Villa Salus
Bastia Umbra (PG)
via Maiorana

E vide che la luce era buona
dal 20/3/2009 al 7/5/2009

Segnalato da

Enrico Sciamanna




 
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20/3/2009

E vide che la luce era buona

Villa Salus, Bastia Umbra (PG)

Attraverso la mostra fotografica si esplora un'ulteriore immagine di bellezza scandagliando orizzonti e offrendone la grazia alla visione di chi entra nelle strutture.


comunicato stampa

Dal 21 marzo ’09 e fino al 3 maggio riprende l’epopea “La bellezza è tra l’arte e il silenzio” inaugurata al principio dello scorso inverno, dietro la direzione artistica di Enrico Sciamanna con una nuova mostra, questa volta fotografica. Stesse le sedi, medesimo l’intento una perlustrazione nelle regioni della bellezza e la presentazione di temi di riflessione sui nostri giorni. Attraverso la mostra “e vide che la luce era buona” si esplora un’ulteriore immagine di bellezza scandagliando orizzonti e offrendone la grazia alla visione di chi entra nelle strutture.

”e vide che la luce era buona” è una mostra fotografica: chi sceglie questo linguaggio cerca di donare allo sguardo una fonte di memoria e di verità duratura. In questi tempi in cui tutto sembra liquefarsi, anche il ricordo, usufruire dell’offerta di qualcosa di solido rappresenta un approdo tra i gorghi e le secche.

I tre artisti che espongono le loro opere nelle sale del Relais Resort S. Crispino resort Spa a Tordandrea, sulle pareti di Villa Salus clinica chirurgica Medical Skin & anti aging Center, a Bastia Umbra e sui muri del bar Domus Book cafè, della Residenza d’epoca S. Crispino in Assisi, squadernano un ventaglio di possibilità calate in maniera determinata e fungibile in tre ambiti: l’uomo, la natura, lo spirito. Vittorio Battaglia punta il suo obbiettivo prevalentemente su soggetti umani, ambienti antropizzati e manufatti; Marco Francalancia visita spazi sconfinati e atmosfere incantate di colori e forme; Gino Bulla cerca e propone una sorta di estasi suscitata dai profili dei deserti algerini, dalle dune, dalle montagne frantumate, dalle rare e preziose acque, dalle città improbabili. Nel contempo tutti e tre fanno incursioni nei territori degli altri: l’uomo porta con sé lo spirito, la natura abbraccia l’uomo e le sue opere, a sua volta lo spirito è impregnato di umanità che si nutre di natura.

Ma l’insieme è una solidificazione, una certezza, un riferimento. Alla proposta estetica delle foto dai risalti chiaroscurali e cromatici, dalle inquadrature dai tagli ineccepibili, dagli equilibri sobri o ricercati, si affianca una meditazione sull’uomo e sugli archetipi del mondo che è, per chi vuole e lo sa leggere, un vero e proprio resoconto esistenziale, un punto fermo.

La fotografia come disvelamento, la scoperta tramite il sollevamento del diaframma che cela la vera essenza delle cose, il termine del percorso che conduce ad una conoscenza profonda anche se non ultima, bensì l’approssimarsi ad essa. E tale contatto ci fornisce un prodotto che è un oggetto in sé, non la riproduzione di una cosa, ma “una cosa” che pulsa di vita propria, anche se con le sue forme riconduce a nature esistenti. Perciò le visioni del deserto d’Algeria, di un ambito determinato che assume le sembianze di un tema ricorrente, un topos assoluto, sono estrazioni di verità cosmiche, ultraterrene, mistiche, spirituali, messaggi che sfruttano sembianze per traghettarsi direttamente all’interno della nostra anima. I deserti divengono centrali di accumulo e smistamento di energia oltremondana. Il deserto è il luogo del minimo: delle forme della vita, delle differenze, delle varietà; nelle foto di Gino Bulla assume la funzione di porto dello spirito,un luogo di pellegrinaggio archetipico dove conoscere al meglio il sé e il suo svolgersi.

Lo stesso strumento, l’obbiettivo, filtra la luce e gli spazi, addensando sulla superficie frattali di universo in fisionomie territoriali riconoscibili e affascinanti, di un fascino palpabile, che invade tutti i sensi li alliscia, li lusinga, li esalta. I tagli d’inquadratura di Marco Francalancia, eseguiti su territori più prossimi, la Valnerina, Castelluccio di Norcia, sono acrobazie su una corda tesa tra fotografia e pittura. Estrazione di concetti tramite le linee del suolo, i profili delle colline, le nevi delle montagne e delle pianure; gli artefatti si combinano naturalmente con il terreno, sugli sfondi celesti, addizionati di brume, calpestati da animali e, talvolta, anche da esseri umani che sembrano esprimere una continuità totale con la natura, fino ad apparirne metamorfosi. Stampati su una tela analoga a quella usata dai pittori, tanto da ottenere un risultato che beneficia di un valore aggiunto.

Vittorio Battaglia studia il gruppo umano. “Le case che tacciono nelle vie”, i santuari, le tenere desolazioni e i vecchi che sorvegliano la quiete. Il tutto in un bianco e nero calibrati, che si sciolgono nella vita cittadina coinvolgendola e stemperandola in una distillata malinconia. Nei suoi frammenti di discorso sembra quasi che il ritmo del mondo sia rallentato, quasi sospeso in un’esausta atmosfera, percorsa dal suono tiepido della risacca del mare invernale, dal sorriso dei muri raschiati, dai pensieri pastosi degli indigeni del suo personale universo. Il conto dei giorni è scandito dalle magie bianche e nere della camera oscura, un continuo ritorno a stretti giri raccontato ad episodi in cui non c’è fremito, ma controllato incanto. Un elogio della lentezza per immagini rivolte ad un esistente che vale di per sé non per ciò che rappresenta.
Enrico Sciamanna Francesca Sciamanna

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