Le sue architetture offrono allo sguardo pareti sulle quali non c'e' appiglio narrativo, riposo o contemplazione: sono percorsi da seguire e che affascinano nella loro quasi torrentizia traversata del campo del quadro.
a cura di Tiziana Di Bartolomeo
La riflessione sul rapporto fra il tempo e lo spazio fisico è una delle più significative avventure intellettuali della modernità. Le scienze, che hanno ottenuto nel secolo appena trascorso un prestigio straordinario, hanno molto indagato su questa inaspettata continuità che agli stessi filosofi lancia una sfida seria. Nelle arti figurative il Futurismo si è aperto alla velocità (e, quindi al movimento, al tempo-che-scorre) cercando di rappresentare tutto questo con i mezzi della pittura o della scultura. In apparenza, una battaglia perduta perché le forme immobili, fatte per l’eternità, delle arti figurative tradizionali sembrano non avere risorse per coronare l’aspirazione degli artisti ad esprimere l’attualità in trasformazione.
Eppure, in Boccioni, Sironi, nella stessa Aeropittura quella che sembrava una difficoltà insormontabile è stata anche l’occasione per scoperte inattese. In effetti, la pittura (anche se si potrebbe dire lo stesso di tutte le arti) va cercando qualcosa di più che la pedissequa imitazione dei fenomeni, ne cerca lo spirito che li ha generati e li fa evolvere. Questo “spirito” che anima cose e avvenimenti non ha bisogno di rivestirsi di molta materia; basta quel minimo che serve ad articolare un linguaggio o, nella pittura, una figurazione.
Roberto Mercoldi ha trovato nelle sue fughe prospettiche un filo che ha traversato la prima (e più effervescente) modernità, quello di suggerire una metafora del movimento che è il precipizio. Le sue architetture offrono allo sguardo pareti sulle quali non c’è appiglio narrativo, riposo o contemplazione: sono percorsi da seguire e che affascinano nella loro quasi torrentizia traversata del campo del quadro. Questo, si potrebbe dire, è una metafora del tempo nel fermo immagine di un dipinto: lo spettatore sperimenta una specie di compulsione a percorrere le innumerevoli occasioni di passaggio e, come avviene nella vita quotidiana del nostro tempo, sente di non poter tutto traversare, come chi si smarrisse di fronte ad una tavola imbandita in modo soverchiante.
Le occasioni sono anche richiamate dallo sventolio dei drappi che, come nelle giostre medievali, sembrano essere anche simboli di altro, di persone e di possibili conoscenze o affetti. Tutto a disposizione, tutto raggiungibile eppure anche tutto distante e carico di enigmi.
A chi paragonare più direttamente le costruzioni che Mercoldi offre allo sguardo? Si detto di Sironi, delle sue periferie ritratte quando erano appena sul nascere, anch’esse con quelle feritoie che si inseguono come vetture sull’autostrada; sironiani sono anche i volumi implacabili (trasformazione in fatto storico delle visioni del cubismo e della metafisica). Tutta nuova è invece la serrata dinamica dei volumi, molto tersa e non – come in Sironi – quasi diseredata dalla luce diurna. Anche i progetti mai realizzati di Sant’Elia hanno punti di aderenza con il gusto di Mercoldi a trasformare l’impianto urbano in una carovana che si mette in moto. Dell’Aeropittura sono le sue visioni a volo d’uccello, che escludono il dettaglio delle figure umane e permettono di aver sovranità sopra un universo di forme che, ad immaginarlo visto dal fondo, chiuderebbe lo spettatore in una morsa. Oltre la metafora del tempo, in Mercoldi sembra di intravedere anche un altro pensiero, questa volta dedicato a considerare la nostra vita moderna. L’artista possiede una cultura professionale dell’architettura che gli permette di organizzare con maestria i volumi nello spazio.
A questa sua cultura di partenza, va aggiunta anche un’attitudine che potremmo dire “apocalittica” del tempo d’oggi in cui la suggestione per un’imminente crisi della civiltà è, potremmo dire, linguaggio comune a molte e diverse discipline. Mercoldi rifugge il pessimismo ma resta tuttavia affascinato dall’ipotesi che tutto quello che ci circonda e sovrasta potrebbe, fra non moltissimo tempo, essere visto come una sopravvivenza. In questo confronto col nuovo (e temuto) corso delle cose l’artista sembra aver preso un partito coraggioso, quello di fare il ritratto del suo avversario: rappresentare cioè questa estrema solitudine e negazione del cammino umano in modo da superare lo sgomento e farsene una ragione, una ragione estetica. Anche il soggetto più scabroso, infatti, con la prodigiosa manipolazione dell’artista può diventare fascinoso, se non bello. Da questa inaspettata rivelazione nasce anche la vittoria sulla paura che ci separa dall’ignoto, dall’altro in quanto quell’immagine viene adottata da noi stessi, dalla nostra fantasia e sensibilità. (G. Tedaldi).
Inaugurazione: 21 luglio 18,30-19,30
Zenworld
via degli Scipioni, 243 - Roma
Ingresso libero