Richiamo all'origine. Sono esposte sculture in cui la figura umana e' rappresentata secondo un'atipica struttura creativa. L'artista intende armonizzare la realta' accedendo nell'ambito del trascendente e dell'immateriale. Uomini, donne, ribelli, prelati, banditi, giovani, sportivi, tutti accomunati da un'avidita' smaniosa per il nucleo delle passioni primordiali.
Siamo in Africa agli albori della nostra civiltà, un gruppo di primati, antenati dell’uomo vede sconvolta l’esistenza a causa di un monolite comparso improvvisamente davanti alla loro caverna. Se in un primo momento a prevalere è un’attenta circospezione, successivamente gli antropoidi pre-sapiens, entrano in contatto con questo grande masso nero, lo toccano, interagiscono dando così inizio a qualcosa di stupefacente e inaspettato. Il monolito, fonte di energia trasmette loro l’utilizzo di utensili, di strumenti e come un osso possa divenire un’arma per potersi nutrire, difendere e progredire nella specie. È quindi l’osso l’elemento del quale si avvale Stanley Kubrick per dare vita alla prima sequenza di quello che si rivelerà uno dei più stupefacenti film di narrazione fantastica: 2001 Odissea nello spazio.
La parte anatomica utilizzata come ascia, arma per sopravvivere, viene poi lanciata verso il cielo, evolvendosi in un’astronave, congiungendo passato e futuro, il progenitore con l’uomo evoluto di un mondo che forse verrà.
Un salto nel vuoto che è apertura e irrefrenabile brama di avvenire, ma come ci ricorda Leo Ferdinando Demetz con la sua opera, deve essere antecedentemente prerogativa di un consapevole Richiamo all’origine, inteso come fondamentale presa di coscienza di chi siamo e principalmente quali sono le nostre origini.
Il protagonista del mezzo busto in legno, pare tendere ogni parte del corpo, al punto di stendere le braccia dietro si sé per trovare forza nella parete che lo sostiene, giungendo ad inarcare il collo per sostenere e concentrare tutte le energie in quell’ultimo ricordo, che lo lega ancora alla sua vera e reale natura.
Nel Discorso sull’origine e i fondamenti dell’ineguaglianza fra gli uomini (1754), Jean-Jacques Rousseau stilando la differenza tra home naturel e home artificiel, precisa che la vera natura è individuabile nello spazio di vita dell’uomo primitivo, la cui essenza non era ancora corrotta dalla così detta società civile e quindi dalla ragione, intesa appunto come corruzione. Un luogo, che come nell’opera di Demetz forse è solo un sogno, un “desiderio di mondo” che non potrà mai essere o che addirittura non è probabilmente mai esistito, ma che dobbiamo assolutamente considerare per poter relazionarci con la contemporaneità.
L’esigenza di rappresentare sé stesso, di indagare la storia, il passato, le così dette origini, hanno sempre fatto parte dell’animo umano, potremmo dire un leit motiv presso tutte le civiltà; tale tentativo non nasce da un desiderio di semplice imitazione, ma da una necessità umana imprescindibile di esprimere un determinato sentimento del mondo, ovvero di sentirsi in sintonia con il tempo e lo spazio che ci circonda, tentando di spingersi sempre oltre il limite imposto.
Un’apparente contraddizione che, svanisce totalmente una volta immersi nell’opera di Leo Ferdinando Demetz, dove la tradizione della scelta della materia prende origine dal legno, dalle imprescindibili tecniche della scultura lignea, tramandate di generazione in generazione, per poi essere affinate con sensibile passione, in modo da poter conseguire la necessaria libertà espressiva e quindi l’empatia pulsionale con ogni soggetto ritratto.
Attraverso un’atipica struttura creativa, l’artista altoatesino riesce nell’arduo compito di armonizzare la realtà, intesa come tradizione, storia e antica materia con il progresso, l’evoluzione della forma, accedendo così nell’ambito del trascendente e dell’immateriale, dominato imperturbabilmente dal pensiero.
Uomini, donne, persone comuni, ribelli, prelati, banditi, giovani, sportivi, tutti accomunati da un’avidità smaniosa per il nucleo delle passioni primordiali; sordi e irrefrenabili sovrapporsi di sensi, colti nel momento, nell’attimo che svanisce così rapidamente da lasciare scolpito nella memoria il ricordo di un lampo emozionale rilucente, svanito poi nei territori oscuri dell’inconscio.
I soggetti ritratti da Demetz non cercano nella rappresentazione puramente estetizzante la fonte e la foce del loro percorso, la figura umana è tesa nel tentativo di sfuggire ad una semplice catalogazione dell’apparente, per concentrarsi e manifestarsi, qualsiasi sia l’interprete, sul respiro stesso dell’uomo, sulla corporeità intesa come energia assoluta, che ravvivandone e bloccandone l’istante di maggior comunicazione stimola al libero pensiero.
Le fattezze scultoree che l’artista riesce a far emergere dal greve legno, paiono tendere ogni singolo muscolo, anche la più lieve espressione mimica, verso l’affermazione della propria identità, le proprie caratteristiche di singolo e unico individuo. Il sapiente utilizzo del materiale tangibile instaura un gioco dove si alternano e intersecano pieni e vuoti, colature di vernice e legno lasciato nella sua conformazione grezza ed originale, linee volutamente marcate, come a voler sottolineare, che la natura umana non è mai prevedibile nella sua conformazione organica, ne tanto meno quando è la mente a dettarne i tempi dell’agire.
Se in alcune opere come Fragile o Il bravo ragazzo, il fare artistico pare allontanarsi dalla realtà, non è per creare un mondo fantastico o artificiale, ma contrariamente per potersi addentrare con ancora più intensa analisi, nell’essenza profonda ed intima del vivere. Nella prima scultura un uomo quasi completamente coperto nella sua fisicità da una cassa di legno, pare non avere più la necessaria forza o desiderio di relazione con la società, tanto da preferire una fragile vita di clausura. Nella seconda opera un giovane uomo, il classico bravo ragazzo, rimane ingarbugliato tra un folto filo di ferro, sinonimo della società contemporanea, che sembra spendersi con tutte le sue potenzialità, non per sfruttare le importanti risorse del singolo, ma addirittura cercando di limitarne ogni espressività. I protagonisti di entrambe le opere sembrano avere perduto il loro Daìmon, quello che Socrate ci dice essere la forza, la guida e in quanto tale l’elemento essenziale della realtà spirituale dell’uomo.
Non ci resta allora che ritornare da dove siamo partiti, a quel luogo originario della nostra civiltà, alla fonte autentica del sapere, custodito nel mito e nell’arte della Grecia antica, arcaica, dove grazie ad una imprescindibile armonia tra l’inventiva e la consapevolezza formale, vive radicato il piacere di raccontare una storia, che è stimolo ed elogio dell’immaginazione, della cultura e del singolo uomo.
(Alberto Mattia Martini)
Immagine: Il bravo ragazzo, h 45 cm Castagno, 2009
Inaugurazione martedì, 27 ottobre 2009, dalle 18 alle 22
Galleria Bianca Maria Rizzi
Via Molino delle Armi 3, Milano
Orario:
Ingresso libero