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Art e Dossier (2003 - 2005) Anno 17 Numero 180 luglio/agosto 2002



Esperienze di Novecento

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Marisa Mori, Battaglia aerea nella notte [Battaglia aerea notturna] (1932)

Marisa Mori, bozzetto per scenotecnica cinematografica (1933)

Marisa Mori, bozzetto per la scenografia di Sensualita' (1933)

Dopo un importante apprendistato nella bottega di Felice Casorati, Marisa Mori celebra il fermento del nuovo secolo avvicinandosi ai futuristi e all'aeropittura, che però abbandona con l'entrata in vigore delle leggi razziali. Una carriera coraggiosa attraverso le contraddizioni di un'epoca.


Figura avvolta da un'aura mitica, quella di Marisa Mori, nata a Firenze nel 1900 ma formatasi artisticamente nella Torino di Felice Casorati, artista amato fin da giovanissima che decide di conoscere nel 1925, quando, dopo molta esitazione - anche se da anni dipingeva come autodidatta, incoraggiata dallo scultore Leonardo Bistolfi, amico di famiglia -, va in visita nello studio in via Galliari 35 con alcuni bozzetti e piccoli dipinti a olio che ritraggono il figlio.
Il mito di Marisa Mori si è nutrito nel tempo grazie alla sua esistenza avvolta nell'ombra e nel silenzio, dopo una coraggiosa carriera artistica (collocabile negli anni tra il 1925 e il 1940) trascorsa seguendo due delle esperienze artistiche più importanti presenti in Italia tra le due guerre mondiali, diverse per linguaggio pittorico e filosofia di vita: la visione classica, misurata e silenziosa, di Casorati e della sua "bottega", e il secondo caotico e vulcanico momento della pittura futurista, rappresentata a Torino da Fillia, Diulgheroff, Rosso, Tato, Oriani, Costa e Farfa. Marisa Mori ha saputo coniugare due mondi profondamente distanti prendendo da ognuno le caratteristiche fondamentali: dal primo, lo sguardo incantato e malinconico, accentuato dall'uso fortemente tonale del colore, dal secondo la libertà assoluta di creare mondi interiori suggestionati dalla realtà esterna meccanizzata.

LA "BOTTEGA" DI CASORATI

Fin dai primi momenti, riesce a far propri gli insegnamenti di Casorati, che la esorta a guardare l'insieme della composizione e la tonalità del colore prestando piena attenzione anche al volume degli oggetti e delle figure. Nascono attraverso questi semplici precetti opere dall'intensa atmosfera, quali Primavera - Autoritratto (1926), Ritratto della nonna con sciarpa bianca (1927), Franco ed Emilietta (1929), Camera-studio a Torino (1929), rigorose nell'impianto disegnativo, compositivo e coloristico, nelle quali i volumi sono chiaramente costruiti dalla luce e dal colore corposo steso a campiture larghe. Si ritrova in queste tele la stessa attenzione posta dal maestro al soggetto, ai volumi e al rapporto di questo con lo spazio, concepito sempre come luogo appena accennato che avvolge le figure, isolandole dall'intero contesto. La Mori analizza con cura gli atteggiamenti dei soggetti ritratti, cogliendo la loro interiorità e la loro dimensione psicologica, creando così una pittura dove la realtà sembra essere evocata piuttosto che dipinta nella sua concreta esattezza. Lo stesso inconfondibile "modus" casoratiano di concepire e vedere la realtà si ritrova nelle vedute Monte dei cappuccini, Torino sotto la neve (1929) e Spiaggia di Marina di Massa (1930), anche se il loro fermo isolamento temporale le avvicina alle opere metafisiche di Carlo Carrà.
Marisa Mori è tra le allieve più apprezzate da Casorati assieme a Nella Marchesini, Daphne Maugham e Paola Levi Montalcini, con le quali instaura un profondo rapporto d'amicizia che rimane invariato anche dopo il suo abbandono della scuola per approdare all'ambiente più scanzonato e goliardico del futurismo, anche dopo il ritorno in Toscana della Marchesini, il matrimonio della Maugham con lo stesso Casorati e l'evoluzione in direzione astratto-concreto del linguaggio pittorico della Levi Montalcini. Racconta così la Mori nelle sue memorie inedite: "Non c'era alcuna differenza tra noi allievi, perché [Casorati] accettava quelli dei quali aveva fiducia. Ci voleva bene. Ci aiutavamo a vicenda e Casorati era Maestro vero e amico. Il suo insegnamento mi è stato fondamentale sul piano dell'esperienza e della formazione. Era maestro e anche compagno di lavoro. Ci presentava i suoi critici e i suoi collezionisti. Viaggiavamo insieme e anche dopo aver sposato Daphne Maugham non trascurava la nostra amicizia che fu la stessa di prima del matrimonio, e Daphne la stessa amica".
Nel 1929 il maestro compra cinque delle migliori opere dell'allieva, realizzate in quei primi anni di praticantato, dimostrando di apprezzare profondamente la sua grammatica pittorica. Diverso invece il linguaggio della Marchesini e della Levi Montalcini in rapporto con quello di Marisa Mori. Teso alla realizzazione di opere dal disegno netto e pulito di impianto neoquattrocentesco ma anche di influenza più spiccatamente cézanniana quello della Marchesini, più duro e incisivo - sia nel disegno sia nella stesura cromatica - quello della Levi Montalcini.

L'ESPERIENZA FUTURISTA

Qualcosa però cambia. Marisa Mori sente il desiderio di abbandonare il sentiero conosciuto per intraprendere la strada irriverente e antiborghese del futurismo: "Il futurismo per me è stato una gioia perché potevo inventare - arricchire di colori e di ritmi ciò che prima studiavo dal vero. Casorati non apprezzava il futurismo e mi disse che mi rovinavo - perdevo cioè quello che avevo guadagnato. E nella considerazione della mia carriera artistica sarebbe stato un vero fallimento". Queste le parole che usa per spiegare a quanti non capiscono la sua nuova avventura. L'incontro col futurismo avviene attraverso l'amicizia con il ceramista ligure Tullio Mazzotti e con i pittori Fillia e Farfa che, fin dal 1931, durante i mesi estivi trascorsi insieme ad Albisola Marina, la incoraggiano a dipingere secondo i dettami dell'aeropittura, coinvolgendola persino in un rocambolesco volo sull'aereo. Nei confronti di Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del movimento, nutre un sentimento di simpatico cameratismo, ma mai quell'ammirazione ostentata e declamata dagli altri del gruppo.
Il contributo della Mori al futurismo non è riferibile al solo ambito pittorico, ma anche a quello scenografico e alla cartellonistica pubblicitaria. Del suo lungo percorso artistico, il periodo futurista è senza dubbio il più affascinante, poiché crea opere che se seguono la poetica aeropittorica lo fanno in modo tutto personale, con soluzioni formali, cromatiche ed estetiche molto originali, di un notevole impatto visivo ed emotivo. Le opere realizzate nel 1932-1933 risentono più direttamente dell'influenza della cultura futurista torinese filtrata soprattutto attraverso la lettura di alcuni scritti teorici di Fillia, come la Pittura spirituale, pubblicato nel 1925 sulle pagine di "L'Impero", nel quale, assieme a Bracci, teorizza l'uso del colore psicologico, cioè di colori associati a precise sensazioni interiori. Ed è proprio il testo sulla pittura spirituale a fare da filo conduttore per la costruzione delle prime opere della Mori esposte a Torino, tutte molto nebulose, offuscate dall'uso pastoso dei pigmenti, in cui i colori sono utilizzati in modo fortemente soggettivo e arbitrario: prevalgono i rossi, i blu e i gialli, attraverso i quali organizza tutta l'immagine, che non è mai precisa e nitida ma ambigua ed eternamente sospesa tra cielo e terra.
Anche lei, come i torinesi, vede l'aereo come un mezzo per arrivare a una nuova spiritualità, come un modo attraverso il quale poter esprimere meglio non solo le proprie sensazioni interiori ma soprattutto l'idea, il simbolo dell'uomo e della sua nuova vita in rapporto alla natura meccanizzata. La Mori non ha fatto mai mistero di aver abbracciato l'aeropittura per una propria esigenza interiore, per il modo col quale i futuristi trattano luce, colori e paesaggio, che va al di là della mera produzione fantastica o naturalistica della realtà. Da Fillia riprende soprattutto certe scelte cromatiche, anche se il risultato visivo delle opere è molto diverso, più nitido e metallico quello di Fillia, più nebuloso e pastoso quello della Mori, corrispondenti a due aspetti diversi del futurismo; il primo legato all'ambito meccanico e il secondo a quello più interiore e spirituale. Il denominatore comune è rappresentato dalla ricerca di entrambi di una pittura fortemente soggettiva, in cui il loro immaginario meccanico si risolve essenzialmente su un piano puramente interiore. Realtà sentita, dunque, e non descritta. A Torino nascono opere intense, conosciute come i suoi capolavori: Battaglia aerea nella notte (Battaglia aerea notturna), con soluzioni formali tendenzialmente astratte, Aviatrice addormentata, Composizione futurista e Clinica Sanatrix esposte alla galleria Codebò nel 1932. Nel 1933 torna a Firenze e firma il Manifesto dei Gruppi futuristi di iniziative diretti da Antonio Marasco e nell'aprile dello stesso anno il Manifesto della cinematografia futurista insieme a Giuseppe Lega, Antonio Marasco e Ferdinando Raimondi. Da questo momento è presente in tutte le esposizioni futuriste di scenotecnica teatrale e cinematografica allestite tra il 1932 e il 1937.

CINEMA E COLONIE ESTIVE

Fillia ha un ruolo importante nella formazione avanguardista della Mori, non solo perché è colui che insieme a Tullio d'Albisola l'avvicina al movimento marinettiano, ma anche perché la coinvolge nell'allestimento scenografico di due sue opere teatrali, Sensualità meccanica e Sensualità, già pubblicate nel 1925. Per la prima la Mori realizza un teatrino - negli anni compresi tra il 1932 e il 1935 - esposto poi nel 1936 alla VI Triennale di Milano, per la seconda le scene del V atto intitolato L'altoparlante.
Analizzando la struttura dei bozzetti realizzati nel 1933 per Sensualità - concepiti essenzialmente come un gioco di ombre formate da sagome incombenti sulla scena e da quella dell'attore al centro, prodotte dalle luci proiettate sul palco -, questi, sembrano citazioni dirette di alcuni lavori realizzati da Ivo Pannaggi per Anton Giulio Bragaglia proprio sul teatro delle ombre. Le sagome in metallo o in legno sono sviluppate, inoltre, in linea e incombono sulla scena come figure protomeccaniche, accanto alla massiccia presenza di queste strutture razionaliste, la figura dell'attore si annulla. Questi elementi si ritrovano anche nei bozzetti per scenotecnica cinematografica (1933), dove il paesaggio meccanico minaccia le poche e isolate presenze umane. Sagome di fabbriche, binari con carrelli trasportatori, sono elementi che con i loro volumi minacciano la presenza umana; le macchine sembrano prendere il posto degli uomini, ridotti quasi a figure alienate, e appare dominante l'influenza del cinema espressionista tedesco, in particolare della pellicola Metropolis di Fritz Lang.
Dal 1934 la visione futurista di Marisa si complica, perché l'artista si attiene con più rigore alla tematica aeropittorica costruendo opere dal vago sapore razionalista: Aeropittura II [Ritorno degli Atlantici] (1934), Ritorno dalle colonie estive (1934-1935), Composizione su elementi dei campeggi balilla (1936) sono dipinti direttamente ispirati dalla filosofia di vita fascista. La realtà viene però trasfigurata, facendo leva sulle linee forza, poiché le opere esprimono non tanto la realtà oggettiva, quanto la sua essenza interiore e la simultaneità dei movimenti, e tutto è rafforzato da un vivace sviluppo cromatico di grande impatto, che si indurisce nel 1940 con l'ultima opera futurista, Coloni fascisti partono per le terre dell'impero.
L'artista fiorentina ricorda le motivazioni che la spinsero poco prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale ad abbandonare la poetica marinettiana: "Partecipai anche durante il fascismo più avanzato alle Quadriennali romane ubbidendo a Marinetti che dava dei temi - e io sceglievo "Le colonie marine" dove i bambini erano mandati per godere il mare - e altri temi del genere. Ma poi quando Mussolini divenne schiavo di Hitler e venne la persecuzione razziale non esposi più con i futuristi".
Dopo nove anni di militanza decide dunque, per motivi ideologico-politici, di abbandonare il linguaggio avanguardista e cerca nuove soluzioni formali e pittoriche. Inizia allora un cammino solitario, in cui rifiuta qualsiasi coinvolgimento nelle mostre e nelle retrospettive futuriste e nega la sua partecipare a incontri sia ufficiali che ufficiosi con i vecchi compagni, tendenza che la porterà negli anni Cinquanta a scegliere un isolamento quasi totale. Si rinnova tra il 1939 e il 1948 l'interesse per la ritrattistica, i paesaggi marini, le nature morte con frutti e piante, il nudo sia maschile che femminile, e le maschere, care anche a Casorati. Le maschere sono il soggetto che l'artista costantemente propone dagli anni Trenta agli Ottanta, e che interpreta sempre in maniera diversa, accentuando l'espressione drammatica negli anni che precedono la morte.


Marisa Mori
Marisa Mori (Maria Luisa Lurini) nasce a Firenze il 9 marzo del 1900. Nel 1918 si trasferisce con la famiglia a Torino, dove conosce Leonardo Bistolfi che la esorta a dipingere. Nel 1920 si sposa con Mario Mori. Nel 1925, dopo anni di attività pittorica come autodidatta, si presenta a Felice Casorati, che la accoglie come allieva nello studio di Torino. Da subito partecipa alle più importanti mostre torinesi - tra cui l'Esposizione delle vedute di Torino nel 1926, e quelle della Promotrice di Belle Arti, dove è presente dalla prima edizione (1929) alla quarta (1932) -, e alle collettive di Casorati e allievi che si tengono alla Galleria Milano di Torino nel 1929 e nel 1931, e alla Galleria Valle di Genova nel 1930. In questo stesso anno espone alla XVII Biennale di Venezia, tornandovi nel 1934, nel 1936 e nel 1940. Negli anni 1931-1932, con Nella Marchesini, diviene assistente di Casorati. Improvvisamente abbraccia la poetica futurista, conosciuta attraverso il ceramista Tullio (Mazzotti) d'Albisola e gli artisti torinesi Fillia, Farfa e Tato. Dal 1932 partecipa a tutte le manifestazioni italiane ed estere più importanti del movimento marinettiano: è presente alla collettiva alla Galleria Codebò di Torino, alla mostra Enrico Prampolini et les aéropeintres futuristes italiens alla Galerie de la Renaissance di Parigi, a quella alla Casa d'Arte di La Spezia. Nel 1933, dopo essere tornata a Firenze, firma il Manifesto di Antonio Marasco Gruppi futuristi d'iniziative e nell'aprile dello stesso anno il Manifesto della cinematografia futurista, vincendo anche il terzo premio del concorso nazionale del Golfo della Spezia. In giugno partecipa alla mostra Omaggio futurista a Umberto Boccioni alla Galleria Pesaro di Milano e alla Mostra d'arte futurista a palazzo Ferroni di Firenze. È del 1934 la sua prima personale, organizzata al Bragaglia Fuori Commercio di Roma. In questo anno partecipa alla mostra futurista presso l'Hôtel Negresco di Nizza e a Livorno alla mostra Aeropittura arte sacra pittura scultura futurista di Bottega d'Arte. Nel 1935 partecipa alla II Quadriennale di Roma, dove torna nel 1939 e nel 1951. Dal 1940, in polemica con la politica razziale imposta dalla dittatura fascista, abbandona il movimento futurista, dedicandosi a una pittura di forte impianto naturalista, che si accentua dopo gli anni Cinquanta attraverso l'amicizia con Arturo Checchi. Nel 1948 partecipa alla I Rassegna toscana delle arti decorative a palazzo Strozzi. Muore a Firenze il 5 marzo del 1985.