La solitudine di una mente. Personale dell'artista che presenta una serie di fotografie di ambienti industriali, abitazioni abbandonate ed ex ospedali psichiatrici che raccontano storie passate e parlano di uomini e delle loro vite.
Al di là dell’amore per la sua arte, la fotografia, che coltiva con grande passione, Alfredo Gigliotti non è un semplice fotografo.
Non nel senso usuale e comune del termine, sia chiaro. Pur utilizzando con grande maestrìa le sue macchine fotografiche, pur padroneggiando l’uso della luce e, ancor di più, delle ombre, Alfredo non è uso fissare su pellicola o in digitale l’attimo che fotografa. Ad essere precisi, lui fissa attimi che emergono dal passato.
E raccontano storie.
I suoi ambienti industriali, le sue abitazioni abbandonate e, in particolar modo, gli ex ospedali psichiatrici, raccontano storie passate, ci parlano di uomini e delle loro vite. Dai muri anneriti, ammuffiti, scrostati, da invisibili tracce, da oggetti semplici e da atmosfere sospese, le foto di Alfredo raccontano tragedie, drammi, vite passate per un istante o per molto tempo all’interno di edifici che oggi paiono muti e decadenti ma che in realtà trasudano ancora della loro funzione passata.
In questa collezione di fotografie, tratte da vari ex ospedali psichiatrici, non c’è una sola presenza umana “vivente”: sono tutte rappresentazioni di ambienti deserti. Eppure, difficilmente si incontrano scatti in cui la vita, l’attaccamento alla vita, il desiderio di vita, di una vita comunque essa sia, purchè fuori da lì, voluta e consapevole, sia così fortemente presente.
Sono passate ormai alcune decine di anni, da quel 13 maggio 1978, quando la legge 180, la cosiddetta legge Basaglia, sancì la chiusura dei manicomi.
I tempi cambiavano, la medicina, l’etica, la pietas chiedevano nuovi modi di affrontare e risolvere, ove possibile, le problematiche connesse ai malati mentali, così diversi da noi, così indecifrabili per l’uomo della strada e, spesso, anche per il medico. Dentro quegli edifici si erano consumate le sperimentazioni mediche, i tentativi di terapia, ma anche il semplice isolamento dal mondo esterno di una moltitudine di persone.
Al dolore proprio della della malattia spesso si sommarono il dolore delle terapie, e la coscienza, quando presente, di essere stati segregati dal resto del mondo, come un carcerato senza reato.
Eccoli gli scatti di Alfredo: una branda sgangherata, un pianoforte coi tasti disarticolati come la mente del suo probabilmente ultimo suonatore, una cartolina abbandonata (chissà da chi, chissà quando, chissà perché), un impietoso registro che come ultima, scrupolosa e burocratica annotazione riporta deceduto.
E dappertutto luci, ombre, contrasti.
Lame di luce che entrano dalle finestre e ci pugnalano in faccia.
Coperte d’ombra che ci inseguono e ci avvolgono, per risucchiarci dentro un mondo che non abbiamo o avremmo mai voluto conoscere.
Polvere, ruggine, i segni del tempo.
Loro, i matt, i gabia, i matti però sono lì ci guardano da queste foto, come hanno guardato la macchina fotografica nel momento dello scatto.
Alcuni ridono, altri piangono, altri ancora, in un angolo, totalmente indecifrabili, restano nel loro universo a parte.
Tutti gridano e gridano attraverso queste foto, la storia delle loro vite.
Ascoltateli, glielo dobbiamo.
daniele d’antonio
Appuntamento dell'Associazione Tribù del Badnightcafè
Inaugurazione: sabato 7 febbraio ore 16
Scuderie della Tesoriera
corso Francia 192 - Torino
Ingresso libero