Enigmi di presenza. Le opere della rassegna hanno tutte una valenza metaforica che le rinvia ad un tempo indefinito. Nelle tecniche miste su cartoncino la presenza umana e' inserita in un ambiente i cui elementi paiono piu' oggetti di scena in un teatro di posa che reali evidenze di natura. Nei monotipi, Chia parte dalla base serigrafica per interventi a tecnica mista, che conferiscono ai lavori il pregio dell'unicita'.
Alla fine degli anni ’70 l’arte italiana ha prodotto un’accelerazione
alla ricerca artistica su tutto lo scenario internazionale, grazie a un
gruppo di artisti (Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Nicola
De Maria e Mimmo Paladino), che poi hanno saputo svincolarsi dal retaggio
di quell’evento seguendo orbite evolutive diverse, con il gran pregio di
una riconoscibilità autonoma per ognuno. In quel periodo si registra
un’inversione di tendenza, su cui giocano molteplici fattori che si
rinforzano a vicenda, esaltando talora gli effetti, e si coalizzano
nell’affermazione di una discontinuità, evidente nel rapporto con le
esperienze dei decenni precedenti, dominati dalle ricerche concettuali.
“In tal modo l’arte… si presenta positivamente frantumata, disseminata in
molte opere, ciascuna portante dentro di sé l’intensa presenza della
propria esistenza, regolata da un impulso circoscritto alla singolarità
dell’opera creata. Così si delinea il concetto di catastrofe, intesa come
produzione di discontinuità in un tessuto culturale retto negli anni
Sessanta dal principio dell’omologazione linguistica”. (1)
La realtà che
più decisamente ha impresso velocità a questo processo è la
Transavanguardia, codificata da Achille Bonito Oliva in un saggio critico
(2) che è stato punto di riferimento anche nel contesto internazionale.
Già nel gruppo d’origine Chia esprime un’opera con caratteri distintivi
propri, riaffermati con chiarezza nei decenni seguenti. Lo sguardo è
rivolto dall’artista a una classicità che non ritorna come replica, bensì
come rampa per un percorso nuovo, dove si inseriscono elementi
dell’attualità dentro una dimensione temporale, sfuggita alla tirannia
della fluidità e solidificata invece dentro il contenitore di un eterno
presente.“Sostanzialmente l’arte trova dentro di sé la forza di stabilire
il deposito da cui attingere l’energia, necessaria per costruire le
immagini, e le immagini stesse, intese come estensioni dell’immaginario
individuale che assurge a valore oggettivo e accertabile tramite
l’intensità dell’opera.”(3) In tale ambito l’opera di Sandro Chia,
sganciata progressivamente dalle sperimentazioni concettuali degli anni
precedenti, si incammina lungo un itinerario dove i mezzi costitutivi
della pittura e del disegno sono il combustibile necessario alla spinta e
allo sviluppo ulteriore, fino all’approdo su una sponda attraversata da
tensioni poetiche specifiche, che sempre più assumono nota peculiare
individuale anche all’interno del gruppo della Transavanguardia.
Pur
essendo uno degli esponenti significativi della corrente teorizzata da
Achille Bonito Oliva, Sandro Chia mantiene una sua decisa marcatura
individuale, leggibile nei sedimenti culturali a cui attinge a piene
mani, nella resa figurale, nell’utilizzo di un colore che, lungi
dall’avere una funzione marginale nella logica compositiva, diventa uno
strumento significante autonomo, spinto a cooperare con il segno nella
traduzione visiva del suo pensiero.
Come negli “enigmi”, brevi testi che esprimono in maniera coperta e
allusiva un concetto, coinvolgendo il lettore nell’interpretazione,
questi dipinti di Chia propongono agli osservatori di entrare nella
pittura e di ricostruirne il senso attraverso i suggerimenti indiretti
del quadro, i segni, le combinazioni grafiche, l’arbitrio dei colori, la
sostanza compositiva dislocata tra memoria e attualità, la strategia
cromatica corrispondente unicamente a una realtà immaginata. Quindi la
valenza misteriosa delle opere è inscritta nell’atteggiamento
indecifrabile delle figure, presenze che, col loro essere, concretizzano
proprio il dato dell’enigma.
Collocate in una dimensione senza tempo,
sembrano protagoniste di vicende regolate dai ritmi della fiaba, dove
memoria e fantasia, risonanza del mito e rumori di una permanente
attualità, li fanno assurgere a emblemi universali dell’esistenza e del
pensiero. La scena, rispetto alle opere classiche della Transavanguardia
(4), ha smaltito parte dell’ “opulenza espressiva”, sfrondando anche lo
scenario da una sovrabbondanza di elementi costitutivi, per isolare
all’interno del quadro quei fattori che si combinano per assonanza o
contrastano per logica strutturale. Attenuata anche la “maniera” di certe
corrispondenze tra figura e sfondo, fra colore fisico e tinta
atmosferica, fra segno di contenimento e tratto di contorno, l’immagine
si installa in una fissità che non è preludio ad avvenimenti imprevisti,
bensì approdo di quiete dopo viaggi esistenziali, sistemazione di enigmi
dentro la realtà di uno spazio governato dal coesistere di luce e ombra,
come stati di decantazione della vitalità propria delle presenze
ritratte.
Le opere della rassegna, confinate temporalmente nel terzo millennio
(precisamente del 2005), hanno tutte una valenza metaforica che le rinvia
a un tempo indefinito. Lo spazio invece lascia all’occhio
dell’osservatore qualche minimo indizio del paesaggio toscano, quel
medesimo in cui Sandro Chia è cresciuto, si è nutrito, continua ad
operare non solo nell’ambito della pittura ma anche in quello della
produzione di vino di gran qualità.
Nelle tecniche miste su cartoncino (distinte tra l’altro dalla cornice
liscia) la presenza umana è inserita in un ambiente i cui elementi paiono
più oggetti di scena in un teatro di posa che reali evidenze di natura.
La figura, risolta con pochi squadrati tocchi che rendono l’anatomia in
maniera piuttosto approssimativa, si completa con un colore che ha la
duplice funzione di segnare e di riempire. Il disegno è estremamente
semplificato in linee di spessore variabile, quasi margini di
contenimento per un colore che ha abbandonato ogni tensione materica per
farsi liquidità trasparente, in cui le tinte talora si sovrappongono
senza confluire in altre, ottenute dalla loro fusione. La dislocazione
cromatica risponde a un criterio di umori variabili, arrivando a
tappezzare la figura come fosse una parte integrante del paesaggio; è un
modo per muovere la fissità dell’immagine e far pulsare la superficie di
ragioni estetiche più che di tracce logiche nella specularità con il
reale.
Nei monotipi (riconoscibili, tra l’altro, per la cornice barocca, parte
integrante dell’opera realizzata dall’artista stesso, che sembra
increspare lo spazio ondulando gli effetti della luminosità sui suoi
rilievi), Sandro Chia parte dalla base serigrafica per interventi a
tecnica mista, che le danno il pregio dell’unicità. Le figure
riecheggiano moduli desunti dalla classicità novecentesca dell’arte
italiana: certa monumentalità della figura nell’arte di Mario Sironi, la
possanza macilenta dei personaggi di Carlo Carrà, il dato del silenzio
evocato dalle creature di De Chirico. Ma molti altri sono i richiami
colti, che una tensione nomade porta l’artista ad adottare mutuando
stilemi e operando contaminazioni in una sintesi, che risolve
inquietudini del contemporaneo e ansie dell’attualità dentro la grande
sfera della proposta estetica; qui il colore è sensazione pura, libera
dai condizionamenti del contorno e diffusa in un ambiente irrorato da
effusioni sentimentali diverse. Questi corpi paiono rivestiti dalla
figura retorica dell’ossimoro, cioè ricoprire il ruolo di eloquenti
emblemi del contrasto profondo – tipico anche della civiltà contemporanea
– tra la loro disposizione al racconto e la ricorrente necessità del
silenzio, della riservatezza, del colloquiare esclusivamente con se
stessi. Pertanto le figure, sulla superficie dipinta, “sostano” mute e
silenziose, pur capaci di comunicare intensamente.
L’elaborazione sincretica di Sandro Chia congiunge in una dinamica
aggregante i segnali che gli provengono dalla conoscenza dei maestri del
passato (Tiziano, Masaccio, Tintoretto, Lotto, Michelangelo) e dei
contemporanei (De Chirico, Leger, Cezanne e Chagall). I personaggi
trasmettono una temperie di attesa indefinita, di abbandono melanconico
alle regole dell’esistenza, di sospensione tra la loro evidente fisicità
e la spiritualità del sentire, suggerita da un impianto cromatico che
vive su molteplici stesure, qualche volta in un reticolo di segni,
tracciati a quantificare lo spazio teso dell’evento. Così i quadri
allineano una complessa teoria di emozioni affidate a primi piani, dove
la spontaneità del gesto si incanala nella direttrice di una strategia
compositiva che allude a una profonda tranquillità interiore.
Enzo Santese
Note
1. ACHILLE BONITO OLIVA, The Italian Trans-Avantgarde/ La
Transavanguardia Italiana, Giancarlo Politi Editore, Milano, 1980, pag.
50.
2. Vedi nota 1.
3. Vedi nota 1.
4. Il riferimento è ad opere del ’79 di Sandro Chia, come: 1980. Le date
(olio su tela, cm. 100 x 180, 1978-79); Sei l’asso dei dinosauri (olio su
tela, cm. 45 x 55, 1979); La rastrellatrice, (olio su tela, cm. 210 x
140, 1979); Sulla strada nell’aria profumata, (olio su tela, cm. 60 x 50,
1979).
inaugurazione domenica 27 luglio ore 19
Polveriera Napoleonica
Contrada Garzoni - Palmanova
Orari: dal martedì alla domenica 10/12 – 16/19 chiuso il lunedì
Ingresso libero