Katia Beltrame
Arianna Carossa
Daniele Franzella
Tu M'
We wait for the snow
Pietro Mancini
Federico Lupo
Alessandra Ferlito
Temporaneo Abbandono del Campo: Katia Beltrame, Arianna Carossa, Daniele Franzella, Tu M'; un'indagine sulle modalita' di conservazione e ricostruzione di quel flusso organico il cui scorrere pone la distanza tra la vita e l'assenza di vita. In "Sound design di We wait for the snow" Pietro Mancini estrapola l'elemento sacrale, restituendolo graficamente attraverso rimandi al mondo naturale e al mercato contemporaneo.
A cura di Federico Lupo
Temporaneo abbandono del campo, è un’indagine sulle modalità di conservazione, tracciatura e ricostruzione di quel flusso organico e
impalpabile il cui scorrere pone la distanza tra la vita e l’assenza di vita. Per esattezza, indaga tutti quei percorsi che pur ruotando attorno alla
fissità di un fulcro - l’abbandono del sé ad un disegno più ampio - sono artefici di un lento ma decisivo cambio di rotta.
Se le sonorità dei “We wait for the snow”, autori del sound-design che coccolerà le opere in mostra, sono fortemente legate alla natura intesa
come dimensione sacrale e immanente, i landscape ri-disegnati dai TU M’, in video di assoluto e mai ridondante minimalismo, ci spingono ad un tentativo di ricostruzione monocroma, fittizia, dell’ orizzonte, alterando con sottigliezza le usuali coordinate visive.
Coordinate entro le quali si definisce la “Terra incognita” di Katia Beltrame, ipotetica sindone e territorio di confine. Evidente seppur dolce
simulacro biografico dell’abbandono.
Ed è esattamente la ricerca di Daniele Franzella a rileggere il dato biografico, sorprendentemente restituito con piglio da funambolico imbalsamatore. L’ancestrale esigenza di conservare e onorare il corpo in forma di testimonianza totemica si risolve in un serrato incastro d’organi nel disperato tentativo di ingabbiare e rendere eterno un afflato spirituale. Arianna Carossa infine, congelando la vita allo stadio
larvale, ibrida artificiale e naturale analizzando improbabili innesti e distorsioni, con il chiaro intento di gestirne tempi ed elementi. Soccomberà,
come tutti del resto, all’inevitabilmente finitezza della vita.
-------------
Pietro Mancini.
Attraverso galassie per trovare l'erba piu dolce per il mio cuore somaro
Il tempo trascorre inevitabilmente, generando un flusso irreversibile in cui tutto si trasforma. Questa è l’età della sospensione, delle “grandi migrazioni” che determinano l'evolversi dell'individuo al cospetto di un mondo parallelo che si svela all'improvviso. E' il momento del disinganno, della caduta libera e dell'abbandono. Incombe il mutamento e con esso la consapevolezza di sé. Con queste sembianze si presenta l'universo comunicativo di cui si fa interprete Pietro Mancini (Tropea, 1968), attratto dai processi di auto-identificazione e di conseguente smantellamento delle idealizzazioni, tipici della fase pre-adolescenziale.
“Ad una certa età si fugge a piedi nudi”, dice l’artista. Il suo sguardo si focalizza su un punto preciso del percorso di iniziazione che accompagna l'esistenza, dalla sua fine su un livello, all'ascensione ad un livello superiore. Da questa esperienza intima e imprevedibile, Mancini estrapola con minuzia l'elemento sacrale, restituito graficamente attraverso una personale simbolizzazione, fatta di rimandi al mondo naturale (animale e vegetale), come al mercato di massa contemporaneo. Tra gigli e felini, stelle, croci, famosi loghi commerciali decontestualizzati ed elementi accessori di vario genere, gli Al-lumini racchiudono e sintetizzano - in chiave estetico-decorativa - l’esperienza intellettiva dell’artista, che osserva il vivere quotidiano con occhio clinico, evocando il passato, criticando il presente e, se possibile, prevedendo il futuro. I suoi anima-li sacronauti attivano un lento processo di ridefinizione dei significati.
Esploratori solitari di uno scenario spazio-temporale ancora misterioso, raccontano un viaggio immaginario in cui l’animale uomo - oggetto e autore della ricerca - è vittima sacrificale della contaminazione globale. Portavoce inconsapevole di una purezza che, da li a poco, lascerà il posto al disincanto, i personaggi di Mancini si prestano alla contemplazione quali icone “sacre” che stanno per compiere il primo passo verso la profanazione.
Ad incrementare il flusso vorticoso delle esperienze vissute, si aggiunge quello delle informazioni trasmesse dai mezzi di comunicazione attuali, che vede sospesi in una ricerca necessaria e senza fine i Cercatori di frequenze, testimoni inconsapevoli della dipendenza umana dal reciproco rapportarsi. In questo moto continuo, un momento prima del transito, l’artista registra e documenta con fare scientifico lo stato d’essere dei suoi soggetti; analizza il loro percorso cognitivo e fissa l’istante dell’approdo. L’introduzione in chiave fantastica di elementi naturali sovrapposti ai volti dei personaggi, conduce alla resa dei conti. Nelle Catalogazioni la mimesi si compie sotto i nostri occhi, tracciando una mappa ideologica che si fa manifesto visivo della bellezza del presente. Abitanti di uno spazio silenzioso e dimenticato, le creature di Mancini amano agire nell’ombra; sono pellegrini in cerca di fissa dimora; vedono nella solitudine la dimensione ideale per ostentare la forza della propria bellezza. Talvolta, però, l’intervento migliore risulta essere l’assenza, e i protagonisti della scena preferiscono sottrarsi a qualsiasi tentativo di classificazione. In questo senso, l’autore per primo sembra prendere coscienza dell’impossibilità di “catalogare” l’essere umano e, con questa consapevolezza, intraprende il suo viaggio attraverso galassie, per trovare l’erba più dolce..
Alessandra Ferlito
Inaugurazione ore 19
Zelle Arte Contemporanea
via Matteo Bonello, 19 - Palermo
Orario mar-sab 17-20
Ingresso libero