Tempo per pensare. La sua e' una tecnica mista - di resine, sabbie e ritagli - che fissa sulla tavola, con un inconsapevole ma sapiente dosaggio tonale, alcune inquietanti immagini-simbolo del recente passaggio di millennio, eventi che il nostro immaginario e l'opinione pubblica hanno vissuto in rapida sequenza e altrettanto rapida dissolvenza.
Senza remore o coinvolgimenti puramente emotivi, e in termini del tutto antitetici a una visione religiosa della vita e della morte, l’opera di Ugo Balbo asseconda razionalmente la sua forte spinta espressiva di rivolta etica e civile, che tende a inquietare la nostra assuefazione al degrado delle coscienze e a chiederci se c’è ancora Tempo per pensare.
La sua è una originale tecnica mista - di resine, sabbie e ritagli - che fissa sulla tavola, con un inconsapevole ma sapiente dosaggio tonale, alcune inquietanti immagini-simbolo del recente passaggio di millennio, eventi che il nostro immaginario e l’opinione pubblica hanno vissuto in rapida sequenza e altrettanto rapida dissolvenza. Da I Buddha giganti di Bamyian, violato patrimonio dell’umanità, a Iraq, statica rappresentazione di un blindato americano che avanza mentre alcune nere figure di prigionieri sembrano scaturire dal terreno; dalla cupa immagine dei seviziati di Abu Grahib alle anonime e dimenticate tute arancioni di Guantanamo; fino a quella immagine, che ha fatto il giro del mondo, che richiama alla crudele assenza di un dio nell’atrocità rapace del deserto. Figure prive di ombra, come se su questo nostro pianeta l’orrore non lasciasse tracce.
Mentre le terre naturali e bruciate esaltano la drammaticità rappresentativa, questa non arriva tuttavia a placarsi nelle tenui tonalità di altre tavole ironicamente ieratiche, nel blu di Due vie al Paradiso o nelle luci perlacee e dorate del Nudo senza testa, come pure nelle nubi marine di una Ustica metafisica e irrisolta o nello struggente Fascino della scala.
L’intera opera sembra dare forma materica non solo alla ripulsa nei confronti della natura umana ma anche alla tensione di un ateismo esplicito e militante. Si tratta di opere particolarmente allusive e severe nei confronti di tutti gli integralismi ideologici e religiosi. Dall’ardita tavola Le radici cristiane, che ai piedi di una croce dominante mostra con amara ironia i truci simboli di un’Europa dilaniata da guerre e totalitarismi, ai dipinti che in una implacabile sequenza snodano singolari figure (dai pomposi e dorati vescovi dei Primati, alla tavola senza titolo in cui, alle immote file di religiosi di fedi diverse, connotati cromaticamente come in una parata calcistica, saluta gaio e benedicente un bianco pontefice). Sarebbe arduo trarre un qualsiasi segno di speranza, una sorta di “via d’uscita”, da questa cinica visione dell’uomo e delle sue angosce. E tuttavia aleggia sul panorama apocalittico di Balbo un tentativo di esorcizzare la resa, un appello a una sorta di lavacro collettivo, attraverso un modo doloroso di fare arte e, soprattutto, un nuovo e pensoso modo di vedere.
Ugo Balbo vive e lavora a Roma. Da una disincantata maturità culturale e dalla realtà contemporanea, Ugo Balbo continua a trarre suggestioni artistiche singolarmente simboliche. Alcune delle opere presenti in questa mostra sono pubblicate sulla Rivista di scienze e storia “Prometeo”, anno XXV, n. 97. Ultime personali: Alta tecnologia, Roma 2005 - Danni collaterali, Roma 2007
Inaugurazione giovedì 19 novembre ore 19.00
Galleria 196
via dei Coronari, 194 Roma
Orari: lunedì 16.00 – 19.30, da martedì a venerdì 10.00-13.30 e 16.00-19.30