Ufficio stampa Comune di Barletta
La mostra si sofferma sulla pratica del disegno che ha accompagnato fino alla maturita' gli artisti Giuseppe Gabbiani, Vincenzo De Stefano e Raffaele Girondi. Tre personalita' diverse, ognuna con una propria distinta cifra stilistica, vite parallele ma distanti, che pure assorbirono i caratteri dell'humus locale fra la seconda meta' dell'800 e la prima del 900. Esposizione a cura di Emanuela Angiuli.
Mostra a cura di Emanuela Angiuli
Tre personalità diverse, ognuna con una propria distinta cifra stilistica, vite
parallele ma distanti, che pure assorbirono dall’humus locale quei caratteri
interiori che riemergono nelle scelte della produzione artistica. Giovanissimi
allievi di Gian Battista Calò, la loro formazione si sviluppa con la frequenza
delle Accademie di Belle Arti dove la pratica del disegno, a Napoli come a
Roma, costituisce il principale strumento espressivo della pittura. Ed è
soprattutto sui lavori della lunga esperienza accademica che la mostra si
sofferma con attenzione, cogliendo nella pratica del disegno le espressioni
artistiche che accompagneranno fino alla maturità Giuseppe Gabbiani, Vincenzo
De Stefano, Raffaele Girondi.
Giuseppe Gabbiani (1862 – 1939) artista sensibile e attento collezionista,
studia nei primi anni con il Calò a Barletta dedicandosi per lo più a ritratti e
vedute, marine e campagne. Nel 1884 partecipa all’Esposizione Generale
Italiana di Torino, nell’86 all’Esposizione di Belle Arti di Roma. Dal 1890 è a
Napoli dove frequenta lo studio di Salvatore Postiglione. Nel trentennio
napoletano dipinge molto sperimentando varie tecniche ma restando
sostanzialmente legato ad una poetica verista. I disegni realizzati a pastello
monocromo sono in prevalenza ritratti di famiglia, dei personaggi importanti
della sua città, degli ambienti delle istituzioni. Fra i più belli Vittorio Emanuele
II, tratteggiato con verismo tutto borghese, nella posa come nell’abbigliamento;
figura di un pantheon ideale, una galleria di soggetti – parenti, amici, potenti -
che incarnano i valori ideali della nuova borghesia dominante.
Di questi anni sono anche i numerosi disegni di popolane, le sciantose, e le
vedute di Napoli. I disegni di paesaggio, al contrario, tornano al mondo agreste
fissato nelle icone di buoi e lavoratori, custodi di un tempo mitico, lontano dai
rumori e perciò consolatorio, distante da quel progresso tumultuoso che pure lo
affascina appena fuori dall’orizzonte urbano. Anche le amicizie napoletane di
Giuseppe Gabbiani fanno parte dei disegni giunti al Museo Civico di Barletta. Si
tratta di opere inedite, databili fra gli anni ’60 del 1800 e gli anni ’40 del 1900,
presentati per la prima volta alla conoscenza del pubblico e degli studiosi. Sono
schizzi tracciati a volte velocemente, altri opere di disegno compiute, di quanti
fecero della città partenopea il punto di riferimento nella lunga stagione
ottocentesca della pittura italiana in ambito meridionale. Ed è come ritrovare
nelle firme e nelle dediche che li accompagnano, una sorta di diario,
interpretabile come narrazione di storie, di affinità intellettuali, di curiosità, di
frequentazioni con le personalità che segnarono la vita culturale dell’intero
Mezzogiorno. Nelle “pagine” dei disegni si rincorrono i nomi di G. Gigante, G.
Carelli, Dalbono, Cammarano, Migliaro, Jerace, Caprile, Altamura, Gemito, i
pugliesi Caldara, Piccinni, Altamura e Celentano. Se si aggiungono i pittori dai
principi veristi cui lo stesso Gabbiani legò le sue scelte personali – Gemito e
Cifariello – ad altri meridionali come G. De Chirico e Ciletti, la rete delle
relazioni comprende i siciliani Sciuti e Vetri, i romani Joris e A. Mancini, artisti
di area settentrionale come Calderini, assieme agli illustratori a cavallo tra i due
secoli come F. Matania. Nei disegni viva è l’eco di un’epoca consumata sul
palcoscenico della socialità, dell’arte, della mondanità. Dal Gran Caffè
Gambrinus in uno sfavillio di luci a gas e colori sgargianti passa tutta Napoli.
Artisti, poeti, musicisti, cantanti e personaggi illustri come gli stessi Savoia,
sfilano accanto alle figure di un’epoca tardo romantica e sentimentale celebrata
nelle canzoni di Gambardella e Capurro, nelle poesie di Salvatore Di Giacomo,
nei racconti di Matilde Serao, nei dipinti di Dalbono.
Protagonista anch’egli di una felice stagione “barlettana”, artista versatile,
disegnatore raffinato e impeccabile, Vincenzo De Stefano (1861 – 1942) allievo
del pittore Gian Battista Calò, studia all’Accademia di Belle Arti di Napoli dove
insegnano Domenico Morelli, Filippo Palizzi, Federico Maldarelli, Antonio
Licata. Passa a Roma dove frequenta la Scuola del Nudo. Esordisce alla
Promotrice di Belle Arti “Salvator Rosa” di Napoli nel 1882, nell’85 alla
Promotrice di Roma. Nel 1894 è a Milano, all’Esposizione Triennale della Reale
Accademia di Belle Arti di Brera. Significativi i lavori dedicati alla realtà
popolare, da cui si ricava il forte influsso subito dall’artista già durante il
periodo degli studi a Napoli, dal filone “orientalista”, verso cui si volgono
Michele Cammarano, lo stesso Morelli e Francesco Paolo Michetti. L’artista
barlettano sembra percepire quello “scivolare di tutto l’ambiente napoletano,
verso e dopo l’Ottanta, dalla lucida e appassionata ricerca del ‘vero’ ai facili
approdi di un verismo di folklore”. Un esempio è la piccola Popolana
napoletana in cui evidenti sono i richiami al mondo contadino campano e
abruzzese, lo stesso descritto insistentemente da Michetti. L’attaccamento verso
quell’universo matura ulteriormente in età adulta, quando De Stefano realizza il
pastello Ritratto di donna, in cui la figura indossa il caratteristico copricapo
bianco, elemento che contraddistingue anche le donne raffigurate in dipinti di
poco anteriori dai francesi Paul Delaroche e Jean-Claude Bonnefond,
accomunati dalla stessa attenzione “pittoresca” per le popolane romane. A prova
della inclinazione verso il mondo popolare e la curiosità per la cultura orientale,
i quattordici acquerelli di “costumi” che rimandano alla produzione di Ernest
Hébert operante a Roma dal 1867 nella direzione dell’Accademia di Francia.
“Solitario sognatore, amante appassionato della natura, asceta roso da un’idea,
divorato dall’ardore di una fede incrollabile, fede purissima nell’arte dei colori”
Raffaele Girondi (1873 – 1911) iniziò i suoi studi, come De Nittis e altri artisti
barlettani, dal maestro Calò. L’Autoritratto con cappello è l’immagine di un
uomo visionario e pensoso: gli occhi febbrili esprimono una solitudine
malinconica, spiritualmente travagliata, fisicamente caduca. Tra il 1893 e il
1899 frequenta l'Accademia di Belle Arti di Napoli sotto la guida di Filippo
Palizzi e Domenico Morelli, poi la scuola libera di nudo e di plastica al Reale
Istituto di Belle Arti di Roma. Il primo riconoscimento internazionale gli viene
assegnato nel 1904 come vincitore del concorso di paesaggio WERSTAPPEN
con il quadro Le rive dell'Ofanto. Agli anni romani risale un gruppo di
“accademie” di indubbia vivacità espressiva: nudi caratterizzati da un’eleganza
scattante, ricca di movimento, un plasticismo asciutto ottenuto con l’uso
preponderante della sanguigna. Nei lavori di Girondi lo studio accademico va
oltre l’apprendistato eseguito sulle statue antiche o sui gessi, si immerge nel
rapporto con la luce, con l’ombra, con l’atmosfera, anche quando l’esercizio è
studiato sui calchi in gesso. Un esempio in questo senso è il carboncino su carta
Studio di statua, copia dal gesso di una scultura greca. Ma sono soprattutto gli
studi di nudi, femminili e maschili, a spiccare nella produzione presente in
mostra. Ripresi senz’altro dal vero, essi affidano la resa plastica del modellato al
sapiente gioco chiaroscurale che alleggerisce le ombre sfumando la sanguigna.
Immagini di rara purezza grafica e sottile espressività pittorica, le cosiddette
“accademie” o studi di nudo, testimoniano un metodico esercizio sul tema.
Mentre infatti molti giovani artisti cercano, negli stessi anni, di svincolarsi dal
conformismo accademico, Girondi resta un convinto assertore dello studio della
forma e della composizione, affrontando da vicino la ricerca sul nudo a figura
intera, ma rivestendolo di una nuova accentazione verista.
Emanuela Angiuli
Ufficio stampa del Comune di Barletta, tel.0883578424 fax.0883578408
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Inaugurazione: mercoledì 9 dicembre ore 19,00
Pinacoteca Giuseppe De Nittis - Palazzo Della Marra.
via Cialdini, 74 Barletta
Orari di apertura:
tutti i giorni dalle ore 10,00 alle ore 20,00 (chiusura biglietteria h 19,15)
Lunedì chiuso tranne festivi
Biglietti
Intero € 7,00
Ridotto € 5,00 soci A.C.I. (con tessera); soci CTS (con tessera); soci Touring Club (con tessera); visitatori oltre i 65
anni di età; studenti fino a 26 anni di età; gruppi di almeno 15 persone; giovani da 6 fino a 18 anni;
soci Università della Terza Età; dipendenti Comune di Barletta.
Biglietto gratuito: minori di 6 anni. Un accompagnatore per ogni gruppo (15 – 30 max), 2 insegnanti per classe, accompagnatori di visitatori diversamente abili.
Giornalisti accreditati
Soci ICOM (con tessera)
Scuole organizzate per classi e su prenotazione