"Pittore 'nerista': come altri artisti cultori del nero (...) Ma questo nero si tramuta in materia, e Gasc sente l'esigenza di uscire dalla superficie piana della tela, realizzando effetti di ondulazioni, di plissettature, di collage diretto di rami, frammenti di specchi, ciottoli, ecc." Marc Le Cannu
Sabato 25 ottobre alle ore 17 verrà inaugurata la mostra personale dell’artista Didier Gasc a cura di Marc Le Cannu nello spazio espositivo del Laboratorio delle Arti (piazzetta Barozzieri 7/a). Gasc nasce a Castres - Francia e inizia la sua carriera artistica molto giovane. Si dedica alla pittura, alla scultura, all’incisione, alla litografia, ma anche alla scrittura. Ha esposto in numerosi paesi tra cui Francia, Italia e Spagna, dove attualmente vive e lavora.
“Pittore “nerista”: come altri artisti cultori del nero — che, come il bianco, colore non è, bensì tonalità, e nel contempo contiene la forza di tutti i colori - si pensi a A. Tàpies, a P. Soulages, A. Marfaing, H. Hartung, Didier Gasc si è più di una volta spiegato della sua predilezione per questo non-colore/colore. Ricorda nelle sue Memorie recentemente pubblicate in Spagna come, da bambino, durante la sua prima visita al Museo Goya di Castres (del quale, anni dopo, sarebbe diventato conservatore) rimase affascinato dallo sfondo nero di una tavola, allora attribuita a Ribera, raffigurante un “Ercole al riposo”, calamitato dal contrasto tra la potenza di questa “nerezza” e la carnagione del personaggio mitologico. Altrove, racconta del tormento di alcuni fotografi che, utilizzando una pellicola a colori, tentavano di riprendere delle sue tele: allo sviluppo, le zone nere sparavano del rosso, o del blu, o del giallo… Normale! precisa Gasc, conscio del fatto che a questa difficoltà cromatica si aggiungeva quella della resa del trattamento volumetrico dei quadri in questione. Va da sé che il nero di Gasc non è quello di Soulages, o di Manet, o di Courbet, o del Greco.
Il suo nero, se ne è spiegato in uno dei più bei libri usciti per i tipi della “Diane Française”, Ancres noires (“Ancore nere”: omofonia con “Encres noires” “Inchiostri neri”) dedicato alle statue-menhir dell’Alta-Linguadoca, è quello di queste cotonate “così lucide per l’uso, lavate, strizzate che ancora oggi indossano certe anziane in lutto nel mondo mediterraneo”, un nero “che gioca con la luce cruda delle isole e del litoraneo inondati dal sole.” Altra spiegazione suggerita per l’onnipresenza di questo nero così particolare, la troviamo sul frontespizio dello stesso libro: si tratta di una citazione di Bachelard, il quale rievoca la caverna di Platone, “il palcoscenico dove la luce del giorno agita le tenebre sotterranee”, questo luogo dal quale uno vede senza essere visto, l’antro iniziatico dove “paradossalmente il buco nero è una vista sull’universo”. Ma questo nero si tramuta in materia, e Gasc sente l’esigenza di uscire dalla superficie piana della tela, realizzando sbalorditivi effetti di ondulazioni, di plissettature, di collage diretto di rami, ramoscelli, frammenti di specchi, ciottoli, ecc. La metamorfosi della tela in oggetto tridimensionale avviene grazie al materiale prediletto da Gasc, il latice — al quale di tanto in tanto egli incorpora della sabbia setacciata onde ottenere una densità diversa-, che ha il merito di coagularsi velocemente a contatto con l’aria, e che definisce come una “lava fredda”. Gli capita spesso di applicare sul supporto delle stoffe di cotone intrise di latice.
Queste operazioni avvengono secondo un ordine meticoloso e hanno dei tempi ben definiti. Gasc lavora a partire da taccuini, archiviati cronologicamente, sui quali annota idee, procedimenti tecnici, motivi, poi passa alla “costruzione” vera e propria di un modello. Se ricorre al dripping (con l’uso di spatole, di manici di pennelli, ecc., ma senza ricorrere al barattolo bucato che usava Pollock), egli procede a diverse prove su carta prima di effettuarlo sul supporto definitivo. Nulla, o quasi nulla viene lasciato al caso. Tant’è vero che il più delle volte Gasc osserva che non vi sono che lievi differenze tra il modello e il dipinto finale. Esistono molte affinità tra la sua arte e la calligrafia estremo-orientale. La velocità di esecuzione non è dettata che da una consumata esperienza, lungo gli anni, che non ammette “pentimenti” per raggiungere l’armonia dell’opera che verrà presentata ai suoi fruitori.
Gasc pone direttamente la tela sul suolo e opta per telai la cui forma (il quadrato, il tondo) consente di girare attorno, evitando colate indesiderate, o altri incidenti di percorso. “Se non posso certificare un totale dominio di ogni goccia, di ogni intrico ottenuti, invece rivendico il controllo assoluto della forma realizzata, circoscritta nel suo spazio, con la vibrazione, la densità e il ritmo voluti”.
Tale esigenza, tale cura del dettaglio, la ritroviamo nell’opera grafica, in cui a volte vengono realizzati veri “tours de force”, come quello di associare nella stessa tavola la xilografia e l’incisione su rame, tecniche reputate incompatibili, oppure bulino, acquaforte, acquatinta, punta secca e carborundum (!). Oggi Didier Gasc stampa per conto suo nel suo studio di Segovia, complice una stampa moderna, da lui soprannominata “grosse Bertha”, dal nome di un famoso cannone di grosso calibro… E stavolta ancora il miracolo si riproduce: quello di esprimere una assoluta libertà di gesto creativo, di invenzione di forme, ritmi, tessiture, cromatismi attraverso una pratica fatta di costrizione, ragionamento, disciplina. Gasc, dall’indole così palesemente lirica, ha osato affermare che la sua arte è matematica “tanto nell’accezione algebrica (numerologia) quanto nell’accezione geometrica”. Ci voleva un bel coraggio nel contesto attuale di improbabili installazioni, di piccole trovate destinate a stuzzicare qualche giuria di qualche manifestazione internazionale, vi pare?”
Marc Le Cannu (dal catalogo della mostra)
Inaugurazione Sabato 25 ottobre alle ore 17
Laboratorio delle Arti
Piazzetta Barozzieri 7/a, Piacenza
da martedì a sabato 16-19