Sebastiano Messina: Lo sguardo del sacro, fotografie che restituiscono linfa vitale agli oggetti. La trascendenza del Reale: nei suoi dipinti Paolo Di Tonto recupera qualcosa dal deposito della classicita' mediterranea, nelle sue foto Giuseppe Nubila posa uno sguardo barocco sulle cose.
A cura di Tiziana Di Bartolomeo
Sebastiano Messina
Lo sguardo del sacro
L’arte fotografica con la crisi dei sistemi visivi e dell’espressività tradizionale (cioè delle tecniche storiche come la pittura da cavalletto), ha raggiunto nell’ultima decade un prestigio imprevedibile. La sua forza sta nell’obiettività, in quel suo accreditarsi come immagine “vera” in quanto ottenuta per via meccanica e con uno strumento non emozionato.
Come si vede, questa premessa mette in un certo senso avanti ragioni che sono opposte a quelle che garantiscono il successo delle fotografie di Sebastiano Messina.
L’artista, infatti, forza il mezzo riproduttivo proprio in direzione della visionarietà. Questo fatto, di cercare la “difficoltà” del proprio strumento o linguaggio e, dopo averla individuata, non fuggirla od aggirarla ma farne un mezzo di incremento della propria intensità creativa costituisce uno dei più affascinanti enigmi della storia artistica. Non è un mistero che proprio dal contrasto di durezza marmorea e cedevolezza epidermica che le sculture berniniane della Galleria Borghese ricevono eterna ammirazione.
Nel caso di Messina, la “durezza” sarebbe ciò che nella nostra esistenza sembra essere un’implacabile determinismo delle cose, una materialità senza riscatto di tutti gli oggetti inanimati. L’artista si ribella: vuole cavare vita da ciò che appare inerte o sfruttato o troppo noto, banale. Vuole recuperare il mistero come per indicare che la segreta linfa della vita è solo discesa un poco sotto la superficie, non è spenta.
Il mistero, ciò che spaventa e rigenera allo stesso tempo è quindi in agguato ma non si offre che all’attenzione di chi sia sufficientemente puro dall’insaziabile avidità del possedere e del consumare che ci fa trasformare ogni epifania dell’esistente in merce.
Messina riporta alla patria originaria, alla loro funzione evocatrice quelle cose che meglio si prestano a una simile rigenerazione; le va a cercare nei luoghi dove la stratificazione della vita è più forte, più spessa della polvere del moderno e agitato enciclopedismo turistico che si contenta di nozioni e non cerca apparizioni.
Le immagini di Sebastiano Messina sono parti di un tutto che non può essere contenuto nel limite fisico dell’obiettivo; le cose si danno per allusione, anche per enigmi: come vaticini che interrogano il ricevente ma anche gli svelano qualcosa che aveva sotto lo sguardo ma non sapeva osservare.
Storico dell’Arte Gianluca Tedaldi
---------
Paolo Di Tonto e Giuseppe Nubila
La trascendenza del Reale
Questi artisti hanno un tratto comune perché, pur in modi diversi, hanno saputo esprimere ciò che è essenziale per un moderno ritorno alla figura e all’immagine: quello di legarla saldamente alla propria esperienza di vita e di cultura. Lo spettatore, più che passeggiare davanti ad una schiera di immagini, possiamo dire viene persuaso di incontrare vere e proprie individualità figurative: il dipingere o il fare fotografia non è più un esercizio esterno alla persona, una “sovrastruttura” di cui si può fare a meno, ma diventa diario interiore e quasi un processo di iniziazione.
In questo, nel processo iniziatico, si parte dal certo e dal banale si ci si avvia a percorrere l’ignoto cammino che reperisce significati nel mondo circostante; in questo sta la sacralità di ciascun sentiero tracciato dagli artisti.
L’apparenza è solo un punto di appoggio da cui Di Tonto e Nubila si staccano entrando in quello spazio dove assume l’aspetto di un testo teatrale, che ciascun interprete può adattare o forzare in modo che si adatti a lui mentre egli stesso lo porta alla vita.
La scena di questo immaginario teatro cambia quindi secondo le inclinazioni e la sensibilità degli interpreti.
La fisicità dei corpi ritratti da Paolo Di Tonto recupera qualcosa dal gran deposito della classicità mediterranea: la larghezza dei piani di colore, la fluidità della linea, in altre parole a capacità di essere liberi dall’incalzare del tempo che passa. È classica una forma che basta a sé stessa, che non ha bisogno di spunti narrativi perché possiede in nucleo esenziale di ogni storia, il ritorno all’equilibrio originario.
La figura umana è anche paesaggio, “natura silente” (come diceva De Chirico), racconto. Universo espressivo. Vorrei citare, a proposito della figura umana, le parole bellissime scritte negli Anni Trenta da Mario Mafai sul suo diario. Si tratta di parole che possono anche riferirsi alle qualità dei dipinti di Paolo Di Tonto:
Come si vede, la ribalta sulla quale ciascuno presenta i suoi personaggi è molto diversa, non potrebbe essere altrimenti in quanto gli artisti che oggi si presentano sono, soprattutto, persone che hanno in sé un universo dal quale emergono queste opere come testimoni di molto di più che però è sommerso.
Giuseppe Nubila potrebbe offrire la sua cifra stilistica per dare suggello formale e concettuale al gruppo oggi in mostra di fronte al pubblico di Capalbio. Nubila è profondamente attratto dalla suggestione di dare uno sguardo barocco alle cose, unendo gli opposti valori di spiritualità e spessore fisico, facendo sistema tra chiaroscuro denso e luce diretta; è lui che pone in campo la realtà moderna ma la guarda con occhi carichi di memoria.
Per sintetizzare queste considerazioni alla luce di un preciso filo conduttore che, come premesso, insiste sulla novità dello sguardo che deve stare a monte della proposta di una nuova figuratività, è mia impressione che il piccolo gruppo oggi riunito possa fregiarsi di questo titolo di merito. Di Tonto e Nubila hanno ereditato dalle ultime avanguardie la capacità “nomadica” di servirsi senza timidezza delle proposte stilistiche del passato, fondendo linguaggi e, soprattutto liberandosi del pregiudizio che vuole l’antifigurazione come un criterio per misurare modernità e sincerità d’intenti. La loro scelta di narrare e rappresentare, in più, non è solo esibizione tecnica ma risponde a un intimo bisogno di trasmettere qualcosa del proprio ordine interiore e, perciò, la loro opera non è solo un prodotto commerciale, un oggetto, ma è soprattutto una comunione con lo spettatore.
Storico dell’Arte Gianluca Tedaldi (giugno 2009)
Ufficio stampa:
ufficiostampa@espressionidarte.it
http://www.espressionidarte.it
espressioniarte@gmail.com
Inaugurazione: martedi 14 luglio ore 18
Castello Aldobrandesco Collacchioni
via Collacchioni, 2 - Capalbio (GR)
Orari: 10-12.30 / 17.30-23
Ingresso libero