Oggettualizzare. Due i territori che sembrano sollecitare la sua attenzione: i materiali e il corpo umano. Giardini colleziona materiali, li investiga con accanimento, li sottopone a trattamenti inconsueti, li provoca e li stressa; lo fa con materiali naturali o compositi, semilavorati, vernici o filamenti. Una ricerca originale fra arte e design.
Ferdi Giardini non è un designer.
Alleluja.
C’è il design e ci sono i designers.
Volendo molto semplificare, potremmo dire che il design è una disciplina che si occupa del progetto delle cose, sia da un punto di vista tecnico-formale quanto simbolico-funzionale. I designer sono i professionisti del design. Ergo, lapalissianamente, i designer si occupano del progetto delle cose.
Un piccolo sillogismo o, se preferite, un circolo vizioso. Tutto sarebbe risolto se il design fosse una materia governata da uno statuto semplice e godesse in esclusiva del diritto di occuparsi della forma, del senso e della fabbricazione di oggetti. Purtroppo (o per fortuna) le cose non stanno così.
Sebbene oramai uscito dalla fase eroica della giovinezza, il design si mostra tutt’ora poco propenso ad accettare i limiti di una univoca sistematizzazione, lasciando aperti i contorni di una disciplina sospesa fra estetica e tecnica, fra utile e immaginario, fra etica e consumo. Contro ogni regola grammaticale, la parola design si scrive al singolare, ma si declina inevitabilmente al plurale. Oggetti semplici e funzionali, ma anche proposte assai meno popolari, frutto di ricerche sperimentali condotte in campo sia tecnologico che formale. Oggetti non necessariamente prodotti in serie e neppure realizzati in fabbrica: talvolta pezzi quasi unici destinati al mercato dell’arte, oppure sofisticati assemblaggi di componenti tecnologici ad alte prestazioni.
Design non è più sinonimo di un atteggiamento logico e razionale, quanto un’espressione che identifica un vero e proprio stile: lo stile dei nostri tempi.
Ma, allora, che cosa fanno i designer? I designer producono design. Produrre design significa adottare un certo modo di pensare e di presentare le cose, coltivare una certa categoria estetica e formale, adottare certi linguaggi e assecondare certe mode. Insomma, oggi I designer (nella stragrande maggioranza dei casi) declinano nei loro progetti una precisa idea di stile.
Messe così le cose, Ferdi Giardini non è un designer. Non lo è per formazione, avendo studiato scenografia. Non lo è per nello sviluppo della sua ricerca, che non persegue alcuna costante formale. Non lo è neppure nel suo modo di vestirsi, non mostrando infatti nessuna preferenza per il nero.
Ferdi Giardini si occupa invece delle cose, e lo fa con curiosità e con artigianale pazienza.
Due i territori che paiono particolarmente sollecitare l’attenzione di Ferdi Giardini: i materiali e il corpo umano.
Ferdi Giardini colleziona materiali, li investiga con accanimento, li sottopone a trattamenti inconsueti, li provoca e li stressa. Non importa se siano materiali naturali o compositi, semilavorati, vernici o filamenti.
Con la stesa curiosità Ferdi Giardini osserva il corpo umano, i suoi comportamenti, le sue posture, i suoi gesti, le sue emozioni sia in pubblico che in privato. Predilige le mani e gli occhi, ma non trascura schiene e sederi.
Le cose sono, nella ricerca di Ferdi Giardini, il punto d’incontro fra questi mondi, che vengono messi in contatto fra loro grazie alla mediazione affidata alla ricerca artistica e all’applicazione di soluzioni tecniche elementari.
Uscito dall’Accademia di Belle Arti, Ferdi Giardini conosce benissimo il potere dell’arte quale strumento di esplorazione di territori incogniti. Sa usare la forma per sondare le possibilità di un’idea e non teme l’azzardo dell’intuizione. Allo stesso tempo però, la sua esperienza di scenografo gli ha insegnato che la forma –l’arte- è al servizio di un ben definito effetto, che si raggiunge con artifizi e anche con l’inganno. Astuzie che divengono ingegnose soluzioni fra tecnologia e bricolage. Invenzioni luminose o illuminazioni elettromeccaniche, piccole intuizioni strutturali o trappole cromatiche per occhi golosi.
Arte e tecnica sono i due poli opposti di uno stesso percorso, due modalità differenti e complementari di condurre una ricerca originale.
Non tutti i filoni esplorati da Ferdi Giardini mi piacciono allo stesso modo. Personalmente lo preferisco quando modella un oggetto sulle posture del corpo umano, quando scava un bicchiere perché possa essere sorretto con un dito, quando inventa una lampada che funziona come un ventilatore.
Ma sono sicuro che senza l’altra metà del suo percorso, quella più libera e formale non si genererebbe quella tensione indispensabile a far scoccare di tanto in tanto una scintilla. A disegnare una cosa. A reinventare un’idea del design.
Immagine: Oluce Teda Floor Outdoor Light
Inaugurazione martedì 18 novembre dalle ore 18.30
Ermanno Tedeschi gallery
Via C.I. Giulio 6 - 10122 Torino
Da martedì a sabato dalle 11 alle 13
e dalle 16 alle 20 oppure su appuntamento