Paraventi e muri. Opere pittoriche. Quello dell'artista e' un viaggio emotivo ed insieme un sognare ad occhi aperti nel mondo dell'infanza, venato di malinconia.
A Mantova, alla Galleria “Arinna Sartori - Arte” nella Sala di Via Cappello 17, Sabato 16 gennaio alle ore 17 sarà inaugurata la personale dell’artista Claudio Benghi intitolata “Paraventi e muri”. La mostra che si inaugurerà alla presenza dell’artista, resterà aperta al pubblico fino al prossimo 28 gennaio 2010.
Benghi, ovvero il profumo dell’infanzia perduta
Chi frequenta il mondo magico delle fiabe sa benissimo che l’eroe per raggiungere il suo scopo deve superare tre prove e solo dopo averle superate ottiene ciò che desidera. Gli studiosi di folclore, come il russo Vladimir J. Propp, autore di Morfologia della fiaba e Le radici storiche dei racconti di fate, e gli psicanalisti che hanno analizzato i significati delle fiabe, come Bruno Bettelheim, che ha vagliato con gli strumenti della psicoanalisi numerose fiabe nel suo Il mondo incantato, e Marie-Luise von Franz, che ha dedicato numerosi volumi sull’argomento, definiscono questo topos ricorrente nelle fiabe “triplicazione”. Se lo sfortunato Bettelheim, al proposito della triplicazione, tra i tanti racconti si sofferma su Il pescatore e il Genio e su I tre porcellini, la junghiana von Franz nel suo Le fiabe interpretate analizza in ben tre capitoli la fiaba Le tre piume, giungendo nel secondo di essi a segnalare l’esistenza di una quarta prova: “Neppure la terza prova convince il re e i suoi due figli maggiori. E’ questo un motivo classico, quello delle tre prove, seguite da una finale. Si afferma spesso che il numero tre ha un grande ruolo nelle fiabe, ma io dico che un conto preciso ci pone generalmente dinanzi al quattro. Qui, per esempio, ci sono tre prove, è vero: il tappeto, l’anello e la damina. C’è però quella finale, il salto attraverso il cerchio. Nelle fiabe questo ritmo è tipico. Ci sono tre ritmi simili, e poi un’azione finale” [1].
Ho creduto opportuno fare riferimento a questa precisazione della von Franz non solo per la inconfondibile impronta fiabesca della pittura di Claudio Benghi, ma anche e soprattutto per la particolarità di questa occasione espositiva che si snoda in quattro Comuni, tutti in successione sulla via Galliera che da Bologna porta a Ferrara, appunto come se l’artista nell’ideare questa sua antologica avesse inconsciamente obbedito alla regola della triplicazione con l’aggiunta della prova finale, relativa ai lavori degli ultimi tre anni, in una sorta di “cammina, cammina” esistenziale/artistico per giungere, partendo dal personale tempo mitico del “C’era una volta”, a quello attuale che lo gratifica del presente definitivo riconoscimento (e stavo per scrivere “incoronazione”) [2].
Definitivo? Forse. Perché in arte non c’è nulla di definitivo. Ogni artista sa bene che ogni riconoscimento è una tappa, sì, ma che va coltivata costantemente per mantenere col lavoro successivo quanto in essa ottenuto e conquistato. Conoscendo la serietà di Benghi, non ho dubbi sul suo futuro di “narratore” visivo di fiabe, vuoi per la sua perizia di pittore, quella perizia di cui è carente non poca pittura dei giorni nostri, vuoi per la ricchezza dei significati simbolici da lui tramati col pennello Nel giardino della Regina, in cui egli ci conduce. Il “giardino della Regina” di Benghi, a ben vedere, è il corrispettivo psichico dell’en plein air degli Impressionisti, un en plein air fantastico e fantasticato, ovviamente. Non siamo nel mondo fatato delle fiabe?
In definitiva Benghi con le sue storie dipinte parla al bambino che abita ancora dentro di noi. Vuol farci tornare per un po’ bambini, ossia vuol ricordarci, come afferma uno psicologo, che “il bambino è il padre dell’uomo” e che quindi è bene tornare a frequentare di tanto in tanto quel nostro padre, il quale può prendere per mano ciascun adulto e portarlo a scoprire nuovi mondi. E l’arte è sempre un nuovo mondo da scoprire. Dico l’arte autentica, non quella fittizia che oggi, ahimè, prolifera nelle gallerie, nelle Fiere, nelle Biennali e nelle altre innumerevoli manifestazioni d’arte.
Il mondo di Benghi è nuovo come ogni personale universo genuinamente e senza furbizie creativo. Il giardino della Regina è, quindi, un mondo nuovo perché è il mondo di Benghi, ossia il suo mondo, in cui un cappellino si solleva sul capo di un uomo inginocchiato accanto ad una curva di conformazione femminile ritmata da bocche rosse, com’è nel dipinto che riecheggia una famosa poesia di Catullo (Mille baci e poi cento, 2006), in cui lo stesso cappellino si fa altrove barchetta di carta che emette fumo (L’elenco telefonico di Oruec, 2006; Una barchetta da riparare, 2007), in cui una verdognola testa di uomo calvo s’affaccia dall’alto della scena come se stesse planando accanto a La casa degli dei (2007) ed altrove un suo consanguineo trafitto da un dardo gaiamente si libra in cielo come nel mondo di Chagall (Sempre in volo, 2006).
Del resto il volo è un leit-motiv del fiabesco teatrino del nostro pittore di Castel Maggiore. A volare in cielo ora è il mitologico cavallo alato, ma senza Bellerofonte, né Astolfo in groppa (Una telefonata a Pegaso, 2005), ora è uno strano delfino (La Regina e il giardiniere, 2006), o addirittura tre delfini col muso puntato sul braccio del marionettistico personaggio che con una sola gamba sta ritto sulla groppa di un cavallo (Equilibrista, 2006), ora sono strane amebe spaziali a chiocciola, a chioma simil-spugna ed a caudata corona di cellule (Delle forme apparse improvvisamente, 2006), per non dire della candida colomba di Un viaggio dentro del 2005, dell’omologa coppia, ma con le ali marcate da tondini-bersaglio, a mo’ di aerei da guerra inglesi, del coevo Per una rosa, di quella con le ali inchiodate che scende in picchiata sul cuore tenuto in mano da un desolato uomo stravaccato su una sedia, palesemente in preda ad una delusione amorosa, (Il cuore inutile, 2006), del grosso insetto quadrialato (La Regina dei territori di sopra, 2006), dello stormo che volteggia sopra lo steccato che recinge il noto giardino (Nel giardino della Regina, 2006) e così via sfarfalleggiando sia attorno alla Regina (La chiave del suo regno, Tutto il suo nettare, 2006) sia femminilmente (Una farfalla fanciulla, 2006) ed addirittura in un interno (Due farfalle nella stanza, 2007).
Certo il volo è una conseguenza dell’ottica fiabesca, che attinge alla infantile fonte dell’animismo, dove appunto anche gli oggetti sono viventi. E ciononostante, nel mondo di Benghi, così colmo di esseri volanti, gli angeli per staccarsi da terra devono ricorrere all’altalena (Un angelo sull’altalena, 2007). Ma, si sa, quello delle fiabe è un mondo alla rovescia, un mondo di apparenti contraddizioni, perché dietro ad ogni contraddizione si nasconde una condensazione di simboli, che, come nei sogni, stravolge il senso comune e logico della realtà, la quale poi non è affatto immune da stravolgimenti, come la nostra demenziale epoca ci conferma ogni giorno.
E’ per questo che un tradizionale topos dell’arte, come la Madonna col bambino può essere riveduto ed aggiornato secondo l’ottica benghiana con il Mago Merlino al posto di Gesù bambino ed al posto della Madre, la Regina seduta in poltrona a gambe squinternate (Mago Merlino tra le braccia della Regina di Oruec, 2006). Non c’è nessun intento dissacratorio nel pittore. Siamo nel regno fatato delle fiabe, e chi se non un mago poteva essere tenuto in grembo dalla Regina madre?
Benghi si abbandona all’estro del suo Es, un estro tutto sommato ottimista, come appunto quelle delle fiabe, a differenza dei miti, per lo più pessimisti, un estro che lo guida a seguire con lo sguardo della sua immaginazione le azioni, ovvero le situ/azioni dei protagonisti del suo “navegar” fiabesco con lo stupore incantato del fanciullo che vive in lui.
Il suo è un “viaggio emotivo” ed insieme un sognar ad occhi aperti, appunto gli occhi del “c’era un volta” infantile del suo io, venato di malinconia, com’è logico sia per tutto ciò che non c’è più. La pittura attuale di Benghi è un messaggio del cuore, del cuore ovviamente della fantasia, che affonda sempre le radici nel terreno dell’infanzia, in cui tutto è nuovo e meraviglioso. O almeno così appare.
Ma a dipingere non è il fanciullino che alberga in lui, bensì il Benghi adulto che, nel suo lungo “cammina cammina” pittorico, s’è arricchito passo dopo passo sia pittoricamente che intellettualmente, come il “quaternio”, per usare un termine di Jung, di mostre sta a dimostrare. Ed ora è giunto al traguardo della quarta prova. In altre parole alla maturazione del suo bagaglio espressivo, tecnico e creativo, nonché simbolico, in cui ha finalmente potuto officiare il suo Mysterium coniunctionis con l’archetipo Femminile della sua psiche, che egli ha individuato (chissà se per riemersioni di memorie alchemiche) nella Regina, rappresentazione dell’anima.
Secondo Jung l’anima è il lato femminile di ogni psiche, a cui appartiene il principio della creatività, ovvero l’Eros, che è, sì, l’opposto dell’animus, archetipo del Maschile, identificabile nel Logos, ma a cui ogni uomo interiormente aspira per un’unione perfetta, che compie con lo Hieros Gamos e realizza soprattutto appunto nella “camera nuptialis” dell’arte [3].
Il “cammina, cammina” pittorico di Benghi è stato, in definitiva, un ritorno alle origini, un viaggio a ritroso nel suo io, come egli stesso dichiara nel 2005 con Un viaggio dentro, dipinto davvero esplicativo del suo voyage agli inferi del suo io. E ciò non poteva non portare Claudio alla fiaba ed ai suoi pregnanti sostrati simbolici. La Regina ne è uno. Ma ce ne sono molti altri.
Vi siete chiesti come mai la Luna è presente in diversi dipinti, quali La Regina dei territori di sopra, Mago Merlino tra le braccia della Regina di Oruec, La chiave del suo regno, scendendo fino a farsi double della conformazione dalle tante bocche in Mille baci e poi cento ed addirittura a farsi testa in Una rosa rossa per la luna ed in Una scarpetta rossa per la luna? Sono tutte opere del 2006. E questo starebbe a documentare che il citato Mysterium coniunctionis, o, se si preferisce, lo Hieros Gamos con l’anima-Regina s’è compiuto proprio in quell’anno, dato che la Luna è simbolo del Femminile, ma è anche la sposa del Sole, simbolo del Maschile, e molti popoli davano grande importanza alle lunazioni per quanto riguarda le nozze [4].
E’ un caso che nel 2007 il pittore, ormai “coniugato” con la Regina, si autoritragga come Truccatore di stelle che stanno in cielo assieme alla Luna? E che la Regina, ormai accasata, se ne stia alla finestra tristemente meditabonda, né più né meno di tante donne di Arturo Martini? Certo non si tratta della martiniana Donna del marinaio, ancorché la barchetta a sinistra di La porta del giardino segreto potrebbe farlo pensare.
In realtà la casa con la porta che dà sul giardino è un muro di cinta con interni abitabili, a giudicare dalla finestrella col vassoio colmo di uova e, appunto, la Regina. Un muro di cinta di una sorta di giardino zoologico, in cui gli animali sono liberi, come il Dumbo ambulante sul muro e l’uccello dal capo piumato che guarda la Regina alla finestra, l’unica ad essere prigioniera. L’ultimo atto della storia raccontata da Benghi si chiude proprio con La porta del giardino segreto.
Ma la fine della storia è un incipit.
Pertanto non ci resta che attendere le prossime opere di Claudio Benghi, pittore delle stelle e consanguineo del Petit Prince di Saint Exupéry, per sapere quali sviluppi “nasceranno” dallo Hieros Gamos di questo artista con la sua anima. Perché per il creativo nulla è mai definitivo ed ogni conquista è un “transito” per altri traguardi. E così è anche per il traguardo raggiunto in questo “quaternio” espositivo in cui Benghi ci restituisce il suo “cammina, cammina”, che continua. Anzi già sta continuando, almeno nella mens creativa di questo “dipintore” di fiabe, che ci fa tornare fanciulli, conducendoci nel giardino della Regina, che è il giardino dell’infanzia perduta di noi adulti, che ancora ne percepiamo il profumo mai sopito nella nostra memoria. E per questo ci affascina.
Giorgio Di Genova
Inaugurazione Sabato 16 gennaio alle ore 17
Arianna Sartori Arte and Object Design (nuovo spazio)
via Cappello, 17 - Mantova
Orario: 10-12.30 e 16-19.30, chiuso festivi
Ingresso libero