I disegni degli anni '50 e '60. Le opere in mostra sono un diario che registra le emozioni di un giovane poco piu' che ventenne. "Nel disegno l'artista fissa una situazione psicologica e getta le basi per un ricordo che non muta".
La Galleria d’Arte Arianna Sartori di Mantova, nella sede di via Cappello 17, dal 21 febbraio al 5 marzo, presenta una mostra personale del Maestro Luigi Timoncini intitolata I disegni degli anni Cinquanta e Sessanta.
Realizzata a cura del Centro Studi Sartori per la Grafica, l’esposizione è supportata da un catalogo che si avvale della presentazione del Prof. Paolo Bellini, riportata di seguito in parte.
“Timoncini : i disegni degli anni Cinquanta e Sessanta”
“Ci sono tecniche - e la pittura è una di queste - che richiedono tempi di esecuzione che non sempre si conciliano con l’urgenza creativa che a volte muove l’artista, quando sente il bisogno di fissare sulla tela o sulla carta un’impressione, colta al volo, in un attimo, sapendo che, se non la annoti subito, non sfugge ma si cambia e nell’attesa si stempera. Senza diluirsi, si muta. Nel disegno invece l’artista fissa in un colpo, con immediatezza una situazione psicologica, getta le basi per un ricordo che non muta. Per cui alla fine, nell’opera di un artista, specie se contemporaneo, i disegni vengono a costituire una parte importante della sua opera, soprattutto quando, come nel caso di Timoncini, non sono nati con lo scopo di servire da base per un successivo dipinto, ma come opere a sé, autonome.
Allo stesso tempo sono una parte incredibilmente autentica delle sensazioni di un artista, perché sono privi di qualunque committenza, e quindi liberi, spontanei e genuini nella loro immediatezza. Una sorta di diario che si scrive, pensando che, ovviamente, nessuno mai lo leggerà.
I disegni di Timoncini che qui si presentano sono appunto questo, un diario, che registra le emozioni di un giovane poco più che ventenne che dalla natia Faenza si era spostato a Milano.
Era il 1951, dunque un periodo post-bellico, ma con una ricostruzione già largamente avviata, con una ripresa che cominciava a coinvolgere soprattutto le grandi città come Milano. Per un giovane che proveniva dalla provincia, quella Milano offriva spettacoli e occasioni nuove, soprattutto la sua dimensione “metropolitana” rappresentava qualcosa di inedito rispetto alla natia Faenza. Offriva storture, bellezze e impensate curiosità, per di più viste con gli occhi di un giovane esuberante, come si può essere a quell’età, assetato di novità, ma per sua natura riflessivo e indagatore.
A guardare i disegni di quegli anni sembrano essere due gli aspetti che principalmente lo hanno colpito, la solitudine e le false apparenze. Già, proprio così, poiché nella grande città dove un provinciale sperimenta una quantità di situazioni e sensazioni nuove, non accessibili in provincia. Nella Milano di quegli anni - con un boom economico che muoveva i primi passi - si sperimentava che tanti insieme non facevano popolo, ma massa di soli. Timoncini tuttavia, se si deve far conto dei disegni, è stato inizialmente colpito da gente avvinghiata e aggrappata a una solitudine amara, che si consumava talvolta in mezzo alla folla. Così appare la bellissima ragazza che occupa la scena di Viaggio in tram del 1959 (fig. 27) e a lei fa perfetta compagnia un’altra ragazza seduta Al bar (1959, fig. 28). Di ben altra consapevolezza si mostra invece la figura presente in La solitudine del parco (1964, fig. 57), silenziosa e quietamente impotente.
In quella città e in quegli anni - appunta Timoncini nei suoi schizzi - si poteva vivere da soli anche stando insieme. E un paradosso che si coglie ad esempio in un disegno - Le amiche del 1958 (fig. 6), che mostra le due donne sedute, vicine, l’una ombreggiata, l’altra solo schizzata con pochi tratti. Non si guardano, non hanno nulla in comune salvo il loro essere sole insieme.
Una sensazione che forse potrebbe cogliersi anche in altro disegno, Le ore intime del 1958 (fig. 12). Lui e lei hanno forse fatto l’amore, ma non sembra di scorgere tenerezza fra loro, né unione, immersi come sono ciascuno nei propri problemi e nei propri singoli dilemmi. Sì, è appunto questo che balza all’occhio, un’assenza di tenerezza là dove per sua natura dovrebbe esserci. Così non meraviglia vedere diverse scene di lui e lei al parco (figg. 48, 52): seduti su una panchina si parlano, compostamente, senza alcun esteriore segno di affetto.
L’unico momento in cui forse questa dura solitudine si scioglie è raffigurato in un inchiostro acquerellato del 1962, Le prime confidenze (fig. 51), un attimo in cui due solitudini si mettono a confronto e si fanno coraggio a vicenda, raccontandosi le prime difficoltà e l’impatto con l’imprevisto mondo degli adulti.
Non di rado questo sentirsi soli nella massa cerca di nascondersi con apparenze contrastanti, come la giovinezza o la bellezza esagerata dal trucco. Sono drammatici e sconvolgenti, ad esempio, i volti delle due ragazze che l’artista ha raffigurato nel disegno a biro, Nello specchio della vetrina del 1959 (fig. 20), o quelli più attempati delle tre donne che si vedono in Notturno elegante (fig. 22), dello stesso anno. Quelle maschere che in altri casi si assumono per ravvivare una bellezza che sfiorisce, qui sembrano denunciare una grande e continua solitudine. Del resto è la stessa atmosfera che si respira in Il club delle signore o in Tre nobildonne (figg. 23 e 24), figure impacchettate, a loro modo tragiche, quasi larve di presenze.
Del loro chiassoso apparire Timoncini non ha scorto tracce al di fuori di quei luoghi che queste creature solitamente frequentano, per lo più le vie del centro, ricche di vetrine, luoghi ove la comparsata dell’apparire riesce meglio e dà più soddisfazioni. Fuori da quelle zone, invece, ai margini di una città che stava crescendo, il decoro non era più dello stesso tipo. Lì le case o i casoni popolari finivano e cominciavano i campi e in più di un’occasione Timoncini ha ritratto la città proprio stando in quei campi, come testimoniano i disegni Paesaggio lontano e Periferia lontana (figg. 14 e 39) o anche Ai confini della città (fig. 40). Colpiva l’artista la disadorna grandezza di quei caseggiati che si andavano costruendo, sproporzionatamente alti, con tante finestrelle piccole e nere, segno di agglomerati ristretti, tanta gente in uno spazio ridotto. Lo si vede bene in Il sapore del cemento (fig. 43) del 1961. Sono schizzi eloquenti che attraggono e respingono, perché da un lato sono semplici e accattivanti, dall’altro lasciano intuire ambienti di anonimato e solitudine.
Giovane e capace di meravigliarsi Timoncini in quel periodo ha osservato anche il comportamento della gente comune, cominciando a scorgere atteggiamenti e modi di vivere che solo qualche anno più tardi sarebbero stati, insieme al tema della solitudine, il preferito campo di indagine degli artisti del Realismo esistenziale. «Tanta gente, tanti uomini e tante donne ammucchiate nei negozi, lungo i marciapiedi e nei tram [...] parevano tutti uguali», come «un fiume senza sorgente e senza foce», aveva scritto in un appunto del 1955.
Alcuni uomini delle grande città che Timoncini allora cominciava a conoscere gli sono apparsi dominati da un’ansia incontrollata, che oscillava fra la sensazione di solitudine e di anonimato e un’ansia altrettanto incontrollata di fare, di correre. I due estremi sono raffigurati in due schizzi di quegli anni: da un lato L’ansia di arrivare, un inchiostro acquerellato del 1964 (fig. 58) e dall’altro il suo implacabile contrapposto, ben significato da La fatica dell’attesa, del 1970 (fig. 66).
Appariva certamente curiosa e sconcertante questa umanità metropolitana, quella che in alcune opere Timoncini sembra voler riassumere nelle figure dei due progenitori, Adamo e Eva, raffigurati ad esempio in un inchiostro del 1958 (fig. 5), due figure emblematiche nella loro disarticolazione, richiamate l’anno successivo in un’altra composizione non meno drammatica, La morte di Adamo (fig. 30).
La consapevolezza e la partecipazione alle situazione psicologiche e sociali della vita di quei tempi colloca del tutto a ragione l’opera di Timoncini fra quella di coloro che più tardi, sono stati etichettati sotto la dizione di artisti del Realismo esistenziale. Alcuni fra loro si conoscevano e si frequentavano (Ferroni, Guerreschi, Banchieri, Romagnoni), altri invece sono stati accostati al Realismo esistenziale per le loro opere (Plattner) o per una parte di essa (Bodini, Vespignani). Timoncini si situa fra costoro.
In quegli stessi anni infatti ha sondato con la sua arte alcuni dei temi più tipici e contraddistintivi del Realismo esistenziale, come la solitudine e il mondo delle apparenze. Ma con una diversità di fondo, che quasi ribalta la sua posizione e comunque la colloca su un piano diverso da quello di quegli artisti. «Il mio “Realismo esistenziale”», annotava già nel 1960, «è più corretto chiamarlo “figurazione dell’esistenza”. Non ho mai cercato il dramma e la disperazione, semmai ho concesso qualcosa alla tenerezza e alla compassione». In queste parole è ben delineato l’elemento discriminante: come quelli del Realismo esistenziale, anche Timoncini ha posato, senza fare sconti, il suo sguardo e il suo pensiero sulle condizioni dell’uomo in quel momento, ma il suo è stato uno sguardo compassionevole e non di condanna. Soprattutto ha evitato di rimestare con amaro compiacimento la lama della sua arte nella ferita di quel tipo di esistenza.
Lo dirigeva semmai verso una scelta la fede, attraverso la quale ha assaporato in modo diverso fenomeni dolorosi come la solitudine, l’anonimato, l’insignificanza e, mentre per la maggior parte degli altri artisti, mancavano sempre e comunque i presupposti per una via di uscita, per Timoncini questa esisteva e si trovava nella fede. Quale fede? Non quella di certe Donne in chiesa (figg. 25, 26), intempestive presenze in un luogo per loro inadatto. Semmai la speranza Timoncini la vede in Cristo che salva e dunque Crocifissione (fig. 29), una figura scarnificata, straziata dal dolore, come lo è la figura di Maria nelle due Deposizioni contenute in questa serie di disegni (figg. 10, 11).
Due fra le ultime composizioni - sono del 1968 - si intitolano Corsi e ricorsi della storia e Homo sapiens (figg. 62, 63): non è difficile scorgere nell’uomo raffigurato lo stesso Timoncini, quasi assunto a simbolo dell’umanità, travagliato da pensieri, ingranaggi, specchi, inferriate, mani che si stringono su di sé e su tutto la riflessione che porta al «cercare di capire», il senso delle cose, quelle che si vorrebbero e quelle che invece si vivono. «Posso essere testimone», scriveva nel 1959, «solo del mio tempo: di questo tempo che mi circonda, entro il quale io vivo, vedo, sento e muoio lentamente. Non posso aspettare, non posso rimandare nulla».”
Prof. Paolo Bellini (dal catalogo: “Timoncini : i disegni degli anni Cinquanta e Sessanta”, Arianna Sartori Editore, Mantova, 2008)
Inaugurazione: Sabato 21 febbraio, ore 17.30
Galleria "Arianna Sartori"
via Cappello, 17 - Mantova
Orario di apertura: 10.00-12.30 / 16.00-19.30. Chiuso festivi
ingresso libero