I bambini del ghetto di Lodz. La memoria del Litzmannstadt Ghetto. La curatrice Agnieszka Zakrzewicz ha appositamente selezionato una serie di scatti provenienti dall'Archivio Statale di Lodz. La mostra e' stata realizzata in occasione della Settimana della Memoria.
a cura di Agnieszka Zakrzewicz
In occasione della Settimana della Memoria
La mostra è stata organizzata dall’Associazione Culturale Polandia bezGranic e dalla Scuola Romana di Fotografia, in collaborazione con: Ufficio di Promozione, del Turismo e Collaborazione con l’Estero del Comune di Lodz, Istituto della Tolleranza di Lodz, Archivio Statale di Lodz e con la partnership di: Istituto Polacco di Roma, Patio Centro d’Arte, San Lorenzo Fotofestival.
La mostra ha ricevuto i patrocini di: Ragione Lazio – Assessorato alla Cultura Spettacolo e Sport, Provincia di Roma, Comune di Roma – Assessorato alle Politiche Culturali, Centro di Cultura Ebraica – Comunità Ebraica di Roma, Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.
„In latino, per disegnare questa ferita, questa puntura, questo segno provocato da uno strumento aguzzo, esiste una parola (punctum); tale parola farebbe ancora meglio al caso mio in quanto essa rinvia all’idea di punteggiatura…“ – queste parole di Roland Barthes (dal libro „La chambre claire“) mi fanno pensare alle fotografie che avevo visto spesso nei libri e nelle pubblicazioni dedicati al ghetto di Litzmannstadt. Un bambino seduto per terra, girato di spalle, con la stella di Davide sulla giacca, che parla con il fratello, la sorella e la madre. Nei volti tristi ma tranquilli, nel clima d‘apparente normalità di questa scena c‘era qualcosa che mi inquietava, che mi „pungeva“. Un elemento mi turbava, anche se riuscivo a darmi una spiegazione: la rete metallica che divideva il ghetto dal resto del mondo divideva anche il bambino dalla sua famiglia. Questa fotografia era per me il simbolo della speranza di una fuga, di una salvezza, fino a quando Joanna Podolska, giornalista del quotidiano Gazeta Wyborcza e Presidente dell’Istituto della Tolleranza a Lodz, mi ha spiegato il vero significato di quest’immagine, la storia che c’è dietro quel frammento di realtà, fissato oltre 65 anni fa dalla macchina fotografica di Mendel Grosman.
Il fotografo ufficiale del Litzmannstadt Ghetto aveva scattata questa foto nei primi giorni del settembre 1942, in occasione della “grande retata” (4-13.IX.1942) – come fu chiamata l’azione preparata dagli occupanti tedeschi con lo scopo di eliminare dal ghetto i più deboli ed inabili al lavoro: vecchi, malati e bambini. “La retata durò nove terribili giorni. Agli ebrei del ghetto fu ordinato di lasciare nelle mani dei tedeschi tutti i bambini piccoli: il loro tesoro. Fu ordinato agli abitanti del ghetto di rimanere a casa ed aspettare l’arrivo della polizia con l’elenco di coloro che bisognava consegnare” – così aveva descritto questa tragedia la piccola Syra Zyskind nelle sue memorie, i cui frammenti sono stati pubblicati nel quaderno, che accompagna la mostra. Nei giorni seguenti alla “grande retata” furono spedite al campo di sterminio di Kulmhof am Ner (Chelmno sul Ner) 15 mila persone, di cui 5862 bambini sotto i 10 anni. Chaim Mordechai Rumkowski si è rivolto alle madri e ai padri: “offritemi i vostri bambini”. Spiegava che occorreva sacrificare alcuni per salvarne altri…
C’è ancora un’altra foto, proveniente dall’Archivio Statale di Lodz, che è per me sempre come una puntura – la passeggiata, apparentemente spensierata, sulla strada per Marysin, nel territorio del ghetto, dove i giovani imparavano a lavorare i campi e i bambini più poveri e gli orfani trascorrevano le vacanze d’estate. Nonostante la tragedia umana (la fame, il freddo, il lavoro disumano e la morte), i bambini del ghetto studiavano, giocavano, leggevano, scrivevano poesie e disegnavano, sognando sempre un mondo migliore.
Agnieszka Zakrzewicz - curatore della mostra
Inaugurazione Sabato 24 gennaio 2009 ore 19.30
Scuola Romana di Fotografia
Via degli Ausoni, 7/a - 00158 Roma
Giovedì, sabato e domenica dalle 10.00 alle 19.00
Ingresso libero