Case di cartone. Dal 2005 al 2008 le artiste hanno documentato cio' che rimaneva di un villaggio di sfollati del Vajont, dopo la frana del monte Toc nel 1963. Le strutture precarie adibite ad abitazione hanno resistito molto piu' a lungo di quanto era stato programmato, trasformando il paesaggio e creando una memoria di quartiere. Nell'estate del 2008 il villaggio e' stato demolito.
un progetto WOM/workingonmemory
montaggio video e suono: CLaVie
Il 9 ottobre 1963 si stacca dalla costa del monte Toc in Friuli, una frana lunga 3
chilometri, da oltre 270 milioni di metri cubi di rocce e terra. La frana arriva a valle,
generando una scossa sismica e riempiendo il bacino artificiale. L’impatto con l’acqua
causa due ondate: la prima si schianta contro la montagna, la seconda, scavalca la
diga e, precipitando verso la valle, travolge Longarone e altri paesi limitrofi, causando
la completa distruzione della città e la morte di quasi 2000 persone.
La comunità riprende subito a ricostruire il tessuto sociale distrutto, ma viene deciso
di costruire anche alcuni paesi ex novo. Vengono così progettati da zero il comune di
Vajont e altri centri più piccoli, come in provincia di Belluno, dove gli abitanti sfollati
si insediano. Anche in provincia di Pordenone, a Claut, tra le montagne friulane, in
seguito a quel disastro, vengono costruiti 50 alloggi prefabbricati per la sistemazione
provvisoria delle famiglie “sfrattate” dal disastro. Il villaggio viene collocato poco
fuori dall’abitato, su una radura pianeggiante e soleggiata. Alcune di quelle famiglie
continueranno ad abitare in quelle case prefabbricate, per oltre 40 anni.
Marissa Morelli e Max Rommel hanno documentato, tra il 2005 e il 2008, ciò che
rimaneva di un villaggio di sfollati del Vajont, quello confinato fuori Claut (PN). Le
strutture precarie adibite ad abitazione hanno continuato ad esistere molto più a lungo di
quanto era stato programmato, sfidando le leggi del tempo, trasformando il paesaggio,
creando una memoria di quartiere, tracciando ed allargando confini. Nell’estate del
2008 il villaggio è stato demolito.
Il lavoro di Marissa Morelli e Max Rommel mostra ciò che rimane dell’identità di quei
luoghi e della memoria privata e collettiva degli abitanti ed è stato raccolto in una prima
mostra e in un libro (Case di cartone, Spilimbergo Fotografia 2008, a cura di Antonio
Giusa e Case di cartone/Cardboard houses, Forum ed., Udine, 2008). Ad Assab One
viene presentato un allestimento inedito che comprende due serie di fotografie, circa
venticinque C-print, dodici digital print e due video.
Marissa Morelli (Paesi Bassi, 1967) e Max Rommel (Pordenone, 1972), vivono e
lavorano a Milano. Attraverso la fotografia e il video indagano le realtà della sottrazione,
la memoria dei luoghi, delle persone e delle cose. Nel 2004 hanno creato WOM/
workingonmemory: un serbatoio di microstorie, un archivio di memorie, un corpus
visivo ed orale sottratto alla dimenticanza.
Tra le mostre a cui hanno partecipato: Arte
XXI, Centro Culturale Aldo Moro, a cura di Chiara Tavella, Cordenons (PN), 2009; Case
di cartone, Spilimbergo Fotografia 2008, a cura di Antonio Giusa, 2008; Luoghi della
memoria/Places of Memory. 20 anni di fotografia nei cotonifici dismessi del pordenonese,
Ex convento di San Francesco, Pordenone, a cura di Antonio Giusa, 2008; Storia di una
strada, Villa Carinzia, Pordenone, 2004.
Il loro lavoro è stato documentato nei libri Storia di una Strada, M&B, Pordenone, 2004
e Case di cartone/Cardboard houses, Forum ed., Udine, 2008.
opening sabato 18 Aprile alle 19
Assab One
via Assab 1 Milano
martedì al venerdì, dalle 15 alle 19 e su appuntamento
apertura straordinaria domenica 19 aprile dalle 12 alle 18
ingresso libero