Il Ponte
Roma
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Invito all'opera
dal 14/10/2009 al 14/11/2009
lun-sab 12-20

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Il Ponte




 
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14/10/2009

Invito all'opera

Il Ponte, Roma

Un'esposizione che pone al centro dell'attenzione quattro opere di artisti internazionali. Achille Bonito Oliva racconta le opere di Allan Kaprow, Jimmie Durham, Ugo Untoro, Betty Bee.


comunicato stampa

a cura di Achille Bonito Oliva

push and pull, 1991
Allan Kaprow
courtesy Fondazione MUDIMA (Milano)
courtesy Fondazione MORRA (Napoli)
Galleria 1

Gli environment sono spazi ideati da Allan Kaprow, in cui il pubblico è chiamato a intervenire direttamente sui materiali, non semplici installazioni, poiché in continuo mutamento.
L’intento è di approssimare l’ arte alla vita reale. Per questo motivo gli happenings e gli enviroiment abbattono la barriera divisoria tra l’artista e il fruitore che non è più ricettore passivo, spettatore di un’ arte da osservare dal di fuori.
L’interazione: gli spettatori sono attivamente coinvolti nelle azioni sulla stimolazione sensoriale; anche i diversi tipi di suoni e rumori sono materia dell’ arte, così come gli odori, i fasci di luce , le cose da toccare.

Dei principi dell'happining affermati da Kaprow ricordiamo i sette punti teorici:
"I) La linea tra arte e vita deve rimanere fluida, e la più indistinta possibile.
II) Pertanto la derivazione dei temi, dei materiali, delle azioni e la loro corrispondenza possono venire fuori da ogni posto o periodo fuori che dalle espressioni artistiche e dal loro ambiente e influsso. 

III) La rappresentazione di un happening dovrebbe avvenire su parecchi spazi, talvolta mobili e mutevoli. 

IV) Il tempo, di pari passo alle considerazioni sullo spazio, dovrebbe essere vario e discontinuo.

V) Gli happening dovrebbero essere rappresentati una sola volta.

VI) Il pubblico dovrebbe essere interamente eliminato.

VII) La composizione di un happening è eguale a quella di un assemblage e di un environment cioè è costituita di un certo collage di eventi in certe misure di tempo e in certe misure di spazio".

domestic glass meets wild glass, 2006
Jimmie Durham
RAM radioartemobile
Atrium

Presentata per la prima volta alla collettiva del 2006 di Jimmie Durham e Jannis Kounellis presso RAM l’installazioni appositamente create per la mostra.
Jimmie Durham posiziona, una scala di alluminio di cui nasconde la sommità con un lenzuolo bianco, un chiaro richiamo iconografico, ma non iconologico, al tema trattato. Su di esso è poggiata una grossa pietra lucida di ossidiana nera, scalfita su vari lati. A terra migliaia di pezzi di vetro di calici da vino rotti. In una performance per pochi intimi l’artista aveva, infatti, provveduto a spaccare e frantumare un centinaio di bicchieri registrandone il suono, che è stato poi integrato nell’installazione in un secondo momento su suggerimento dei curatori, e lasciato scorrere come una memoria in feedback da un’altra stanza. Il bicchiere rotto riconduce allo spiritualismo, nonché alle pratiche legate all’occultismo: destinatario dell’energia trattenuta e rilasciata dalla pietra-monumento, esso è trasformato in qualcosa di altro, ma non per questo di negativo. Ecco come la cultura Cherokee dell’artista si insinua nell’opera dichiarando guerra agli stereotipi della mentalità occidentale rappresentati dai bicchieri di produzione industriale: la pietra deposta e apparentemente immobile è in realtà fonte di mutazione e di energia positiva. “È come se la pietra esprimesse di per sé un desiderio di volare, per rompere i bicchieri e poi tornare al suo posto”

L’artista mette in gioco, un assunto molto presente nella sua poetica: la trasformazione della materia.
L'ossidiana, rompendo i bicchieri, trasforma, non distrugge, cambia la forma e l’uso di un oggetto, lo traduce in altro. La Deposizione, nell’opera di Durham, è la distruzione. La pietra, la “movie star” dell’opera, come l’artista la ama chiamare, trova il suo posto stabile e fisso nell’atto di trasformazione della materia. Come afferma l’artista “..La distruzione è il posto stabile della pietra. Non si può distruggere la materia, si può eliminare la sua funzionalità, la sua forma. Se venissi a casa tua, e ti rompessi i tuoi bicchieri di vino, questo sarebbe soltanto un atto criminale, ma se li compro e li rompo, questa non è criminalità, non è distruzione, è trasformazione. Così, quando parlo di frantumazione di bicchieri di vino, non voglio dire che questi vengono distrutti, bensì che si trasformano grazie ad una bella pietra nera”.

drowning history
Ugo Untoro
galleria 2

Il vero amore di Ugo è montare a cavallo, che lo ha portato a voler capire I cavalli. Lui cominciò ad esplorare tutto in merito all’argomento. Ha bisogno di scoprire come prendersi cura di cavalli. questa fase continuò ad aumentare: la storia dell'addomesticazione di cavalli, storie eroiche di grandi persone coi loro cavalli modi di costruire un ranch, ed altro. In questo periodo, cavalli iniziarono ad apparire nei suoi dipinti. Iniziò con l’dentificarli principalmente non solo come mammiferi con bellissimi moviment anatomici scultorei ma anche inserendo una parte di questa inetrazione con i cavalli.

Da questo punto di vista possiamo vedere come i cavalli in alcuni dei suoi lavori cambiano partendo da semplici animali arrivano ad acquisire forme simboliche. Allo stesso tempo possiamo anche trovare trace di romanticismo di Ugo in merito ai cavalli. Condizione e prospettiva che si creano solo quando un uomo è inamorato: un mix tra romanticismo, sensualità ed erotismo che Ugo capisce e sente per essere affezionatissimo ai suoi cavalli. Attraverso questa innamoramento, Ugo viene influenzato da molti miti che hanno come soggetti i cavalli. Così. nella sua serie di installazione, i cavalli di Ugo non ci mostrano i valori della bellezza, il coraggio, e la velocità coi loro corpi robusti e luccicanti. Perché dimentica il simbolico e la rappresentazione romantica dei cavalli che laveva espresso in alcuni dei suoi primi dipinti? Ugo ha ottenuto conoscenze approfondite su cavalli. Ora, può vedere che i cavalli nelle storie che li riguardano, storie della loro amicizia con esseri umani sia storie ironiche e tragiche acquisiscono una posizione di eroi dimenticati, come vittime. Ugo ci mostra che l’immagine dei cavalli in tutte le illustrazioni romantiche e di miti sui loro ruoli che accompagnano grandi eroi umani e grandi persone sono spesso ridotte ad oggetti.

cristo bianco – cristo nero
Betty Bee
galleria 3

il Cristo nero (stampa fotografica 170x242), creata durante la sua esperienza negli Stati Uniti. Una rottura con le convenzioni che, certo, ha una lunga tradizione alle spalle. Partendo dalle tante statue che raffigurano un Cristo dalla pelle scura, risalenti addirittura al XIII secolo, venerate e portate in processione in diverse città del sud d’Italia, fino ad arrivare, compiendo un notevole salto artistico e sociologico,  agli anni ‘80, con il bacio della cantante Madonna ad un Cristo di colore nel videoclip-scandalo di Like a prayer, o ancora al tanto discusso Color of the Cross, film diretto e interpretato a Jean-Claude La Marre, in cui Gesù ha lineamenti afroamericani, e viene condannato per motivi razziali. Non a caso, le ragioni che hanno mosso l’artista a scegliere un corpo di colore per la sua opera sono derivate proprio dalla conoscenza diretta, avvenuta durante l’esperienza newyorkese, della terribile, lunga storia di schiavitù ed emarginazione del popolo nero. Non solo, il Cristo di Betty Bee è visto di spalle. Tale scelta è scaturita da quella curiosità che porta l’artista napoletana a «vedere l’altro lato delle medaglia in tutte le cose», come afferma lei stessa.

Immagine: Betty Bee, 'Cristo nero'.

Inaugurazione giovedì 15 ottobre 2009, ore 18

Il Ponte Contemporanea
Via di Monserrato, 23 - Roma
dal lunedì al sabato 12-20
ingresso libero

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Invito all'opera
dal 7/10/2010 al 29/11/2010

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