Budapest 1956. Cento immagini di uno dei maggiori fotografi italiani scattate durante la rivolta ungherese soffocata dalla truppe sovietiche. Inviato di Epoca nel 1956, De Biasi rimase per ore sotto il fuoco dei rivoluzionari, documentando l'ingresso dei carri armati, la rabbia, i morti nelle strade e il dolore della popolazione. Il suo reportage documenta un evento che fu uno spartiacque nella storia del 900.
A cura di Paolo Morello e Sandro Parmiggiani
Dall’8 febbraio al 15 marzo 2009, a Palazzo Magnani di Reggio Emilia si tiene la mostra di Mario De Biasi (Sois, Belluno, 1923), uno dei fotografi italiani più noti a livello internazionale, del quale viene presentato uno dei servizi più memorabili, Budapest 1956.
La mostra, curata da Paolo Morello e Sandro Parmiggiani, promossa dalla Provincia di Reggio Emilia e dal Comune di Novellara, con il sostegno di Fondazione Pietro Manodori, CCPL Reggio Emilia, Tecton, BFMR & Partners - Dottori Commercialisti, Studio legale Sutich-Barbieri-Sutich, fa rivivere in 100 immagini la tragica rivolta che infiammò la capitale ungherese nell’ottobre-novembre 1956. Inviato di Epoca - settimanale allora diretto da Enzo Biagi - tra il 23 e il 24 ottobre 1956, De Biasi rimase per ore sotto il fuoco dei rivoluzionari, documentando l’ingresso dei carri armati sovietici, i massacri, la rabbia, i morti impiccati nelle strade e il dolore della popolazione. Il suo reportage presenta i drammi umani di quei giorni, e porta in primo piano gli orrori che accompagnano le guerre, in particolare quelle civili, restituendo il sapore di un evento che avrebbe costituito un vero e proprio spartiacque nella storia del Novecento e nella stessa coscienza della cultura europea.
Come scrive il curatore nel volume (edito dall’Istituto Superiore per la Storia della Fotografia) che accompagna l’iniziativa, nelle foto di De Biasi “non si troverà alcuna apologia della violenza, della guerra o delle insurrezioni armate. Al contrario, una delle questioni più aspre che queste immagini sollevano, concerne il furor che s’impossessa del rivoluzionario privandolo della sua libertà. È proprio in questa prospettiva che le sue fotografie offrono un materiale veramente straordinario”.
Di lui, il suo grande amico Bruno Munari ebbe modo di dire: “Ha fotografato rivoluzioni e uomini famosi, paesi sconosciuti. Ha fotografato vulcani in eruzione e distese bianche di neve al Polo a sessantacinque gradi sotto zero. La macchina fotografica fa parte ormai della sua anatomia come il naso e gli occhi”.
Mario De Biasi è nato a Belluno nel 1923 ma è milanese di adozione. Nel 1948 ha presentato la sua prima mostra personale. Nel 1953 è passato al professionismo con la rivista Epoca, per la quale ha realizzato centinaia di copertine e innumerevoli reportage in ogni parte del mondo: per oltre trent’anni la sua vicenda professionale si è intrecciata con quella del suo giornale. Ha fatto numerose mostre in Italia e all’estero, ha tenuto diversi workshop e ha pubblicato oltre settanta libri di fotografie. Nel 1982 è stato insignito del premio “Saint-Vincent” di giornalismo. Nel 1994 riceve il “Premio Friuli Venezia Giulia” a Spilimbergo e al festival di Arles viene premiato con altri dodici fotografi famosi in tutto il mondo. Sempre nel 1994 la sua foto Gli italiani si voltano è stata esposta al museo Guggenheim di New York, nella mostra “The Italian Metamorphosis, 1943-1968” e utilizzata come poster della manifestazione.
Nel 2006, su proposta dell'Assessore alla Cultura, Vittorio Sgarbi, il Comune di Milano gli conferisce la sua massima onorificenza, l'Ambrogino d’oro, con la seguente motivazione: “Bellunese di nascita, ma vissuto quasi sempre a Milano, Mario De Biasi è uno dei decani del fotogiornalismo italiano. Quando inizia la sua ‘ricognizione’ fotografica nella Milano del Dopoguerra è capace di far comprendere l’evoluzione dei costumi e il dinamismo della metropoli. Con le sue immagini offre una chiave di lettura di una città che in quasi sessant’anni subisce trasformazioni tanto significative da renderla spesso irriconoscibile. Da autentico milanese d’importazione, De Biasi, amando profondamente la nostra città, ha saputo interpretare ogni suo piccolo mutamento, ogni magico istante, tutte le realtà più genuine e le luci di una Milano che non ha età.”
In contemporanea, le sale di Palazzo Magnani e quelle della Rocca dei Gonzaga di Novellara (RE) ospitano un omaggio a Vivaldo Poli (1914-1982), una delle personalità reggiane più attente e aperte agli esiti più innovativi della pittura internazionale, presentando 150 opere dell’artista attivo nel MAC (Movimento Arte Concreta) e protagonista delle edizioni del 1948 e del 1950 della Biennale d’Arte di Venezia.
L’esposizione, curata da Sandro Parmiggiani, promossa dalla Provincia di Reggio Emilia e dal Comune di Novellara, con il sostegno di Fondazione Pietro Manodori, CCPL Reggio Emilia, Tecton, BFMR & Partners - Dottori Commercialisti, Studio legale Sutich-Barbieri-Sutich, ripercorre l’intero arco dell’attività di Poli, con particolare riferimento al periodo di maggiore interesse nella sua produzione artistica, ovvero il ventennio tra la fine degli anni Quaranta e i primissimi anni Settanta.
Immagine: Mario De Biasi, Köztársaság tér. La folla dei rivoluzionari aggredisce gli agenti dell'Ávh fuoriusciti dal palazzo in fiamme
Catalogo: edizioni Istituto Superiore per la Storia della Fotografia (pp. 192; euro 50 in mostra; euro 75 in libreria)
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Inaugurazione: sabato 7 febbraio, ore 18,30
Palazzo Magnani, corso Garibaldi, 29 Reggio Emilia
Orari: 10.00-13.00, 15.00-19.00. Chiuso il lunedì
Biglietti: intero, Euro 5; ridotto, Euro 4; studenti, Euro 2