Ciò che è vivo - culture tour | Fondazione Baruchello

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Indice :

1 Ciò che è vivo - culture tour

2 "Buona vita!"

3 Ciò che è vivo - culture tour | Fondazione Baruchello

4 Ciò che è vivo - culture tour | Connessioni ambientali

5 Ciò che è vivo - culture tour | Nei luoghi dell'arte

6 Ciò che è vivo - project | Open studio e mostra al MACRO

7 In viaggio tra natura e cultura




(foto Fondazione Baruchello)















(Courtesy Regione Lombardia)



(foto Fondazione Baruchello)



(foto Fondazione Baruchello)



(foto Fondazione Baruchello) (Courtesy Regione Lombardia)





Il 22 aprile 2015 questo progetto ha fatto tappa alla Fondazione Baruchello, Roma, durante la quale, oltre ad allestire l'installazione, è stato organizzato un incontro aperto al pubblico per dialogare con Gianfranco Baruchello sulle motivazioni che ci hanno spinto a mettere in relazione arte, estetica ed agricoltura, in anni così lontani da prevedere presupposti e sviluppi differenti, ma anche un sentire comune. Si è instaurato un piacevole dialogo coordinato da Carla Subrizi di cui riporto un estratto.
In questo caso la frase è stata posizionata sul margine della collina, rivolta verso la via Cassia, ipotizzando un possibile pubblico in movimento che potesse più o meno distrattamente leggerla dalla strada.



CARLA SUBRIZI: Come e perché vi siete avvicinati all'agricoltura partendo dall’arte, Gianfranco negli anni Settanta ed Emanuela in tempi più recenti?

EMANUELA ASCARI: Ho iniziato a lavorare con la terra facendo degli pseudo-scavi archeologici e guardando alla terra come qualcosa che contiene, che preserva, la nostra storia, la memoria, e dove tutto ritorna. La mia tensione verso la terra parte anche da un certo godimento, dal piacere di mettere le mani nella terra, di sporcarsi di terra, dal profumo della terra.
Il mio interesse per l'agricoltura, ed in particolare per la Biodinamica, nasce invece da un lavoro fatto nel 2009 per il Museo della Civiltà Contadina di Bologna, mettendo in atto uno degli insegnamenti di Rudolf Steiner, il cornoletame. Da questa esperienza mi sono interessata all'agricoltura quale prima forma di interazione tra l'uomo e la natura, quale prima azione che l'uomo mette in atto nel momento in cui vuole modificare la natura per la propria sopravvivenza, quindi quale prima forma di cultura, andando alla ricerca di quali siano le cose essenziali per la vita dell'uomo, a partire dal principio della cultura, l'agricoltura, come base importante da cui ripartire, cui fare riferimento per ritrovarsi, in un periodo in cui tutto sembra andare alla deriva.

C.S.: Quindi tu sei partita da un concetto di Decrescita, un tornare alla terra come una sorta di controtendenza allo sviluppo come consumismo per ritrovare una dimensione temporale e spaziale diversa.

E.A.: Sì, anche se lo studio della Teoria della Decrescita arriva a metà di questo percorso, nel momento in cui mi sono interessata all'aspetto economico del rapporto tra l'uomo e la terra, recuperando il punto di vista della terra. Più che per una dimensione spazio-temporale, per ritrovare una dimensione del pensiero differente, passando da una modalità di ragionamento antropocentrica ad una biocentrica, che ritengo essere necessaria per il ripensare il nostro futuro. Quello che cerco attraverso l'agricoltura sono forme di un'ecologia del pensiero, per fare arte.

GIANFRANCO BARUCHELLO: Devo fare una premessa dicendo che ho avuto un rapporto con la terra da bambino perché mio padre possedeva della terra, dove camminavo sulle stoppie, e poi c'è stato un momento in cui mio padre negli anni '30 ci portò in un luogo delle Alpi, dove lui è stato alpino, eroe e conquistatore di una parete di 3000m del Marmolada, un cittadino qualsiasi che si è trovato a fare la guerra. Nel visitare i luoghi della guerra siamo andati a vedere una montagna accanto che si chiama il Col di Lana, famoso per due mine, una austriaca e una italiana, che sono scoppiate insieme facendo scomparire la cima di questo monte. Sulla cima di questo monte c'erano migliaia di italiani e di austriaci, che sono tutti morti. Mio padre, mio fratello ed io, siamo andati a fare una visita in quel luogo, dove c'era una croce di legno e attorno della terra smossa dalla quale emergevano delle cose, che erano delle ossicina delle mani o dei piedi (…) Il rapporto iniziale con la terra è stato nefasto in questo senso e anche sconvolgente, e dunque l'idea della terra è sempre legata al fatto che poi nella terra ci andrai a finire, al sottosuolo, dunque alla vita, ai rituali di morte che portano al seppellimento, alla scomparsa lenta della vita e dell'animale che si disfa e che torna a nutrire la natura. Non è una memoria allegra.
In questo luogo, negli anni Settanta Agricola Cornelia s.p.a. e oggi Fondazione Baruchello, sono successe molte cose, attraverso l'esperienza delle semine e di certi prodotti come le barbabietole, fino a workshop e progetti con molti artisti e tanti giovani. Oggi ospitiamo una tappa del tuo lavoro proprio in questo luogo.
Con la barbabietola da zucchero sono arrivato a colpire un bersaglio che era il sapore dolce! (...) Producendo lo zucchero la polpa che rimane serve per dare da mangiare agli animali. A quell'epoca nell’Agricola Cornelia c’erano quaranta vacche da latte che venivano nutrite con queste fettine insapori con un residuo di dolcezza.
Questo per dire che dalle esperienze, da un gesto, da una parola, da un'immagine, si cammina verso lo sconosciuto e si inventano delle situazioni. Tutto questo però ha formato un linguaggio (io sono un pittore, disegno delle immagini), e queste esperienze servono per capire. Questo, l'Agricola Cornelia, è stato un itinerario per costituire un linguaggio, il mio lavoro. Frequentare la natura, prestarle dei significati, appropriarsene per realizzare una crescita: del proprio linguaggio, di identificazione con soggettività diverse dalla nostra “troppo umana”. Per me il vegetale è sempre stato un esempio: per interrogarmi sul tempo, sulla lentezza, sullo stare insieme. Il rapporto con la terra è viscerale e simpatico, la terra fa piacere! La terra sta lì, non muore.

C.S.: Da un punto di vista non soltanto artistico ma anche storico e politico le vostre esperienze sono nate in due epoche molto diverse.
Quando tu Gianfranco racconti della guerra, delle ossa della montagna, ecc.., mi sembra che tu trasmetta un'idea della terra attraversata dal dolore, da quella che è stata una tragedia, tra l'altro in un periodo che era anche quello del boom economico che portava a una valorizzazione del consumo e dell'industrializzazione spinta, del consumismo.
La terra era satura di storia, politica e anche di dolore. Il fatto di tornare alla terra negli anni Settanta, come tu hai fatto, in un modo molto lontano ad esempio dalla Land Art, agendo su una scala quotidiana, sia per le produzioni che facevi (latte, grano, barbabietole, ortaggi, allevamento di mucche, pecore, maiali) sia per le azioni che riconducevi al linguaggio, penso abbia costituito una reazione in controtendenza alla società dei media, dello spettacolo, del consumo.
Era anche un'epoca satura di ideologia e l’interesse per la terra era una azione/reazione a un contesto spaccato, incline a cercare i modelli culturali molto lontano, nei paesi più forti e potenti. Così tu tornavi alla terra, in campagna, dando vita a una sorta di comune anche se fatta di poche persone. Agivi sul senso dell’autorialità, sul prodotto artistico che per te doveva ricominciare a trovare analogie con il prodotto agricolo, in una forma chiara di provocazione e intervento politico.
Mentre per Emanuela, ormai siamo negli anni Duemila, siamo nell'epoca della post-ideologia, e anche in un periodo in cui il ritorno alla terra, e questioni come l’ecologia o la sostenibilità diventano spesso nuove tendenze. Oggi sono tanti a volte troppi gli artisti che si occupano di arte e natura, che realizzano orti e altro del genere. Una nuova moda? Mi sembra che la tua motivazione sia di tipo etico, civile, di un individuo che pensa possa essere possibile inventare nuovi modi per pensare e agire nella natura. Nell'epoca della post-ideologia la politica si riconquista su un piano individuale-collettivo più profondo, non dico che sia meglio ma è certamente diverso da quanto accadeva negli anni Settanta. Forse ci sono anche più rischi, a volte, di ricadere in un’estetica che dimentica invece l’aspetto più profondamente politico di certe azioni tra arte e natura, oggi.
Ritornare alla terra può essere un modo per tornare a valori che sono da ripensare, un modo di ritornare a qualcosa che sta là, che è stato attraversato, è stato calpestato, è stato maltrattato, è stato usato, sfruttato, ma ancora ha la sua forza di esistere integralmente. Il tuo riferimento alla terra è dettato dal desiderio di indagare, capire, comprendere e fare.

E.A.: Certo, questo mio lavoro nasce in un'epoca in cui non abbiamo più appigli nelle ideologie. Oggi non siamo gestiti dalla politica, ma dai mercati finanziari, da dinamiche deterritorializzate che condizionano le scelte politiche in una direzione anti-umana, e da informazioni volatili. Siamo ad uno stato gassoso dell'esistenza, ed è in questo senso che sento il bisogno di radicarsi a terra, di fare riferimento a qualcosa di concreto e vivo, per recuperare dei valori, per rigenerarsi. La terra appartiene a tutti indipendentemente da un'ideologia politica.
Vero anche che negli ultimi anni sono numerosi gli artisti che si sono avvicinati al fare agricoltura e al riscoprire il potenziale dell'ambiente rurale. Io lascio fare agricoltura a chi ha il tempo di prendersene cura, perché è solo con il susseguirsi degli anni di esperienza a contatto con la terra che si acquisisce una certa qualità del fare e del pensare, ed io li vado ad incontrare. Parlo di realtà attive nel mantenimento della sovranità alimentare, della biodiversità e della vitalità dei terreni che quotidianamente mettono in atto alternative al nostro sistema economico e al pensiero dominante. L'artista rischia continuamente di usare le buone pratiche per affermare invece le stesse logiche del potere. Una cosa che penso sia fondamentale è spostare l'attenzione dal cosa si fa al come lo si fa, anche in termini di produzione artistica.
La frase che porto in giro è un'affermazione. Il vivente per mantenersi in vita ha necessità di ciò che è vivente. Una legge di natura, come la forza di gravità. Quindi l'ho affermato e l'ho ripetuto diverse volte, perché ce lo siamo dimenticati. Se avessimo questa dimensione ben presente nella quotidianità, nel prendere certe decisioni sulle politiche territoriali, alimentari, ambientali, ecc.. non ci sarebbe bisogno di affermarlo. Mentre invece vedo il mondo andare in un'altra direzione e mi sento impotente, e questa impotenza fa tremare la terra sotto i piedi, e sento il bisogno di ritrovare un equilibrio, e di affermare qualche certezza cui fare riferimento, mentre l'ossessione del controllo ci sta togliendo anche questa: si producono piante i cui semi sono sterili!

G.B.: Il significato politico di quello che ognuno di noi fa, lo deve misurare andando la mattina davanti allo specchio e ponendosi alcune domande e facendo delle considerazioni su se stesso senza pietà. Tu Emanuela hai il coraggio di gestire da sola una impresa personale senza gli applausi della folla. Una specie di viaggiatrice errante con un suo problema, che non fa risolvere a nessuno se non mutando il luogo del colloquio, viaggiando. Spostarsi nello spazio, percorrere la terra, vuol dire pensare a dove metti i piedi, a che cos'è questo sostegno: sei in equilibrio perché la terra ti tiene in piedi. Se adesso staccassimo la spina del magnetismo che ci regge in piedi, voleremmo come razzi verso il più vicino pianeta. La terra gira e non ce ne accorgiamo.
Il luogo, la superficie, il punto, sono fondamentali per esistere e per partire col pensiero.

C.S.: C’è un altro aspetto, molto complesso al quale posso tuttavia accennare. Nella storia del pensiero occidentale è chiaro che il cielo è lo spirito, la parte immateriale dell'anima, e la terra è la concretezza, la materia, il fango, quello che sporca, la parte animale. La nostra cultura ha creato un modello per il quale la terra si sfrutta, come si sfrutta la materia, come si sfrutta la donna, perché è bassa, e le cose alte sono di altro tipo. Siamo arrivati a ridurre un intero sistema di pensiero in questi dualismi: cielo e terra, spirito e materia, intelletto e corpo.
La concezione della terra è stata legata (per millenni?) a ciò che genera, che è basso, è l'elemento meno nobile. Ma oggi, dopo molte indagini di natura storico-politica, filosofica ma anche politico-femminista, si cerca di ribaltare questa dicotomia tra cielo e terra, recuperando la terra su un piano etico, differente.
Oggi penso che la terra possa essere ripensata in un modo diverso. Baruchello si calava nel sottosuolo con l’immaginazione, si identificava in un sapore, aiutava l’animale a partorire; il lavoro di Emanuela compie un gesto di interrogazione, sospende il già noto e cerca nuove risposte o possibilità di agire all’incrocio di esperienze e modi di vivere di diverse persone che, a partire da interessi diversi, non soltanto artistici, sono o sono stati vicini alla terra. Si interessa all’agricoltura biodinamica e biologica, e di come la conoscenza attuale possa portare ad un miglioramento e al rispetto di questa dimensione della terra.

E.A. L'agricoltura biodinamica lavora proprio sulla relazione tra terra e cielo, ma ricordando sempre che noi viviamo principalmente in una dimensione materiale. Inoltre il corpo uomo e il corpo terra funzionano nello stesso modo, e penso sia possibile guardare alla terra per riscoprire l'uomo.
In questo viaggio sto attraversando terre, territori, storie di persone che hanno deciso di fare una determinata scelta di vita, e questo penso sia un bel modo per ripensarsi.