Derive. "Il lavoro dell'artista ha sempre una direzione precisa. Anche il suo nomadismo tra le tecniche, il suo far dialogare pittura e fotografia, giocare con i paradossi, fare dell'ironia uno strumento di sorpresa e di scoperta, o dipingere in modo sospeso tra l'astrazione e la visione, sono tutte coordinate di un lavoro autentico". (V. Deho')
a cura di Valerio Deho'
Il termine evoca molte cose, in genere negative, perchè “andare alla deriva” normalmente non è qualcosa di positivo dal punto di vista psicologico individuale: per la società, la gente che si lascia andare si pone fuori dalle regole e dal decoro collettivo. Invece il termine marinaro, pare che sia francese derivato dal solito latino, è la spinta della massa dell’acqua, tipo le correnti, che fa cambiare la rotta alle barche e alle navi, che non vanno esattamente dove dovrebbero.[1]
Lo stesso può accadere per gli aerei, ma in ogni caso pare che gli esperti ci abbiano già pensato, per cui in campo idraulico e aerodinamico diciamo che siamo a posto. Parlando di oggetti ben più grandi, i continenti come l’Africa o il Sudamerica vanno alla deriva da qualche milione di anni e nessuno pare prendersela più di tanto. Quindi tornando al dizionario, “Deriva” non è un termine negativo, è uno spostamento di qualcosa in movimento, una deviazione che per altro si calcola, cioè è un rapporto tra chi sta facendo qualcosa e circostanze esterne, per rimanere sul generale.
Certo è che Riccardo Gusmaroli ha distribuito nell’arte italiana barche e carte nautiche, per cui qualche assonanza di può stare. Ma soprattutto qui usiamo questo termine diffuso, quanto curiosamente sconosciuto in profondità, per esprimere qualcosa che accade anche a livello linguistico: esistono derive che sono come delle forme di pressione della cultura e dei media sul linguaggio. In questo senso Gusmaroli è proprio un artista che sa dominare queste derive, che le conosce e in un certo senso le ispira.
Se l’arte è (anche) un linguaggio, allora è chiaro come un artista giovane e intelligente si confronti con l’arte che c’è stata prima di lui, anche perché con quella che verrà dopo è più difficile, e si ponga il problema di dove vada a finire questo linguaggio. Tutte le esperienze prima di lui diventano una blocco linguistico a cui l’artista fa deviare la strada.
Del resto To drive pare che venga sempre dal nostro termine. Quindi se si tratta di pilotare qualcosa, è chiaro come Gusmaroli sia risolutamente cosciente di come spingere la barca dell’arte in direzioni che gli interessano e non vuole assolutamente subire la rotta stabilita da altri (giusto per concludere con i termini marinari).
Così nel suo lavoro troviamo tracce di Piero Manzoni o di Lucio Fontana o di Alighiero Boetti. Ma non sono tracce che ricordano, richiamano e altre cose del genere. Si tratta appunto di spostamenti, di deviazioni dal flusso originario. In questo si comprende come Gusmaroli non sia un rivoluzionario. Non è il tipo che vuole sovvertire tutte le regole precedenti, gli interessa modificare i flussi che sono stati avviati in predecenza, inserirsi per andare dove ha deciso. Vuole, con intelligenza e divertita ironia, giocare con l’arte precedente, con le sue icone e i suoi idoli, non per banalmente smitizzare, ma per continuare.
Certo con qualche deriva.
Allora è anche evidente che il rapporto tra la pittura e la fotografia sta diventando qualcosa di sempre più importante.
I lampadari cosa sono? La base fotografica è sufficiente per parlare di fotografia, ma in un certo senso l’artista ne dichiara l’inefficacia o la banalità perché ci dipinge sopra; da una parte dà per scontato che esista un linguaggio della fotografia ma dall’altra ne dichiara l’inconsistenza, il limite. E’ come l’aroma del caffè, ci vuole la pittura a farlo venire fuori, così gli effetti cromatici, la luce formante e performante che si riflette nei lampadari a gocce di cristallo. Dipingere diventa essenziale l’altro linguaggio no, e la deriva dell’uno spinge anche l’altro, se lo tira dietro, lo sposta dal flusso iniziale.
Le barchette di carta invadono lo spazio delle mappe tanto che non ne rimane molto, ovvero il natante (termine comico – burocratico) è talmente moltiplicato che non ha spazio per muoversi. Certo che è sempre possibile per una forza naturale, moti di fluidi vari, sospingere le barchine in un movimento ordinato ma piuttosto pericoloso.
Rari Nantes in gurgite vasto, scrisse il Poeta nazionale, e i vortici di Gusmaroli sono più dei maelstrom in cui rischiare di precipitare. Ma sono barche fatte di carta, come nella canzone[2] di de Gregori, per cui non possono affondare, sono in effetti parole, conseguenze di derive linguistiche che vagano nello spazio dell’arte in attesa di una nuova idea che le spinga in qualche altro posto.
Il tempo conta nei suoi lavori.
La temporalità diffusa e dilatata richiesta da queste vere e proprie opere di pazienza, negli origami come nella pittura, fornisce sufficienti tracce di un lavoro che è flusso costante, corrente di pensiero e azione che si sedimenta e dissemina visivamente.
Riccardo Gusmaroli ha capito da tempo che alle idee devono corrispondere delle opere, sa per esperienza che saper fare è un buon inizio ma sapere dove andare è ancora meglio.
Il suo lavoro ha sempre una direzione precisa, anche nei cambiamenti. Anche il suo nomadismo tra le tecniche, il suo far dialogare pittura e fotografia, giocare con i paradossi, fare dell’ironia uno strumento di sorpresa e di scoperta, o dipingere tout court in modo magicamente sospeso tra l’astrazione e la visione, sono tutte coordinate di un lavoro autentico.
La sua stessa creatività, il non attendere gli esiti delle strade nuove che intraprende sono segnali di una forte convinzione nelle proprie possibilità ed anche la certezza che il suo lavoro, da qualsiasi parte si rivolga, prenderà sempre la strada giusta.
[1] Avviso ai naviganti. Molti confondono la “deriva” con lo “scarroccio”, quest’ultimo invece è uno spostamento analogo dalla rotta ma per effetto della forza del vento.
[2] …le navi di Pierino erano carta di giornale, eppure vedi, sono andate via magari dove tu volevi andare ed io non ti ho portato mai… “Bene” capolavoro di Francesco De Gregori , 1974
Inaugurazione Sabato 23 gennaio 2010, ore 18
Galleria Spazia
via Dell'Inferno, 5 Bologna
mart-sab 10-12.30, 15-19.30
ingresso libero