Giocattoli, alberi e libri. Una stanzetta abitata dai giochi d'infanzia ospita alle pareti i disegni-strutture di carri armati; tra gli elementi e lo spazio s'innesca un "gioco" logico, lucido e crudele.
Marta Colombi. Del “gioco” logico, lucido e crudele.
di Ida Terracciano
All’interno del dualismo innocenza – disincanto si articola la ricerca espressiva di Marta Colombi.
Una dolce stanzetta abitata dai giochi d’infanzia ospita alle pareti i disegni-strutture di carri armati; tra gli elementi e lo spazio s’innesca un “gioco” logico, lucido e crudele, che non ha un suo centro nella retorica della corruzione della sensibilità, ma dispiega l’avvicinarsi inerme dell’innocenza e dell’incanto alla mostruosità del reale. L’incontro tra queste due dimensioni e la loro coesistenza è reso possibile dall’atmosfera quieta e sorda e dall’indifferenza della quotidianità. In fondo ci sembra che questa stanza non sia da tempo abitata dagli affetti, che forse non lo sia mai stata, o peggio, non sia mai stata vissuta.
Sempre concepite in una logica di frequentazione gestuale o ambientazione spaziale appaiono i giocattoli-trappole, ora carri armati ora innocenti tricicli, i giocattoli-armi, raffinati e ricercati nei capziosi nomi, gli aerei e le piccole case.Tutti questi elementi sono ridotti dal rigore estremo del disegno, con la volontà di togliere il superfluo e con taglio chirurgico scavare nel ‘pieno’, restituendo così più che un concetto, l’idea archetipica che è dietro le cose obbligando ad andare di là delle apparenze.
In fondo è una ricerca improntata alla conoscenza che dà per certa l’irraggiungibilità dell’idea di bene e perciò il suo segno diventa reminescenza.E’ questo per il momento, l’esito più autentico della ricerca espressiva di Marta Colombi; dietro il gioco dell’innocenza e della sua alterazione, il segno dell’artista resta protagonista, si combina e sì fa struttura diventando corda o ferro, ma è prima d’ogni cosa “essenza”, perché è testimone implacabile di ciò che manca. Quello di Marta Colombi è uno sguardo-segno che solo superficialmente si potrà dire “scarnificante”, perché non corrode la ‘cosa’, ma si materializza in una struttura sensibile, fatta di vera essenza; proprio per questo soffre il vuoto e rimanda continuamente al pieno dal quale è stato defraudato.
Elena De Prezzo. , L’oggetto è la storia
di David C. Fragale
Non ricordavo Elena De Prezzo fino a quando non ho rivisitato con la memoria la sua installazione, come se avessi lasciato dentro i ceppi di legno del suo lavoro il ricordo stesso della loro visione, come se non potessi accedere alla memoria di questa artista se non tramite il recupero mnemonico della sua piccola tundra totemica. Perché questo fa il legno, ascolta e trattiene, o, come in questo caso, si fa testimone e conservatore di numeri che per noi hanno un significato importante (la nostra nascita, l’incontro fatidico con il primo amore, il primo stipendio guadagnato facendo ciò che piace, e via dicendo).
Non c’è spettacolarità nella spoglia foresta di Elena De Prezzo, e neppure nelle sue colonne-scogliere di cartone, tomba di un albero pompeiano, monito sussurrato e pacata ammissione di colpevolezza – non c’è spettacolo, dicevo, solo un minimale riserbo verso la pratica della memoria e il codice numerico al quale abbiamo assegnato i ricordi più cari, o un’intenzione psicoscopica: la storia è nell’oggetto, l’oggetto è la storia.
Il suo maggior pregio sta nella sua capacità di affacciarsi sulla purezza dell’istigkeit, nel suo avvicinarsi all’essenza delle cose, nel suo coinvolgere lo spettatore in una lettura che non è dell’opera, ma un’auto-analisi del nostro vissuto, con la scusa della ricerca della data più consona, del momento più topico – mentre il legno aspetta, ascolta, e un po’ beffardamente (da parte di Elena, da parte di noi tutti), come nel raffinato prodotto ultimo che da esso si ottiene, cioè la carta, ancora una volta si lascia scrivere addosso.
Accademia Contemporanea
via S. Calocero 27, Milano
orari: 16-19, al mattino su appuntamento
ingresso libero