Landscapes with a soul. L'opera della Kindermann si affida totalmente alla natura, e in essa rispecchia anche il proprio se', sentito come parte della natura stessa. In mostra una serie di fotografie.
a cura di Daniele Liguori
A MISURA D’ANIMA. AVVENTURE DELLO SGUARDO.
di Elisabetta Bovo
“J’aime les nuages…les nuages qui passent…là-bas…là-bas…les merveilleux nuages!”. Il grido di amore che lo straniero di Baudelaire, in Le spleen de Paris, lancia alle nuvole, fuor di ogni latitudine, quale segno di una propria identità, lui che non ha né patria né famiglia, potrebbe essere assunto a sigla dell’attuale mostra personale di Brigitte S. Kindermann-Kreile, che dello stato infinitamente mutevole del cielo ha fatto un leit-motiv del suo universo fotografico.
Perché le nuvole? Forse perché esprimono in forma visibile, registrabile con gli occhi, la fugacità della vita, lo scorrere del tempo, il panta rei della natura, legge cosmica universale, inquietante e rassicurante al tempo stesso. Nuvole in fuga, in perenne trasformazione, da materia senza forma a forma priva, o quasi, di materia. Segni d’infinito, in grado di suggerire i lineamenti di qualsiasi cosa: un carro, un arciere, un putto appeso in cielo, centauromachie o tavole imbandite, un cappello o un cane che abbaia (Leonardo Da Vinci studiava la forma di nimbi e cirri come repertorio di un immaginario da scoprire per poi dipingere immagini sempre nuove). Talvolta le nuvole nel loro andare senza meta disegnano i tratti di un volto per poi sbizzarrirsi a dilatarne i contorni, a deformarlo, cancellandolo per sempre, senza lasciarne traccia. Come fa il tempo, con i nostri visi di carne. L’opera di Brigitte coglie l’attimo, sottrae l’immagine di quel volto celeste, fatto della stessa materia dei sogni, al dissolvimento definitivo. La fotografia ne è la traccia permanente, il segno-testimonianza che da quel momento in poi si sostituisce a quell’istante fugace, vissuto e osservato ma ormai trascorso, che gli occhi hanno colto, l’anima ha registrato e ricorda, e che solo il mezzo fotografico rende imperituro (potenza semantica del verbo “immortalare”!)
E perché le isole lambite dal mare, colte quasi in sovraesposizione o in dissolvenza, metafora materna delle acque e della loro ambivalenza? E, ancora, perché il sole tra le nubi, espressione di luce che filtra tra l’opaco e il tenebroso, simbolo – da sempre e in tutte le culture – di un’Alterità divina che si rivela e lancia uno sguardo furtivo sulla terra ai suoi piedi? Iconografia del mistero a tutte le latitudini, gioco infinito di velamento-disvelamento e di nuovo il calare di un velo, insito nel semplice movimento del ri-velare (metaforico e reale), gesto sacro per eccellenza, che la liturgia della natura mette in scena con frequenza. Sono immagini in cui il paesaggio coincide con l’anima, distese di nuvole e spiragli di luce a cui aggrappare lo sguardo cercando la propria razione quotidiana di orizzonte. E ciò vale per chi fotografa e per chi guarda queste fotografie d’artista.
Sono immagini che entrano nel tuo mondo interiore e vi rimangono come flash che accendono di luce il quotidiano, tanto che – o per motivi di persistenza retinica o di sogni che ti porti dentro - le puoi vedere anche a distanza di tempo, a occhi chiusi, sullo schermo dell’immaginazione, come un angolo di cielo che ti aspetta silenzioso, nitido nella memoria. L’effetto è quello di immergere il sogno nella vita, più che la vita nel sogno.
Del resto, come nei racconti di Pessoa o di Borges, il sogno stesso è un’immensa nube, e il binomio sogno-nuvola apre la via alla lettura dell’inconscio, ai significati latenti inscritti nel desiderio dell’uomo di librarsi nell’aria. Nel sogno l’uomo non solo vola, ma può vedere se stesso proiettato, senza peso, nel cielo, sopra coltri di nuvole. Lo stesso avviene con le opere di B. S. Kindermann.Kreile: fotografie di grande formato stampate su supporti lucidi e riflettenti – lastre di alluminio, plexiglass o vetro – in cui, mentre osserviamo le distese d’azzurro e di nubi o gli arcipelaghi immersi in un oceano sconosciuto (ma forse è un mare vicino, e ha solo l’apparenza dell’ignoto o dell’esotico), vediamo riflessi noi stessi, proiettati nel paesaggio, in mezzo a greggi di isole o nuvole. Sospesi nell’aria, come i violinisti o gli amanti nei quadri di Marc Chagall a sorvolare il mondo, quasi librati a volo d’uccello a solcare le distese d’azzurro e di smeraldo dei mari e dei cieli che Brigitte ha catturato per sé e per noi., acquisiamo uno sguardo nuovo, una capacità di vedere la natura e noi stessi a distanza inedita, più ravvicinata, dall’interno.
Se, infatti, l’opera della Kindermann si affida totalmente alla natura, in essa rispecchia anche il proprio sé, sentito come parte della natura stessa. Di qui nasce l’armonia delle immagini proposte. E se da un lato emerge il sentimento del Romanticismo tedesco dell’Ottocento che vedeva riflesso nella natura lo stato d’animo dell’artista, fino all’esperienza del sublime e alla coscienza dell’incontenibilità dell’infinito nell’animo dell’uomo, dall’altro l’invito panico -a far parte di un tutto- che promana dalle opere di quest’artista, il senso di immersione totale nella natura, di affinità e sintonia con gli elementi naturali, non può non farci pensare alle quattro componenti primordiali del mondo, agli “elementi” originari del reale, già scoperti dalle scuole presocratiche: acqua, aria, terra e fuoco. Ha ragione Bachelard quando afferma che “per essere partecipi degli spettacoli e delle forze del mondo, bisogna ritornare incessantemente alle immagini primarie che, da sempre, hanno animato l’istinto poetico”. E’ dalla concordia primigenia tra physis e psyche, che affonda le sue radici in un ancestrale panteismo, che Brigitte trae la gioia e la motivazione interiore per il proprio lavoro artistico, espressione di libertà e di una sempre nuova scoperta.
La sua ricerca, più che ventennale, varca le soglie del mezzo fotografico: tutte le immagini sono sì prese dal contesto in cui l’artista, che è anche grafica e pittrice, si trova, ma sono “tagliate” con l’inquadratura, costruite e pensate in continuità con la visione interiore. “Le mie fotografie – asserisce lei stessa – nascono da un tocco d’anima. Se non sento nulla o non ho nulla da esprimere non fotografo”. Così le sue opere, come aperture su uno spazio luminoso, rimandano a luoghi realmente esistenti ma trasfigurati in paesaggi che hanno in sé qualcosa di magico e di evocativo, e attingono alla tridimensionalità grazie al gioco di specchio che la superficie riflettente crea o mediante la pregnanza del colore che s’annida nella lastra vetrosa, conferendo un’inedita profondità all’immagine, e dunque alla visione. La fotografia è allora luogo di trasfigurazione che lascia affiorare forme e colori oltre la soglia percettiva dell’opera. Vibrazione, energia, luminosità, impalpabilità del colore e dell’oggetto raffigurato (sono tagli purpurei nelle carni del cielo o sciarpe violacee che orlano il mare? lingue di fuoco o barbagli di luce? sfilacciature di nuvole o lembi frastagliati di terra? Non per nulla alcune nuvole al levar del sole e al tramonto prendono, in nimbologia, il nome di “piume di fuoco”) sono le caratteristiche dell’opera di Brigitte, che indicano la carica visionaria delle sue immagini.
Così ella trae dall’arte – techne, nell’accezione greca - della fotografia un senso che la trascende e che risponde ad una sua risonanza interiore, a un desiderio di assoluto, sia che ritragga visi di bimbi – incantata dalla purezza e innocenza dei loro occhi - accompagnandoli nella crescita nel corso dei mesi e degli anni, in una serie fotografica di grande intimità e poesia, dedicata all’Avventura della vita, sia che imprima ai suoi paesaggi d’acqua, di terra, di vento e di fuoco – come quelli ospitati nella Barchessa Rambaldi di Bardolino – fluenze quasi astratte, eppur liriche, in quanto echi e risonanze di istanti sospesi consegnati al tempo della contemplazione.
E su tutte queste immagini Brigitte lascia la propria rispettosa e gioiosa impronta, come orma leggera sulla neve, come scia luminosa in una regione del cielo, come quel sorriso che ogni tanto le illumina il volto in questa sua mai conclusa ricerca d’infinito.
Elisabetta Bovo
Giornalista pubblicista e critico d’arte - docente di Iconologia, iconografia ed ermeneutica dell’immagine all’Università UTEEP del Comune di Verona
vernissage: 4 luglio 2009. ore 18
Barchessa Rambaldi
via San Martino - Bardolino (VR)
Ingresso libero