedì al giovedì 8.30-13.00 14.30.18.00 Venerdì 8.30-13.00 (su richiesta apertura nel pomeriggio).
Ingresso libero