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Art e Dossier (2003 - 2005) Anno 18 Numero 191 luglio-agosto 2003



Musei da conoscere - Arken Museum

Anna Marzia Positano

L'arca del contemporaneo



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Una veduta dell'esterno dell'Arken Museum

L'Asse rosso, zona di passaggio tra l'Asse dell'arte e il foyer

L'Asse dell'arte

Un museo di arte contemporanea dalla struttura architettonica in controtendenza, un edificio orizzontale allungato come un relitto di una nave sul bordo dell'acqua, in una baia appena fuori dal centro di Copenaghen, è un'''arca'' che si presenta non solo come contenitore di capolavori, ma come opera d'arte a sé stante.

Un relitto che si è arenato sulla spiaggia. Non un veliero o una nave da crociera gagliardamente puntata verso il largo, ma un disarticolato riassemblaggio delle parti di una nave che, dopo aver fatto naufragio contro gli scogli, sono rimaste ammassate le une sulle altre, creando una nuova forma. È il museo danese di Arken (che con il suo nome, Arca, non fa mistero della sua forma e della varietà dei contenuti), nato in controtendenza nel panorama dell'architettura danese, tradizionalmente fedele a una compostezza formale, a una tradizionalismo dei materiali e a una contestualizzazione ambientale che Arken ha improvvisamente messo in discussione quando fu inaugurato nel 1997.
Il giovane architetto Soren Robert Lund che a venticinque anni, nel 1988, vinse il concorso bandito dall'amministrazione comunale di Copenaghen per un nuovo museo d'arte contemporanea, aveva deciso di scompigliare le carte e azzardare qualcosa che si accordasse con l'inconsueta decisione di collocare un museo fuori dal centro cittadino. I criteri ai quali Lund si è attenuto hanno voluto decisamente contestualizzare il nuovo oggetto architettonico sia nel mantenere l'orizzontalità del paesaggio che il suo strettissimo legame con l'acqua. Il luogo è infatti un'area a Sud di Copenaghen, sulla baia di Køge, a una ventina di minuti dal centro. Anzi, in una prima fase di ideazione, il museo progettato da Lund doveva sorgere nell'acqua. La sua ambientazione, tuttavia, è stata di poco spostata all'interno, su di una lingua di terra (in effetti di riporto) sul bordo dell'acqua, in un'affascinante area fatta di spiagge e acquitrini, ricca di specie animali protette. Una strana ambientazione per un museo, che si presenta alla vista, forma orizzontale in un paesaggio orizzontale, con quell'intreccio di volumi scomposti, residuo di un immaginario naufragio, che hanno la non celata pretesa di sopraffare e porsi come prodotto dell'arte e non solo come suo contenitore.

Una scelta di rottura

Una frattura con la tradizione comportava infatti anche la scelta di un nuovo modello, desunto da quanto proposto in quegli anni dall'architettura contemporanea. Nel progetto di Lund, praticamente il primo della sua precoce carriera, si colgono, anche se in filigrana, le due componenti classiche, che su un giovane architetto appena laureato in quegli anni potevano avere facile presa: i modelli storici, naturalmente, con particolare attenzione alla spazialità rinascimentale e al costruttivismo russo, e le suggestioni dell'allora dirompente decostruttivismo, che aveva i suoi maggiori rappresentanti nell'angloirachena Zaha Hadid e nell'americano Frank O. Gehry. Ne è nata una realizzazione singolare, una provocazione nel contesto danese, un nuovo modo di rapportarsi allo spazio, spazio certo altamente attraente nella sua quasi totale ''nudità''.
La novità di Arken non sta nella scelta tematica, che si può tranquillamente definire banale, soprattutto se si considera il contesto marino. Una nave o suoi elementi si sono da sempre inseriti in un paesaggio di mare, si tratti di piccole costruzioni turistiche o, su piani del tutto diversi, di un'opera magistrale, uno dei capisaldi dell'architettura del Novecento come la Sydney Opera House dello svedese Jorn Utson. La novità di Arken sta nella frammentazione della forma, nel contesto in cui si è ''arenato'', nel suo piuttosto spudorato esibizionismo. Non è però in distonia con la sua destinazione, quella di centro delle arti contemporanee: in primo luogo museo destinato alla raccolta ed esposizione di importanti opere di arte danese contemporanea, oltre che di arte scandinava e internazionale. In secondo luogo, anche se un po' in subordine, accoglie film sperimentali, teatro, danza, musica.
I primi ''segnali'' del museo per chi vi si stia avvicinando sono alcuni profili taglienti (la linea curva è prevista qui in un solo caso, quello dell'Asse dell'arte): la decrescente parete longitudinale che forma la spina dell'edificio - intorno a cui si dispongono i volumi - e le tre vele ricoperte di zinco che, sospese su sottili piloni, segnalano tre punti nodali del museo: la galleria ortogonale, il laboratorio, i depositi. Queste vele richiamano in maniera esplicita le rare vele che scivolano sul mare della baia. Le metafore nautiche, del resto, abbondano: il volume aggettante del bar-ristorante, completamente vetrato e pavimentato in teak chiaro, è uno scafo sospeso, semincastrato nel corpo in cemento dell'edificio, apparentemente sostenuto a mezz'aria da un pilastro che si divide in tre sottili ''zampe'' che ricordano quelle di un modulo lunare.
Le porte all'interno e all'esterno dell'edificio, il vano ascensori, i pannelli sono di acciaio inox, apparentemente ''fissati'' da una fitta trama di bulloni e ricordano a loro volta gli interni di un sottomarino. Forse l'idea è anche quella di una moderna, asettica e luminosa officina, i cui ambienti scabri e a piani sfalsati sono collegati da scale e passerelle che ne accentuano l'idea.

L'asse dell'arte

Punto focale del museo è uno spazio a cannocchiale, di ben 150 metri, che attraversa tutto l'edificio. Definito l'''Asse dell'arte'', è il più ampio spazio espositivo della Danimarca e, naturalmente, è la spina dorsale del museo. È una lunga galleria ellittica, che all'entrata offre una suggestiva illusione ottica dovuta alla notevolissima variazione di altezza tra i due estremi: 12 metri da un lato, 3,5 dall'altro. Con questo accattivante effetto illusionistico si combinano poi, in un deliberato ''understatement'', le scabre superfici di pareti e pavimento, lasciati al naturale nella prospettiva che sarà l'uso a dar loro una patina. La galleria si collega al foyer con l'Asse rosso, un asimmetrico corridoio con le pareti di un lucido, intenso rosso, che si prolunga oltre l'edificio per affacciarsi sulla spiaggia.
Sul versante nord dell'Asse si dispone una serie di volumi ortogonali che contengono laboratori, galleria e depositi. Sul versante sud un volume a cuneo contiene ambienti scabri e interessanti: un teatro multifunzionale per 240 posti, dipinto di nero, con il pavimento chiaro e le poltrone scarlatte; una sala cinema, piccola, quasi un trompe-l'oeil, con la zona calpestabile che sembra ritagliata nella parete-schermo; un grande foyer e il bookshop. Nello spazio tra la ''spina'' e il cuneo si inserisce una corte trapezoidale destinata all'esposizione della scultura.
Le pareti dell'Asse dell'arte e del cuneo si prolungano nel paesaggio. All'esterno, le loro massicce pareti angolate introducono il visitatore all'ingresso, un'ampia porta in vetro e acciaio posta in cima a una leggera salita, il cui segno caratterizzante è costituito da una gigantesca grondaia scura. Dall'ingresso, per un'ampia scalinata, si può sia scendere verso l'Asse dell'arte sia entrare nell'atrio del bookshop, ampiamente illuminato dall'alto. Al voluminoso ''scafo'' della caffetteria si accede invece percorrendo una passerella in acciaio sospesa sul bookshop.
Le sale espositive sono disposte su piani sfalsati intorno all'Asse dell'arte, secondo un disegno molto lineare e funzionale, forse un po' freddo. Le bianche pareti delle sale sono enfatizzate dall'uso di materiali primari e disadorni, tra i quali predominano il cemento e l'acciaio.
Un monolito di granito di 36 tonnellate, strategicamente piazzato nell'atrio principale, fa esplicito riferimento a elementi primari, in un quadro generale di uso di materiali scarni e, appunto, primari anche se con numerosi inserti tecnologici.
Insomma, un oggetto architettonico che, malgrado alcune incongruenze e ingenuità, crea una tensione tanto nel paesaggio in cui è inserito, e con cui certamente si integra nella riformulazione di uno spazio ''artificiale'', quanto nel contesto dell'architettura danese contemporanea. Più ambizioso, forse, nella sua dinamica polifunzionalità, di quanto i programmi del museo stesso lascino per ora supporre. Certamente è un punto di partenza, con la sua forte dose di immaginazione e di azzardo, di cui il panorama architettonico danese non può non tenere conto.