Perduto Iraq. Saccheggio in Mesopotamia. L'artista ha ideato un'installazione di 32 disegni, in ciascuno di questi ha raffigurato un frammento di scultura proveniente dai depositi dell'Iraq Museum di Bagdad e trafugato durante il conflitto del 2003.
Nel 2008 Lorenzo Manenti ha ideato una installazione a parete di trentadue disegni quadrati 32x32 cm su carta riportati su tela intitolata Iraq perduto. In ciascuno di questi, Lorenzo ha raffigurato un frammento di scultura proveniente dai depositi dell’Iraq Museum di Bagdad e trafugato durante il conflitto del 2003: le mura dei musei non sono bastate a proteggere quelle testimonianze della fertile civiltà nata fra il Tigri e l’Eufrate. Di quei pezzi, non rimane che una banca dati telematica, una fotografia e, talvolta, una sigla di riconoscimento.
Per la prima volta, questo complesso era stato presentato in un piccolo spazio espositivo alternativo chiamato Piscina Comunale in zona Lambrate, a Milano, ma nella sua interezza lo si era potuto vedere soltanto, nell’ottobre 2008, in una mostra a Parigi, Guerre et “paix” a Bagdad, accostato alle ricerche del pittore amerindo Mateo Romero. Il pubblico parigino ne era rimasto molto colpito, definendolo “frappant”. E in effetti, la funzione di questa operazione pittorica era proprio quella di richiamare il fruitore ad una assunzione di responsabilità. Dietro le sembianze delle sculture tramandateci dall’archeologia, infatti, è come se fossero gli uomini di quelle antiche civiltà a risvegliarsi, come se questi volti fossero delle grandi fototessere di uomini di altri tempi, i cui occhi si fissano sul riguardante mostrando, nel frattempo, le proprie generalità (il numero di matricola).
Va detto però che, insieme al dispiacere per un patrimonio culturale che si assottiglia, c’è a monte, da parte di Lorenzo, una passione per l’archeologia: già prima di essere letteralmente folgorato dal Medio Oriente, infatti, aveva dedicate delle serie di lavori alla scultura romanica e all’archeologia romana. Rabbia per la devastazione, dunque, ma anche affetto (ma non gusto antiquario) verso l’antico. Bisogna anche sottolineare che, al di là dell’operazione concettuale, il suo è lavoro di pittore, in cui si apprezza soprattutto la fiera e sicura bellezza del segno a carboncino, leggermente sporcato di vernici trasparenti brune, consueta nel suo lavoro recente. Lorenzo, insomma, non si limita a un lavoro di copia, ma risemantizza il soggetto, lo restituisce in uno stile dal tratteggio nervoso e sintetico. Manenti ha scelto la strada della traduzione plastica del soggetto, insistendo soprattutto sull’impatto emotivo dell’immagine, complici le dimensioni considerevoli di buona parte dei suoi lavori. Nelle sue opere, infatti, molti oggetti si trovano ad essere notevolmente aumentati di scala rispetto agli originali, accrescendone senza dubbio l’effetto drammatico. Ma anche su formati più contenuti, come nel composito Iraq perduto, la forza espressiva dell’immagine non ne è diminuita, anzi conserva una intrinseca monumentalità.
Un giorno, probabilmente, i piccoli dipinti non saranno più tutti insieme, prenderanno ciascuno la sua via, verso il collezionismo o verso altre destinazioni (e alcuni sono già per altre strade). Anche da soli, però, abbandonati gli altri frammenti del gruppo, continueranno a ripetere il loro inesorabile memento: per la memoria dello scempio e, forse, per la formazione di una nuova coscienza.
Luca Pietro Nicoletti
Officina dell'Arte
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