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Art e Dossier (2003 - 2005) Anno 16 Numero 171 ottobre 2001



L'ultimo Eden americano

Alberta Gnugnoli



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Ansel Adams, Quercia, tempesta di neve, Yosemite (1948); New York, Museum of Modern Art (c) The Ansel Adams Publishing R

Ansel Adams, Albero morto, Dog Lake, Yosemite National Park (1933) (c) The Ansel Adams Publishing Rights Trust and Littl

Ansel Adams, Pioppi, New Mexico settentrionale (1958); New York, Museum of Modern Art Cortesia (c) The Ansel Adams Publi

Lasciando ad altri fotografi il compito di documentare le tensioni e i mutamenti della società statunitense nella prima metà del Novecento, Ansel Adams, in una personale intensa relazione con il mondo naturale, continua a ritrarre la bellezza della natura dell'Ovest, e raccoglie così l'eredità dei grandi paesaggisti americani del secolo precedente.

"Le società, come gli individui, sono nutrite dal sole, dalla terra, e da tutte le forme di vita. Più bellezza nella mente, e più pace nello spirito", ribadiva l'americano Ansel Adams (1902-1984), uno dei maestri della fotografia del XX secolo, profeta inesausto del potere redentivo della natura in un mondo che si era pericolosamente estraniato dalla sua bellezza. Personalità multiforme - artista e tecnico raffinato, musicista, ambientalista e promotore istituzionale della fotografia come arte - il San Francisco Museum of Modern Art, nel centenario della nascita, lo celebra con una mostra a tesi (Ansel Adams at 100) in centotredici immagini di paesaggio, in bianco e nero, magnificamente austere e serene, di sublime imperitura bellezza. Secondo John Szarkowski, curatore della mostra, Adams non fotografò la grandiosa natura dell'Ovest come soggetto di apostolato sociale, cui andò invece l'universale anche se tardivo credito dell'artista, ma essenzialmente come forma di privata, mistica adorazione cui la sua anima e la sua natura profondamente morale anelavano come all'essenziale, all'assoluto. Fu la sua anima dunque che cercò innanzitutto di salvare, anche se dobbiamo essergli grati per avere educato, potenziato ed esteso la nostra conoscenza emozionale del mondo naturale.

IL PAESAGGIO COME EVENTO

Per Ansel Adams, nativo di San Francisco, la natura non fu mai un'entità astratta ma una presenza concreta, possente, rassicurante, quale si rivelò a un adolescente di quattordici anni, iperattivo e curioso, ma socialmente problematico, appassionato di tecnica e di musica, ma scolasticamente disadattato, cui gli scenari immensi di Yosemite Valley e della Sierra Nevada nell'alta California restituirono miracolosamente un insperato equilibrio fisico e spirituale. La scoperta di una natura aperta, libera, infinita, e della sua speciale bellezza, farà di Adams un artista intimamente identificato con la geografia e la cultura dell'Ovest, ma insieme impegnato a imporle come parte integrante dell'arte americana. Diversamente da Edward Weston, l'altra varietà di una stessa singola specie, il fotografo della natura californiana, irresistibilmente interessato a isolare, esaltare la forma essenziale nelle strutture naturali in una ricerca estetica più concettualmente orientata, Adams raccoglie e innova l'eredità dei grandi interpreti del paesaggio americano del XIX secolo, fotografi come Jackson, O'Sullivan e Watkins, ma anche pittori come Church, Bierstadt e Moran, che avevano espresso nella "wilderness", intatta ed eterna, l'identità inconfondibile della nazione americana, il suo apporto creativo insostituibile alla scena naturale del mondo. A differenza dei fotografi che lo hanno preceduto Adams non è interessato al mondo naturale solo come realtà solida, immutabile, ma anche e soprattutto come evento, mutabilità, che è manifestazione di vita. Le sue non sono tanto espressioni della geologia, quanto del tempo atmosferico che fa dello scenario naturale una sorgente perenne e meravigliosa di stupore e di sorpresa, di delizia e grazia estetiche. Come la tempesta di neve che investe l'albero di quercia nella omonima immagine del 1948 e annulla ogni specificità del luogo in una visione edenica di surreale incanto. In questo senso Adams è fotografo del suo tempo, come Henri Cartier-Bresson e tutti quelli nati tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX, che trattarono l'effimero, il passeggero, in parte perché lo permise il nuovo vocabolario tecnico, la pellicola, con cui è possibile fare molte più pose ed errori perché ne è subito disponibile un'altra. Così in un'immagine come Nubi, King's River Divide, lo spazio convenzionalmente tridimensionale è sovvertito da un esuberante affollarsi sul piano frontale dell'immagine di ogni elemento - nubi, rocce, neve, cielo - articolato con nitida precisione e insieme così intimamente legato alla scena che questa è ritrascritta in un unico semplice gioioso gesto. È la luce argentea dell'alta montagna, scoperta nelle frequenti escursioni liberatorie e tonificanti, la luce che trasforma "ogni particella della natura in un metallico splendore", a dissolvere il peso degli elementi e a conferire alle immagini di Adams una qualità sempre viva e brillante, pur nella ricchezza e completezza della scala tonale. Una vitalità nervosa, una tensione incalzante corre in alcune immagini di Adams che le rende uniche, imparagonabili ad altre, come in Lago ghiacciato e scogliere (1932), una delle sue più radicali, inquietanti immagini di paesaggio, tutta ghiaccio e pietre, affilate come lame, che paiono balzare in avanti con un ritmo minaccioso, stregonesco. Il grafismo dell'immagine che interpreta la fredda bellezza e la sensibilità del luogo testimonia una crescente forza di sintesi e di composizione nel lavoro di Adams ma insieme la sua compiuta consapevolezza degli orientamenti artistici contemporanei, come il modernismo, già evidente nella potente ripresa di Monte Robson, ottenuta con un teleobiettivo, in cui le masse scure del picco roccioso emergono con contrastante incisività dalle bande innevate dei ghiacciai. L'incontro e il confronto con i fotografi modernisti americani, Weston, Strand, e lo stesso Stieglitz, l'oracolo del movimento, se confermano in Adams la validità della fotografia come "estensione dell'arte moderna" e arricchiscono le qualità formali della sua visione in termini di effetti di luce, superfici, linee, confermano anche che le radici della sua fotografia sono nella terra del cuore, la Sierra Nevada, in una comunione di mente e di spirito con l'eternità delle rocce e del cielo, rispetto alla quale le snervanti schermaglie con la vita e con gli uomini sono una "rivoltante banalità". Anche se l'energia inesauribile di Adams, la sua tensione apostolica in favore della fotografia e della conservazione dell'ambiente, l'entusiasmo di gettarsi nelle battaglie di ogni giorno per salvare il mondo, fecero della sua esistenza un campionario affollato di umanità e attività. Non altrettanto può dirsi della sua opera creativa.

UN'ESTETICA PURISTA

Come osserva John Szarkowski, curatore della mostra al San Francisco Museum of Modern Art, nonché direttore per un trentennio del primo dipartimento museale di fotografia al mondo, quello del Museum of Modern Art di New York, di cui lo stesso Adams era stato ispiratore e consulente, l'opera creativa del fotografo californiano non si è mai intonata al momento politico dominante, fosse la fotografia di denuncia sociale degli anni Trenta di Dorothea Lange, o quella del reportage di guerra di Robert Capa. Contro quasi mezzo secolo di nichilismo artistico, di sperimentazione, di iconoclastia, di arroganza della disperazione nel documentario sociale, di sentimentalismo e spettacolarità del fotogiornalismo, Adams riaffermava la posizione di Stieglitz secondo la quale la fotografia artistica esiste in quanto è "affermazione di vita", integrità della visione. Una vitalità e un'integrità che Adams sentiva, immutabili e incondizionate, nella bellezza della "wilderness", una bellezza la cui solidità era pari a quella del granito in cui erano fondate le rocce di Yosemite. Senza lo stimolo di quella personale intensa relazione con il mondo naturale, il lavoro di Adams, fotografo professionista che trattava una vasta gamma di commissioni, raramente trascendeva la pura competenza tecnica. Di fronte alle follie devastatrici del XX secolo la bellezza primordiale e lontana dei paesaggi dell'Ovest offriva una sorgente ferma e costante di saggezza, di ispirazione, di rinnovamento spirituale. Alla critica di Cartier-Bresson secondo il quale "in un mondo che va in pezzi c'è ancora chi fotografa le montagne!", con il conseguente giudizio di inutilità, o di estraneità elitaria, per le espressioni di un'estetica purista, Adams risponde che "in una scena naturale c'è altrettanto valore sociale che in un corteo di scioperanti, perché la sua bellezza ha un potenziale umano intatto che è un bene universale". Questa tensione idealistica ed emozionale pervade le immagini di Adams degli anni Quaranta in cui emerge uno stile maturo, grandioso ed eroico, di vasti orizzonti e magiche luci. Come Luna che sorge, Hernandez (1941), considerato forse il suo capolavoro, scattata in un tramonto autunnale nel New Mexico, la chiesa del villaggio e le luci del piccolo cimitero sullo sfondo brillantemente illuminate dal sole calante mentre la luna ascende fra bande luminose di nuvole in una oscurità cosmica. L'idealizzazione del paesaggio americano, non come terra di conquista e sopraffazione, ma di unione spirituale fra la natura e l'umana società è espressa suggestivamente in quella luce avvolgente che rende soffuse le due realtà.

LA TENEREZZA DELLA NATURA

Le immagini di Adams diventano metafore di libertà e di alta ispirazione, icone di un panteismo americano in cui il progresso coesiste benevolmente con la "wilderness", come in Aurora invernale, Sierra Nevada (1944), in cui questo rapporto è visualizzato nella giustapposizione dei picchi innevati della Sierra selvaggia che sovrastano maestosamente la scena pastorale in basso, con il cavallo che pascola fra gli alberi. Il messaggio dell'interdipendenza e ricongiunzione delle forme di vita riecheggia la visione di Walt Whitman di un'America "nature's nation", in cui la cultura americana trae la sua forza dalla bellezza e grandezza del continente. Scenari grandiosi, ma anche attenzione ai dettagli della natura e alla loro affascinante esistenza, come un ciuffo di erba in una zolla di terra o il tronco di albero, in cui "scorre la vita essenziale del tutto". È la "tenderness", indicata da Stieglitz come complementare alla "affirmation of life", e che appare riscoperta da Adams nei tardi anni Cinquanta in uno stile misurato e meno stridente, in immagini calme e liriche, in cui prevalgono i toni intimi, i close-up dei dettagli. La correttezza, la precisione cristallina, la pulizia sempre controllate delle immagini di Adams, e criticate come limite in quanto espressione di una freddezza tecnica, diventano grazia, semplicità, eleganza calligrafiche. È il caso di Pioppi, New Mexico (1958), due immagini di uno stesso boschetto di pioppi, al massimo del loro colore, colpiti lateralmente da una incredibile luce autunnale. Quella verticale sembra irradiare una luminosità translucida: la brillantezza luminosa del primo piano recede in cadenze di tono sempre più cupo verso uno sfondo di un nero intenso. In quella orizzontale i due giovani pioppi in primo piano con le foglie argentee fanno un delicato contrappunto con le linee verticali, scure, dei tronchi circostanti. Un bel manifesto per la sensibilizzazione ambientale. Lontano dalle nuove generazioni di fotografi interessati al paesaggio "sociale" delle città e delle loro strade - Klein, Frank, Arbus, Winogrand - dell'America degli anni Settanta, ma senza l'ottimismo dei documentaristi di successo, Adams si elevava, solitario, "come l'incarnazione stessa della "wilderness", come l'ultimo dei romantici d'America, per perpetuare un senso di paradiso, un'era di innocenza e di fede che è sempre sul punto di svanire, ma che non è mai interamente perduta", secondo il commento di "Time" nel 1979 che gli dedicava, primo fra i fotografi, la copertina. E la fragranza emozionale delle sue immagini ci stupisce ancora.


LA MOSTRA
Per la mostra Ansel Adams at 100, al San Francisco Museum of Modern Art fino al 13 gennaio 2002 (151 Third Street; telefono 001 415 357 4000; www.sfmoma.org; orario 11-18, giovedì, fino alle 21, chiuso il mercoledì), che offre forse l'idea più ricca e completa di Adams come artista, il curatore ha individuato, per ogni immagine, quella che considera la migliore stampa esistente nell'arco di una vita artistica di mezzo secolo, con mutamenti anche radicali tra un periodo e un altro. Se gli anni coperti dalla mostra, dagli anni Venti agli anni Quaranta, furono i più creativi, nelle decadi successive Adams, che fu un geniale manipolatore dell'obiettivo e della camera oscura, colmò la secchezza dell'ispirazione reinterpretando il suo lavoro precedente con stampe in cui la lirica precisione e la grandiosità reverenziale diventano magniloquenza e teatralità. Come il cambiamento imposto trent'anni dopo a un'immagine di mistico fascino quale Mount McKinley e Wonder Lake, Alaska (1948), in cui la visione dell'artista sembra incupirsi e la bianca fulgida vetta, simbolo delle nostre più pure aspirazioni, appare trasformata in un cumulo di neve sporca per il dilagare delle ombre e dei contrasti. Dopo l'Art Institute di Chicago (20 febbraio - 2 giugno 2002) la mostra sarà a Londra (Hayward Gallery, luglio - settembre 2002) e a Berlino (Kunstbibliothek, 10 ottobre 2002 - 5 gennaio 2003).