L?artista, siciliana di nascita e romana d?adozione, ha preparato alcuni nuovi lavori di grande formato utilizzando una tecnica mista basata su una stampa digitale plotter su cui interviene pittoricamente. Il risultato e' di grande suggestione
Sergio Tossi presenta nel suo nuovo spazio espositivo fiorentino una nuova personale di Daniela Papadia.
L?artista, siciliana di nascita e romana d?adozione, ha preparato alcuni nuovi lavori di grande formato utilizzando una tecnica mista basata su una stampa digitale plotter su cui interviene pittoricamente. Il risultato è di grande suggestione dato anche il soggetto, in primo piano personaggi fluttuanti sopra uno sfondo di moltitudini varie, già spesso presenti nei quadri della Papadia, con un richiamo evidente all?effetto del soffitto affrescato.
Per meglio capire le intenzioni di questa scelta vogliamo riportare un breve scritto dell?artista che può risultare illuminante.
?Ho solo un?urgenza, di trovare un altro ?punto di vista?. La visione frontale, è arrivata al suo limite, e come se questo piano orizzontale, dove ogni giorno sbatto la faccia, da un lato mi rassicura, ma dall?altro non mi offre la possibilità di cercare oltre quei punti e geometrie già descritte ( o descrittive).
In questo spazio, dove non c?è spazio per altre visioni, non mi resta che alzare lo sguardo, e mi sembra di guardare altri uomini, che non hanno i piedi sulla terra ma sono sospesi in attesa che qualcosa accada.
Eppure a ben vederli, non sono in ansia per la loro incerta posizione, anzi mi pare che riescano a stare a loro agio, stanno imparando cosa vuol dire essere sospesi, vivere nell?incertezza, e trovare ?un equilibrio nella loro instabilità ?.
E mi pare di capire che l?uomo ha bisogno di accettare la fragilità dell?esistenza appesa a un filo per poter pian piano trasfigurare la propria immagine per riappoggiare e riabitare la terra.
Se si vola senza radici è alta la probabilità di uno schianto, ma se quel filo che tocca la terra, diventa radice, sarà come quell?albero che con radici profonde porta i suoi rami e foglie ai confini del cielo.
Forse l?urgenza della mia visione, non è altro che la necessità di dialogare con le zone d?ombra e cercare un varco tra le crepe, e attraverso le crepe trovare uno spiraglio per traghettare un pensiero che mi porta dalla sponda in ombra alla sponda in luce, tenendo ben presente il mare che lo attraversa.
Il nostro navigare non può essere soltanto un naufragio. Si può accettare il naufragio per ricercare la rotta, per aver al speranza di ritornare ad Itaca .
Ma Itaca è soltanto la metafora della nostra patria, e in questo momento storico dove senti che ?non c?è patria a cui tornare? si vive sempre in bilico tra grandi suggestioni rassicuranti ed eterne incertezze di conflitti e pericoli per l?intera comunità .
Tesi verso la ricerca di un luogo e un o spazio sicuro dove poter appoggiare i piedi, impariamo appesi ad ascoltare e non sfuggire le nostre comuni vulnerabilità .
E così in attesa di un riscatto, la parte sospesa dell?uomo attende dondolando lentamente nel buio con il sangue che va nella testa.
Crede nel buio quando la luce mente, aspetta solo di essere riconosciuto, come il lato in ombra della zona luce.
Fino a quando l?uomo si sentirà , sicuro, forte e senza pericolo, non si accorgerà neanche cosa avviene dentro e attorno, se non accetta, e non guarda l?altro appeso, sospeso, e in bilico come parte di se stesso non troverà un vero equilibrio.
Forse è questo il senso della mia visione, il mio sentirmi attratta da ciò che sta in bilico mi rimanda più fedelmente il mio essere mondo.?
Daniela Papadia
Domenica 10 Marzo