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Art e Dossier (2003 - 2005) Anno 2005 Numero 207 Gennaio



Verso un'unione cosmica

di Barbara Aniello



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Jean Delville, L'amore delle anime (1900), Bruxelles, Musee d'Ixelles

Jean Delville, Parsifal (1890)

Jean Delville, schizzo per Prometeo (1904)

Quadri che sono suoni, suoni che sono quadri: un pittore e un musicista, Delville e Skrjabin, attorno al primo decennio del Novecento concertano il proprio lavoro al fine di unire sinesteticamente i rispettivi campi artistici, in un territorio comune che attinge alla danza come alla teosofia.

''Che sogni faccio talvolta! Ma non sono sogni, sono visioni, illusioni che diventano tangibili, suoni che sono quadri''. Così, a casa di amici, Skrjabin nel 1909 descrive la sua ultima sinfonia, ma in realtà, due anni prima, era stato proprio un quadro a "diventare" suono nella sua vita. Fu un'autentica visione quando nel 1907, entrato nello studio del pittore Delville in Avenue des Sept-Bonniers a Forest, presso Bruxelles, s'imbatté nella gigantesca tela del Prometeo. Questo titano, che per Delville è il padre degli iniziati, inaugura la stirpe di Orfeo, Apollo, Rama, Krishna, Ermete, Mosè, Pitagora, Platone, Cristo(1): ''Avvolto dall'aureola del sole, il titano scivola nell'etere infinito, come aveva detto Omero, immerso nei suoi sogni generosi sta forse per plasmare gli uomini dal fango? O sta per rubare il fuoco dal cielo per donarlo agli umani? Ha il presentimento dell'orribile supplizio che l'attende dalla sommità del Caucaso? Questo caos lirico che circonda l'eroe fa pensare ai vapori primordiali della formazione dei mondi''(2).
Il mitico titano che aveva plasmato esseri umani simili agli dèi e che aveva rubato una fiaccola dal sole, portando così il fuoco agli uomini, diviene per il compositore il simbolo della lotta dell'anima contro la materia e della sua ascesa verso lo spirito. Folgorato dal quadro, Skrjabin mette mano alla sua sinfonia di colori, intitolata Prometeo. Il poema del fuoco. Quest'opera sinestetica dall'enorme organico con orchestra, doppio coro, organo, celesta, si avvale di un nuovo strumento, il "clavier à lumière", una sorta di pianoforte in cui a ogni tasto corrisponde un fascio di luce colorata. Nell'utopico progetto, questa luce, in sincronia con la musica, doveva inondare la sala e gli spettatori. Skrjabin costruisce una vera e propria tavolozza musicale, suddividendo la scala cromatica in dodici toni(3) e associando a ognuno di questi un colore suonato e visualizzato dall'improbabile tastiera, inserita in partitura con il nome di "luce".
Così Sabaneev nell'Almanacco del Blaue Reiter saluta la sinfonia di colori che tanto aveva incantato Kandinskij(4) e Marc: ''L'ora della riunificazione delle arti è ormai suonata. L'idea, già formulata da Wagner, viene espressa oggi con più vigore e chiarezza da Skrjabin. Tutte le arti, ciascuna delle quali ha raggiunto un elevato stadio di sviluppo, devono nuovamente incontrarsi e riunirsi in un'unica opera, devono creare l'atmosfera di uno slancio talmente titanico da produrre come necessaria conseguenza un'autentica estasi, un'autentica conoscenza visionaria dei sommi piani della natura''. Numerose sono le assonanze tra le opere della mostra del Cavaliere azzurro e il Prometeo, recensito nell'Almanacco, ma è soprattutto nella produzione successiva di questi artisti che è riscontrabile un'analoga riflessione sinestetica(5).
Skrjabin inizia la stesura del Prometeo a Bruxelles nell'aprile del 1909, due anni dopo l'incontro con il quadro di Delville e da questa musica, da questo ''autentico fuoco'', il pittore trae il suo secondo Prometeo per il frontespizio della partitura, in un percorso inverso, dal suono al quadro. Questa copertina, che segna la svolta di Delville dai temi wagneriani alle opere skrjabiniane, è un vero manifesto filosofico, pieno di rimandi teosofici e simboli esoterici. La fiamma tra le sopracciglia del dio, sede del terzo occhio, è simbolo di chiaroveggenza e tocca la quarta corda della lira, che allude all'intervallo di quarta su cui si fonda l'accordo prometeico. Nella mistica dei numeri il quattro è quello che indica l'Io, l'Uomo. Il doppio triangolo intrecciato, inserito nel sigillo in basso, rimanda all'unione di materia e spirito ed è circondato dal serpente che si morde la coda, l'ouroboros, che allude alla concezione ciclica del tempo, nel passaggio dalla vita alla morte, dalla morte alla reincarnazione, dal caos al "cosmos", dal dolore all'estasi.

Un pittore wagneriano

Prima dell'incontro con Skrjabin, Delville era un pittore wagneriano convinto e, come ricorda il figlio(6), era un eccellente pianista dilettante quando si cimentava nella Walkiria. Nel 1887 ritrae Tristano e Isotta nell'ultimo atto, quando, reclinata sull'amato nell'abbraccio estremo, Isotta, distesa, ormai morente, solleva il calice del filtro magico. La coppia abbracciata allude alla riunificazione dell'androgino. L'unità riconquistata dopo la separazione avviene grazie all'amore che supera la morte terrena(7). Punto culminante della composizione triangolare è il calice, sollevato quasi in una sacra ostentazione, in una mistica apoteosi di quel magico, ambiguo filtro, responsabile dell'amore e della morte dei due eroi wagneriani. Il velo che avvolge Isotta è costellato di farfalle, simbolo della metamorfosi dalla morte alla vita, ma un altro velo si posa a mo' di sudario sul volto del Parsifal del 1890 che, con la bocca dischiusa nel bacio di Kundry, è rapito in estasi.
È il velo di Iside quello che ricorre nell'iconografia di Delville, che associa spesso la testa alla lira: ''La testa umana è costruita secondo i ritmi delle leggi cosmiche; è attraente e luminosa, ed è su di essa, d'altronde, che l'influenza astrale si manifesta in termini assoluti. Non c'è alcuna differenza tra il sistema di attrazione fra i pianeti e l'irraggiamento dei tessuti nervosi. Le diverse fasi di formazione dell'embrione nel grembo materno non hanno altre leggi che quelle delle interferenze planetarie''(8).
Nello stesso anno del Prometeo, che stimola il tentativo sinestetico di Skrjabin, anche Fabry tenta un approccio all'opera d'arte totale, decorando il Théâtre de la Monnaie a Bruxelles con pitture murali in cui ricorre l'iconografia della lira associata alla testa. Delle due versioni del Parsifal, l'eroe puro che combatte le sue passioni per la purificazione finale, quella del 1894 è più descrittiva, con l'eroe di profilo che guarda, scostando il velo, la rocca sacra. Il cigno che nuota nel lago è un elemento narrativo legato alla leggenda di Parsifal. L'eroe, che lo aveva involontariamente ferito, finirà per identificarsi nell'animale, vittima innocente della sofferenza. Il Parsifal del 1890, invece, è frontale e le corna taurine, unite alla falce lunare, alludono, a mio avviso, a Iside egiziaca, divinità astrale cara alla cultura teosofica. È opportuno ricordare l'influenza sugli artisti dell'epoca del testo Iside svelata di Elena Blavatsky(9). Questo Parsifal, che appartiene alla serie delle "têtes coupées" realizzate da Moreau, Redon e dallo stesso Delville per l'iconografia di Orfeo, incarna il concetto di estasi e sogno, nell'eloquenza delle labbra e delle palpebre socchiuse a contemplare i sommi piani della natura.

Skrjabin e la teosofia

Quando Skrjabin visita l'atelier di Delville, è già wagneriano(10) nella sua visione sinestetica dell'arte e ha già composto il Poema dell'estasi, ma non conosce ancora la dottrina teosofica. Nel 1908 diviene rosacrociano e frequenta la Società teosofica, grazie proprio all'influenza di Delville e dello scrittore Émile Sigogne, zelanti difensori di Péladan. Parallelamente, insieme al Poema del fuoco, concepisce un'opera d'arte totale, il Misterium e nel 1913-1914 ne scrive l'Atto preliminare, rimasto allo stato di abbozzo. Il progetto prevedeva la cooperazione di tutte le arti, compresa la danza, in un rito iniziatico della durata di diversi giorni che, coinvolgendo tutti e cinque i sensi, doveva condurre a un'estasi generale, capace di annullare la differenza tra esecutori e pubblico, tra "io individuale" e "io collettivo"(11). Per realizzare quest'opera d'arte totale Skrjabin vagheggiava di costruire un nuovo Bayreuth in India, la cui architettura simbolica alludesse all'unione tra gli opposti: cielo-terra, principio passivo-attivo, universale-particolare. L'edificio semisferico con dodici entrate doveva essere costruito sulle rive del Gange in modo che, rispecchiandosi nell'acqua, potesse riflettere una sfera completa.
Anche Delville riserva un posto d'onore alla sinestesia e, nei suoi scritti, concede all'artista di servirsi di più arti, poiché nella sua essenza l'arte è figlia dello spirito e lo spirito è unico, pur manifestandosi in più campi. L'interesse per la danza sacra e l'Oriente si ritrovano in un disegno a matita del pittore che segue immediatamente il Misterium, rimasto incompleto per la prematura scomparsa di Skrjabin. Nella Danza sacra, 1915, una sacerdotessa di profilo, in costume egizio, esegue dei passi rituali come una moderna Salomé davanti alla statua di Budda. Le allusioni a un rito iniziatico sono evidenti: la posa yoga del dio seduto sulla corolla di loto e illuminato dal nimbo ovoidale, l'incenso nei due bruciaprofumi ai piedi della danzatrice, il fuoco sacro sul vassoio nella mano sinistra, lo sguardo estatico del profilo rivolto verso l'alto. La posa della danzatrice e il suo costume rimandano a una foto d'epoca dello spettacolo Cleopatra, messo in scena nel 1909 a Parigi. Protagonista è Ida Rubins?tejn, che danza a piedi scalzi, sulla scia di Isadora Duncan, e assume una posa plastica molto simile a quella disegnata da Delville, il quale, molto probabilmente, aveva assistito ai suoi spettacoli(12).
Anche Skrjabin era interessato alla danza e collaborava con Alicia Koonen. La famosa "danseuse" russa improvvisava i suoi passi mentre il maestro suonava gli accordi del Prometeo al pianoforte, mentre la stanza si tingeva di luci colorate, proiettate da un gioco di candele e filtri. L'immagine della danza delle anime nell'ascesa verso un'unione estatica, spirituale, cosmica, si era rivelata a Skrjabin, al momento della prima visita all'atelier del pittore. L'amore delle anime (1900) è preceduto da uno schizzo a matita, costruito sul principio della doppia sfera, dell'infinito, dell'otto, che rimanda allo schizzo rinvenuto sui taccuini del compositore per il suo Misterium.
Fin dal loro primo incontro, avvenuto nel 1903, Delville e Skrjabin riflettono su temi comuni. Per esempio un simbolismo bianco (L'angelo degli splendori, 1894, Arcangelo, 1894) e un simbolismo nero (La fine di un regno, 1893, I tesori di Satana, 1895, L'idolo della perversità, 1891) caratterizzano la produzione pittorica di Delville, così come quella musicale di Skrjabin (Poème satanique, 1903, Messa bianca, 1911, Messa nera, 1912-1913). Del resto anche la figura di Prometeo si presenta nell'immaginario dei due artisti con un'ambiguità: quest'eroe maledetto, mezzo dio e mezzo uomo, è un Lucifero, un portatore di luce, la luce della conoscenza del bene e del male, la scintilla dell'intelligenza, la fiamma dell'intelletto accesa al canto del sole.