Presentazione in anteprima del volume Strange Angels, realizzato per accompagnare l'omonima mostra fotografica che si terra' dal 22 febbraio al 23 marzo 2003 nella quattrocentesca Torre Avogadro di Lumezzane (Brescia), a cura di Cristina Taverna e Ferruccio Giromini. In occasione della presentazione del volume verra' proiettato un video, realizzato da Harari stesso, che presenta i suoi scatti piu' famosi accanto a numerose interviste alle star da lui ritratte.
Mercoledì 19 febbraio alle ore 18 verrà presentato in anteprima alla galleria
Nuages, in via del Lauro 10 a Milano, il volume GUIDO HARARI - STRANGE ANGELS
(Edizioni Nuages) realizzato per accompagnare l'omonima mostra fotografica che
si terrà dal 22 febbraio al 23 marzo 2003 nella quattrocentesca Torre Avogadro
di Lumezzane (Brescia), a cura di Cristina Taverna e Ferruccio Giromini.
Il libro raccoglie un'ottantina di fotografie realizzate da Guido Harari in
diversi momenti della sua attività trentennale di ritrattista, specializzatosi
in particolare nello scoprire il carattere, gli atteggiamenti, le emozioni dei
grandi della musica.
In occasione della presentazione del volume (96 pagine a colori, Euro 27,00),
verrà proiettato un video, realizzato da Harari stesso, che presenta i suoi
scatti più famosi accanto a numerose interviste alle star da lui ritratte.
Per Harari ha posato l'intero Gotha della musica contemporanea. Davanti al suo
obbiettivo, molti musicisti e cantanti si sono anzi esibiti in estemporanee
performance, a partire dal Tom Waits in copertina, che trasforma una tenda
strappata in un mantello volteggiante. Nelle pagine incontriamo via via Laurie
Anderson, Lou Reed, Joni Mitchell, Skunk Anansie, Paolo Conte, Caetano Veloso,
Frank Zappa, Philip Glas, Compay Segundo, Giorgio Gaber, James Taylor, Ute
Lemper, Jan Garbarek, Simple Minds, Gianna Nannini, Ligabue, Fabrizio De André,
Vinicio Capossela, Zucchero, John Lee Hooker, Vasco Rossi, Bob Marley, Elvis
Costello, Angélique Kidjo, Robbie Robertson, Leonard Cohen, Brian Eno, Patti
Smith, Goran Bregovic, Michael Nyman, Peter Gabriel, Noa, Carmen Consoli, Ennio
Morricone, Jeff Buckley e molti altri ancora.
Il volume si apre con le presentazioni di Laurie Anderson, Lou Reed, Ferruccio
Giromini e si chiude con una dettagliata intervista a Guido Harari sul suo
lavoro.
LAURIE ANDERSON:
Strange Angels è un gran titolo per questa mostra, un titolo che ho già usato
per un mio disco. Lo trovo azzeccato perché indica quella varietà di personaggi
che puoi ritrovare in una raccolta di fotografie o in un romanzo o in una
canzone. Esprime pure la precarietà della vita, quando vediamo una persona per
un attimo soltanto, il modo in cui è proprio in quell'attimo e poi mai più alla
stessa maniera. Parla di momenti svaniti, ognuno dei quali rappresenta quella
persona in modo molto intimo e strano. Guido è diverso da qualunque altro
fotografo. Non ama programmare un servizio fotografico, o magari sì, ma è sempre
lì, presente, e "Ti dispiace se ti faccio un ritratto?", ed è fantastico perché
di solito rispondo che vorrei, ma sono molto stanca, e d'improvviso lui salta
fuori da dietro l'angolo con un grande "Ah!". Ma Guido ha un certo modo di
saltare fuori da dietro l'angolo, e così pensi "Perché no? In fondo ci vorrà un
secondo". È una collaborazione che si sviluppa sempre rapidamente secondo moduli
inattesi. Non ha nulla di quelle sedute fotografiche dove mostri solo una certa
parte molto limitata di te. È davvero una fotografia da kamikaze, molto diversa
da quella da paparazzi. Perché si tratta di autentica collaborazione. Guido non
vuole arraffare nulla, ma piuttosto provare ad andare oltre l'apparenza delle
cose. Un modo molto eccitante di affrontare la fotografia. Con risultati sempre
diversi dal solito.
LOU REED:
Sono sempre felice di farmi fotografare da Guido, so che le sue saranno immagini
musicali, piene di poesia e di sentimento. Le cose che Guido cattura nei suoi
ritratti, compresi i miei e certo quelli di Laurie, vengono in genere ignorate
da altri fotografi, per i motivi più vari. E poi quel tipo di fotografie te le
fa un amico, non un estraneo. Io considero Guido un amico, non un fotografo, e
per questo lui può cogliere certe immagini.
FERRUCCIO GIROMINI - UN'ANGELICA STRANEZZA:
Ci sono linguaggi, non verbali, che nel sentire comune vengono considerati
tipicamente universali, comprensibili di primo acchito a tutti. Uno di questi è
la fotografia. Guardare un rettangolino di realtà , una finestrella di mondo,
pare un'operazione senza difficoltà interpretative. Sappiamo però che non è
così, che i limiti della "finestrella" sono stati scelti arbitrariamente dal
fotografo, e che i significati che ciascuno di noi mette dentro quel
rettangolino derivano dalla nostra esperienza personale. Ogni fotografia parte
dunque diversa, in base a chi ne è l'autore, e giunge a diversa destinazione, in
base a chi ne è il fruitore. Sembra un prodotto oggettivo, la fotografia, ma non
lo è per nulla.
Un altro linguaggio espressivo che si tende a considerare immediatamente
accessibile nei suoi "significati" è la musica. Ma anche qui la letteratura
contraria potrebbe costituire un'enciclopedia. In prima istanza, la musica può
apparire fascinatoria ai suoi pubblici in modi simili e condivisibili; ma è più
che evidente che, anche in questo caso, la cultura e la sensibilitÃ
dell'interprete e quelle dell'ascoltatore di turno variano notevolmente
l'effetto finale. Di nuovo, assistiamo a una combinazione ed interazione di
sensibilità che allontanano da un risultato oggettivo univoco.
Quando poi fotografia e musica si incontrano, allora sì che il gioco si fa
ancora più ingarbugliato. Intrecciando due linguaggi che tutti credono di capire
al volo (ma come abbiamo visto le cose non stanno affatto così), il fotografo
musicale si lancia pertanto in un acrobatico doppio salto carpiato senza rete.
E' il caso - il gioco periglioso - di Guido Harari, un fotografo il cui nome da
sempre è legato alle immagini da lui dedicate alle grandi musiche del mondo.
Nel 1973 Harari, ancora ventenne, comincia a frequentare al contempo il
giornalismo musicale e il ritratto fotografico di musicisti; rappresenta dunque
un caso molto particolare, senza precedenti, di critico-artista, che in sé
riunisce le attitudini razionali analitiche richieste alla prima professione e
quelle emozionali sintetiche più apprezzate nella seconda. In breve il suo
lavoro si trasforma in un never ending tour planetario sulle molte vie della
musica, di cui diviene un testimone erratico e cosmopolita.
Del 1982 è il suo primo libro dedicato al teatro, quello di Lindsay Kemp, che
precede di poco il reportage Notti di note, del 1985, cresciuto al seguito di
una emozionante tournée di Claudio Baglioni. Nel 1991 il bellissimo volume
Fotografie in musica, forse la miglior testimonianza del suo percorso fino ad
allora, si rivela nodale punto di svolta, poiché da quel momento Harari giÃ
esplora altri territori, ancora teatro con Paolo Rossi e con l'eccentrica
compagnia di Pippo Delbono, reportage a sfondo sociale in Bangla Desh con i
medici di Progetto Sorriso nel mondo, ritratto istituzionale e campagne
pubblicitarie, e l'editoria come curatore di eleganti monografie sulla vita
pubblica e privata di Fabrizio De André (E poi, il futuro) e di Fernanda Pivano
(in un volume di imminente pubblicazione).
La musica tuttavia permane quale sottotraccia inalienabile di qualunque lavoro,
a cui Harari ritorna senza sosta, attirato e sospinto da una passione profonda e
totalizzante.
Il ritratto di musicisti rimane l'espressione più compiuta e caratteristica
della sua arte fotografica, per quanto questa abbia da tempo ampiamente superato
qualsiasi etichetta restrittiva.
Ma che cosa cerchiamo noi, pubblico vorace, nelle immagini fotografiche dei
protagonisti delle musiche che amiamo? Anzitutto, è ovvio, la celebrazione del
mito. In alcuni casi, con spiritello un po' maligno, forse, anche il
ridimensionamento, se non addirittura la distruzione, del mito stesso. E in
altri casi ancora, una certa violazione - magari controllata - della
indifendibile privacy dell'idolo di turno. Difficilissimo risulta allora il
ruolo del fotografo, che ci fa da tramite, da demiurgo, tra la nostra
quotidianità e quei mondi presunti dorati. Il fotografo deve soddisfarci nelle
nostre curiosità e nei nostri entusiasmi, non deve urtare la ragionevole
suscettibilità della personalità ritratta, ma nello stesso tempo, per rispetto
di se stesso, deve riuscire ad esprimersi compiutamente: tanto a livello formale
(taglio, composizione, illuminazione, effetti visivi...) quanto sul piano
interpretativo (perciò sul "contenuto" stesso dell'immagine). Sul filo del
rasoio si danza così in balìa del rischio perenne dell'interpretazione: quando
il fotografo diviene anche amico del personaggio pubblico che ritrae, con il
subentrare dell'affetto pure il suo sguardo cambia. Il nuovo filo
dell'equilibrista è ora più intessuto di familiarità e allusività .
Ecco allora che la fotografia diventa virtuosismo interpretativo, quasi
improvvisazione jazz, su un dato tema standard. A sorpresa la fotografia può
diventare perfino schizzo narrativo: anche fiction, perché no? La fotografia si
fa, obiettivamente, racconto e confessione anche dell'interiorità soggettiva del
fotografo. Non va dimenticato che ogni immagine stampata, ogni pagina di libro è
frutto di una scelta dell'autore, e molte sono quelle scartate. Le immagini che
noi arriviamo a vedere in una rivista, in un libro, in una mostra, sono solo
quelle che il fotografo vuole rivelarci. Le immagini che noi arriviamo a
guardare non rappresentano solo chi mostrano, ma pure chi le ha realizzate.
Qualsiasi fotoreportage è anche autobiografia del fotografo.
Così tutti gli "strani angeli" che popolano il presente di Guido Harari sono i
suoi compagni di viaggio, che lui ha scelto per rappresentarlo ognuno in piccola
parte, ognuno a modo proprio. Per ciò il fortunato presente di Harari è un
consesso celestiale dove risuonano e si espandono e danzano insieme tutte le
musiche possibili - quelle che in molti casi Guido stesso chiama per sé "musiche
di sopravvivenza", quelle che, dice, aiutano a trovare e a dare un senso alla
propria vita. Lui, radiosamente cosciente della propria fortuna, è felice di
poterne rendere partecipi anche noi, che ne godiamo di riflesso uno scatto ogni
tanto. Quindi strani angeli arrivano a comparire ogni tanto anche dinanzi a noi,
in repentini squarci di veli opachi, in inediti giochi di luce, in improvvisi
lampi trionfalmente rivelatori.
Di tutto ciò siamo molto grati a Guido Harari. Peraltro unicamente una persona
deliziosa come lui poteva, e può, avvicinare tanti supereroi dello spettacolare
immaginario contemporaneo senza minimamente scottarsi, né scottare chicchessia.
Galleria Nuages, via del Lauro 10 - Milano