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Art e Dossier (2003 - 2005) Anno 19 Numero 199 Aprile 2004



Design Deco

Fabio Benzi



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Nicola Diulgheroff, vaso in terracotta maiolicata, 1932 circa; Genova, Mitchell Wolfson Jr. Collection - Fondazione Cris

icola Diulgheroff, L’uomo razionale, 1928.

Marcello Piacentini, sedia a seduta rotonda, 1933; Genova, Mitchell Wolfson Jr. Collection - Fondazione Cristoforo Colom

Lo stile Deco caratterizza per alcuni decenni,
nel Novecento, il gusto diffuso soprattutto nelle arti decorative, nell'architettura, nell'arredamento in Europa
e negli Stati Uniti. All'originale esperienza italiana
e' dedicata una mostra a Roma di cui ci parla qui il curatore.


Nel Deco sono presenti molte radici culturali, ma tre in particolare ebbero un ruolo determinante nella definizione dello stile italiano: il futurismo; il classicismo ispirato dal ''ritorno all'ordine'' del primo dopoguerra; il secessionismo, cioe' una parte di quel movimento giovanile dei primi anni del secolo che si ispirava alla Secessione viennese e alle sue semplificazioni geometrizzanti. Queste tre tendenze spesso si mescolano, dando vita a una versione originalmente creativa, tutta italiana, del Deco.
L'influenza del futurismo sul Deco internazionale fu enorme; inaspettatamente ma significativamente vasta fu pure in ambito italiano, al punto da superare di gran lunga la diffusione e l'apprezzamento che ottenne per se' lo stesso movimento. Infatti in Italia l'adesione al futurismo fu moderatamente diffusa, e perlopiu' il movimento veniva considerato una nicchia intellettuale, quando non (da parte dei ''benpensanti'') un’ubbia priva di senso.
Come talvolta pero' accade, le idee passano di campo in maniera imprevedibile, e i principi sostenuti dal futurismo ebbero piu' o meno consapevolmente una diffusione popolare larghissima, seppure in traduzioni, volgarizzazioni e semplificazioni di diversa specie. I concetti base del Deco su un piano puramente teorico (modernita', velocita', vita notturna, colori squillanti, geometrie caleidoscopiche e tutti quegli elementi della metropoli moderna che affascinavano l'immaginario popolare tra le due guerre: automobili, aerei, grattacieli) vengono derivati, in tutta la cultura occidentale, dall'ottimistica proiezione del futurismo.

L'IMMAGINARIO FUTURISTA

Intorno a Balla si costituisce il nucleo principale, ''romano'', del futurismo circa nel 1915-1916. E gli sviluppi suoi e dei suoi allievi (soprattutto Depero e Prampolini) sono fortemente caratterizzanti le forme e gli indirizzi che il movimento assumera'' negli anni Venti e Trenta, costituendo un immaginario prettamente Deco. Balla libero' il concetto di avanguardia allargandolo genialmente oltre il confine dell'opera pittorica o scultorea (fin dal 1914, col Manifesto del vestito futurista, e infine nel 1915 col Manifesto della ricostruzione futurista dell'universo). Egli introdusse forme di purezza geometrica nel linguaggio formale futurista: 'acciaio e cristallo', come diceva di lui Boccioni, individuando una sensibilita' gia' nettamente Deco. L'inno alle macchine, alla velocita', alla luce, alla vita moderna, alla metropoli lo troviamo fin dal primo manifesto marinettiano del 1909, e rimane una costante di tutti i proclami futuristi. Ma tra la fine del secondo decennio del Novecento e i primissimi anni Venti il concetto di macchina e di dinamismo meccanico trova uno sviluppo privilegiato e una particolare applicazione nell'immaginario futurista. Col manifesto L'arte meccanica, del 1923 (ma datato 'maggio 1922') e firmato da Prampolini, Pannaggi e Paladini, si ribadisce l'assoluta priorita' futurista su un tema che era diventato di uso comune in tutte le avanguardie europee, ma non riconosciuto come tale; da Leger al cubismo di Gleizes e Metzinger, dal costruttivismo al Bauhaus, dal dadaismo berlinese a Picabia e Duchamp, la macchina futurista aveva fatto proseliti tanto diffusi quanto sottaciuti. Ma anche a livelli diversi lo ''splendore meccanico'' aveva mietuto consensi: le arti applicate ''moderne'' (il Deco, in una parola) ne saccheggiavano ovunque nel mondo le facili suggestioni meccaniche, sinonimo di attualita'. Il mondo figurativo europeo (ovviamente anche italiano) e americano si nutriva sempre piu' di quelle suggestioni futuriste, dalle forme scheggiate e geometriche, inglobandole in visioni polimorfe, eclettiche, talvolta quasi irriconoscibili a prima vista, tanto erano imbastardite dall'impiego mediato.

TRA SECESSIONE E CLASSICISMO

Se dunque l'universo futurista, come il cubismo in Francia, anticipa ritmi e stilemi che saranno tipici del Deco, d'altra parte un altro filone, quello secessionista d'ispirazione Jugend, contribuisce a formare il medesimo gusto toccando corde piu' delicate, ma altrettanto essenziali. Casorati in questo senso appare in Italia il piu' significativo precursore, con le sue figure stagliate in pose conchiuse, l'enfasi geometrica che lentamente, dalle prove piu' imbevute di Mitteleuropa, si libra in direzione di un'assolutezza timbrica metallica e tagliente. Ma molti sono gli artisti che sulla fine ormai degli anni Dieci interpretano apertamente soluzioni Deco: Chini, in ceramiche di gusto cino-babilonese e negli affreschi per le terme Berzieri di Salsomaggiore; Oppi e Andreotti, entrambi di cultura francese, con composizioni profilate da insistenze ritmiche sintetiche; Vittorio Zecchin, che astrattizza a tal punto gli elementi decorativi secessionisti da arrivare al limite del gusto Deco, cui afferira' esplicitamente negli anni Venti.
Il tema del classicismo, perlopiu' ignorato come tematica caratteristica del Deco, ne costituisce invece uno dei perni piu' significativi per l'Italia. Cio' che lo stile Louis XVI rappresento' per la Francia, in Italia venne, coerentemente con la nostra cultura nazionale, sostituito da un classicismo romano e greco, ma anche etrusco e italico. Il risultato fu estremamente efficace e originale, poiche' faceva coincidere il concetto di semplificazione ''moderna'' Deco con la semplicita' implicita negli ordini e nelle proporzioni classiche. Artisti straordinari e prolifici come Gio' Ponti, Piacentini, Muzio, Andlovitz, crearono forme classiche non prive di un’ironia scherzosa, di un’invenzione capricciosa e moderna, spesso sensibili anche a geometrizzazioni futuriste.
La ragione di una così audace alchimia sta nel fatto che le radici classiciste non erano di derivazione accademica ma nate dai lombi dell'avanguardia futurista e metafisica, e avevano in Italia una precoce e brillante diffusione. A Roma, intorno alla rivista ''Valori plastici'', a Milano intorno alla Sarfatti e a Sironi col movimento Novecento, i poli del ritorno all'ordine erano impregnati di essenze avanguardistiche.
Un libro significativo, pubblicato da Roberto Papini nel 1930 e intitolato Le arti d'oggi. Architettura e arti decorative in Europa, ci fa capire quale fu la penetrazione delle idee futuriste perfino in un campo intellettuale ben diverso, nettamente orientato in senso classicista. Papini infatti era un critico abbastanza moderato, legato ad artisti di tendenza classicheggiante come Muzio e Ponti. Il saggio contenuto nel volume mette in scena una citta' utopistica, chiamata Universa, che diventa nella finzione del racconto la citta' moderna per eccellenza, quella dove il nuovo stile si sviluppa in maniera dittatorialmente esclusiva: vi sono banditi i sostenitori del vecchio e della tradizione. e' la citta' Deco. Lo stile di Universa e' dichiaratamente classicista ('Fondare una nuova classicita' significa tornare all’ordine, alla misura, alla composizione, allo stile'), 'tendenza latina rappresentata quasi esclusivamente da italiani, [...] quella che comincia oggi a prevalere' su quelle francesi e tedesche. Eppure, a ben analizzare, Universa e' la citta' futurista che avrebbe potuto descrivere, con pochi cambiamenti, lo stesso Marinetti. Non ci dilunghiamo nelle citazioni, che potrebbero essere numerosissime: 'Universa, capitale del modernissimo spirito mondiale; Universa, metropoli-tipo della civilta' attuale in ogni campo dell’attivita' umana; Universa, esperimento ed impiego di tutti i piu' recenti mezzi approntati dalla tecnica moderna per la vita pratica dell'uomo; Universa, patria degli uomini d'oggi lanciati a tutta velocita' verso l'avvenire'. Tutto, dall’architettura all’arredamento, dalle luci ai materiali, dai mezzi di trasporto ai vestiti, dalla musica sfrenata al ritmo delle macchine e degli ingranaggi ('i giovani d’Universa giungano a considerare anche la macchina un'opera d'architettura ed affermino che una locomotiva, una turbina, un'automobile, un velivolo, un canotto a motore sieno paradigmi di stile'), sembra provenire da un manifesto futurista. Evidentemente quel mondo idolatrato dai futuristi negli anni Dieci, che sembrava così lontano, aveva trovato nel dopoguerra un'attuazione pratica, si era concretizzato nella realta' quotidiana, e dunque chi aderiva alla modernita' non poteva non ritrovarsi sulle orme dei futuristi, anche militando su altri fronti estetici.

LE APPLICAZIONI DI UN GUSTO

Cio' spiega la vasta diffusione anche nei campi piu' popolari (pubblicita', moda, grafica ecc.) di un gusto semplificato, meccanico, dinamico, legato appunto a una visione e a stilemi futuristi: gusto che ritroviamo anche nella solo apparentemente opposta sponda del classicismo. Cio' che avveniva in tutta Europa, cioe' la diffusione di un livello ''alto'' nella progettazione e produzione delle arti applicate (geniale intuizione protoavanguardistica dell'Art Nouveau), trovo' ampia e precoce diffusione anche in Italia, attraverso numerose iniziative volte proprio a rinnovare in senso moderno la creativita' nazionale. L’Ente nazionale per l'artigianato e le piccole industrie (Enapi), fondato nel 1922, fu il maggiore ente statale preposto all'incremento dello sviluppo artistico industriale, commissionando anche ad artisti e architetti progetti che trovassero applicazione presso fabbriche e officine artigianali di tutta Italia. A Milano si costituisce un’Universita' delle arti applicate (poi Isia) e nella vicina Monza una mostra, la Biennale internazionale di arti decorative aperta nel 1923 (poi Triennale dal 1930, infine trasferita a Milano dal 1933), che fu il grande palcoscenico del moderno stile Deco in Italia. Accanto a queste istituzioni pubbliche, numerose imprese private chiamarono artisti di fama a dirigere la produzione con intenti di incisiva modernita' Deco: Richard-Ginori chiamo' Gio' Ponti nel 1923; la Societa' ceramica italiana di Laveno, Guido Andlovitz sempre nel 1923; la ditta vetraria muranese Salir, Guido Balsamo Stella nel 1926; Luigi Fontana fonda nel 1933 la Fontana arte con Ponti e Chiesa. Questi sono solo alcuni esempi, ma le collaborazioni piu' o meno strette, piu' o meno esclusive di ditte con architetti e artisti sono frequentissime: la ditta di tessuti Carlo Piatti di Como collabora con Marcello Nizzoli; la ditta Ilca di Nervi con Arturo Martini; le ceramiche Rometti con Cagli; Giulio Rosso, e persino De Chirico e Morandi, con i merlettai buranesi.
Alcuni artisti, soprattutto futuristi, intraprendono per loro conto l'impresa decorativa tra artigianato e industria: Prampolini apre la sua Casa d'arte italiana nel 1918; Depero
la Casa d'arte di Rovereto nel 1919, dalla quale negli anni tra le due guerre uscira' un'incomparabile produzione di mobili, arazzi, tarsie, oggetti futuristi tra i piu' significativi del gusto Deco internazionale; Tullio D'Albisola imposta la fabbrica di ceramiche di famiglia all'impronta futurista sullo scorcio degli anni Venti.
Il Deco italiano t rova infine la sua strada originale e feconda, sviluppandosi a partire dalla meta' degli anni Venti e per tutti gli anni Trenta, in uno stile monumentale e sintetico, quasi privo di decorazioni: quello che popolarmente verra' chiamato lo ''stile Novecento'', e che avra' ancora originali interpretazioni da parte del razionalismo come del monumentalismo, dell'astrattismo come dell'ultimo futurismo.