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Aperture (2002 - 2004) Anno 6 Numero 11



Davanti la maschera

Fiamma Montezemolo

Non fate chiudere Aperture



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'Dietro la maschera che c'è?', questo ci siamo chiesti tutti almeno una volta nella vita. Una certa visione 'filosofico-ecologista' ci ha più o meno convinti che la supposta artificialità (della maschera) posta sulla supposta naturalità (del viso) debba nascondere la vera essenza che è in noi. Si tratta di una fenomenologia che non va confusa con una certa sostanza. Dunque, al di là della maschera un qualcosa si deve pur nascondere, ci deve pur essere, è per questo che si usa dire che 'l'apparenza inganna'. E se invece ci chiedessimo cosa mostra la maschera? cosa evidenzia la sua apparenza, cosa vi è davanti ad essa, più che dietro? Ho cominciato a pormi questa domanda qualche anno fa quando sono andata per la terza volta nel Chiapas messicano a studiare da antropologa la rivolta zapatista degli indigeni maya-messicani. Trovandomi ripetutamente di fronte a uomini e donne coperti da passamontagna non ho potuto inizialmente non chiedermi quali fossero i loro 'veri' volti. Finché un giorno vedendoli prima a viso scoperto e poi - all'arrivo dei rappresentanti governativi che dovevano trattare i termini della pace con loro - a viso coperto, non ho realizzato che la mia domanda era la domanda del governo messicano. Un governo che da anni non faceva che calpestare i diritti indigeni del paese per appropriarsi di risorse materiali e identità culturali. È così che ho provato a invertire l'interrogativo: cosa vi è davanti quella maschera-passamontagna, cosa vuole mostrare ancor prima che nascondere? L'ombra ha una sua riconoscibilità, il racconto di Schlemil ricorda l'importanza dell'ombra in quanto alterità dotata al tempo stesso di una sua autonomia (può venire sottratta dal corpo del protagonista) e di una sua relazione con l'io (che non riesce a vivere senza la sua ombra): essa non coincide con quell'io ma quell'io non può da lei prescindere.
Gli zapatisti indossando un semplice e banale guappo nero sulle loro teste si trasformano nell'ombra del governo messicano che in qualche modo li vive come alterità, ma che da essi non può prescindere. E non riuscendo a prendere quell'ombra - a confrontarsi con questa alterità interna che sono i maya messicani - il governo tenta di capire chi vi si celI dietro, anziché cogliere che il suo confronto può avvenire solamente con essa, con quella maschera che rappresenta un'inifinità di drammi e desideri.
Nel 1994, una parte del popolo indigeno messicano insorge contro il governo perché esso, dai tempi dell'indipendenza, non ha mai smesso tra le altre cose di sottrargli terre (soprattutto con espropriazioni illegittime); permettere condizioni di lavoro impossibili (soprattutto con sfruttamento a bassissimo costo della manodopera); favorire una educazione poco presente e non rispettosa della cultura maya (i maestri si rifiutano di andare a insegnare nelle terre indigene per i disagi che ciò comporta e se ci vanno non parlano le lingue indigene e dunque spesso non vengono neanche compresi); sostenere una giustizia razzista (molti indigeni vengono arrestati senza veri reati da attribuire a loro carico, senza poter accedere a una difesa spesso in combutta con gli interEssi dell'accusa); restare indifferente di fronte a una salute più che incerta (moltissime persone muoiono di malattie curabili come il morbillo).
Da quella data, una serie incessante di attacchi e falsi tentativi di trattative si sono alternate da parte del governo con gli zapatisti. Ancora oggi a distanza di diversi anni sembra difficile arrivare a una vera pacificazione perché le ombre dell'alterità non si rassegnano a venire a patti con chi non rispetta la loro volontà di differenza. Il governo non sa relazionarsi con il suo altro interno, non riesce a dialogare con esso perché tenta continuamente di ricondurlo a sé, di assimilarlo in una identità meticcia che rifiuta la radice indigena a favore di una identità maggiormente identificabile come 'bianca', occidentalizzante.
Il problema però è che la maschera zapatista non copre, bensì evidenzia la volontà maya di vedere riconosciute tutte le proprie identità, insieme a tutti i propri diritti. La lotta non riguarda solo la ovvia esigenza di vivere una vita vivibile in termini di educazione, terra, lavoro, ecc., ma anche l'esigenza di riconoscere che l'identità indigena, che è insorta nel '94, ha dato vita a una moltiplicazione di identità. Il passamontagna copre un viso, ma svela una pluralità identitaria: gli zapatisiti affermano di sentirsi sia maya che messicani, di non voler scegliere tra l'una e l'altra identità. Essi non hanno mai pensato di chiudersi in una nazione indigena, di reclamare un separatismo, al contrario, hanno chiesto di veder rispettata l'autonomia dell'ombra riconoscendone al tempo stesso la sua imprescindibilità. I maya - che a loro volta sono differenziati al loro interno: zoques, tzeltales, tojolabales, mames, ecc. - sono maya e cittadini messicani. La maschera non può ridursi alla rappresentazione di una sola identità, di un solo colore, di un solo genere. Vi sono molti modi di essere indigeni e messicani e tutti questi modi hanno necessità di esistere.
Il passamontagna, che nella pratica 'sottrae' il volto agli zapatisti, in realtà restituisce loro proprio quel volto che sembra togliergli. I senzavolto chiapanechi paradossalmente acquisiscono - grazie alla loro maschera - un volto. Lo zapatista senza passamontagna è un indigeno qualsiasi, non registrato in nessuna anagrafe locale, il più delle volte, mentre con il passamontagna - per la foga governativa di determinarne la sua 'pericolosa' identità - è uno zapatista definito. Il paradosso è che solo rinunciando al proprio unico viso, alla propria identità anagrafica, attraverso la maschera-passamontagna, è possibile darsi un viso, un'identità alterata e alterante, multipla. Prima della rivolta vi era l'indistinzione, ora vi è una visibilità data non dall'interesse per l'altro ma dal timore per lui. Fino al '94, i bambini nati in molte comunità ufficialmente non morivano perché ufficialmente neanche nascevano, da allora le cose sono in parte cambiate. Il governo si interessa maggiormente a loro perché identificarli è funzionale alla volontà di controllarli.
Se in generale si pensa che l'apparenza inganna, io - nel caso zapatista - direi che l'apparenza dice molte verità scomode, prima tra tutte quella che: "Dietro il nostro volto nero, dietro la nostra voce armata, dietro il nostro innominabile nome, dietro i noi che voi vedete, dietro siamo voi" (www.ezln.org: luglio 1996).
Il passamontagna, da maschera si fa specchio, uno specchio che riflette al Messico non l'imitazione e la menzogna di una sua teorica identità stabile meticcia, ma la realtà di una identità indigena che nasce sulla sua frammentarietà carica di schegge infinite di significati nuovi, carica di possibilità emergenti di viversi inediti sé. L'indigeno è messicano, maya, mam, zoque, maschio, femmina, di classe alta, classe bassa, contadino, operaio. È tutto questo e molto di più. Ecco cosa c'è davanti la maschera: un mondo di potenzialità-alterità che non vogliono essere messe a tacere da un potere monologico che impone il suo dominio a partire dalla volontà di controllo dell'identità.
E dietro di essa, forse, c'è chi ti indica di guardare altrove - davanti - laddove vengono rappresentati i drammi e le potenzialità degli altri che siamo noi.