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Impackt (2006-2009) Anno 2006 Numero 1



Ostaggi dell'angoscia

Marco Senaldi

Intervista a Umberto Galimberti



Contenitori e Contenuti


user instructions
Risikopackaging
S.Pedrazzini, M. Senaldi

shopping bag
Una Questione di Affidabilità
Sonia Pedrazzini

psycopackaging
Ostaggi dell'Angoscia
Marco Senaldi

identi-kit
4mula: l'Ordine Naturale delle Cose
Francalma Nieddu

tools
Il Cavallo di Troia
Francalma Nieddu

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Custodire l'Igiene
Giada Tinelli

shopping bag
L'invisibile Sicurezza del Pack
Maria Gallo

identi-kit
Design Group Italia
Sonia Pedrazzini

design box
Il Design del Rischio
Sonia Pedrazzini

new!
Graphic Design Day 2.0

design box
Packaging sperimentale
S.P.

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Tra Pericolo e Incertezza
Marco Senaldi

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Pack Design allo IED
Naba

tools
La Sicurezza in un Pezzo di Carta
Giada Tinelli

box-office
Paul, Mick e gli Altri
Gabriele Ilarietti

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Il Gene Mancante
Emergency (G. Tinelli)
Embankment (M. Senaldi)
Drive


shopping bag
Un Anno di Tredici Mesi
Il Tubo che Svetta
Nessun Compromesso


book box


Hanno detto di noi...
Impackt, competente e ironica bibbia del settore ...
(D-Casa la Repubblica delle donne, ottobre 2005)

Impackt è candidato al Premio Nazionale d'Eccellenza Profeti in Patria 2005, che si svolge sotto l'alto Patronato del Presidente della Repubblica e che intende testimoniare la memoria storica della creatività produttiva, come valore aggiunto del made in Italy.
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n. 1


Ostaggi dell'angoscia
Foto Erica Ghisalberti 2006

Franco Angeloni
Super Genetic(r) Market
Made in ItaliaImballaggio

Enzo Umbaca
Check-in at the airport
Milano-Tirana 2005

Acquabomber è sì un pericoloso paranoico, ma la nostra società rischia di finire preda di un'angoscia ossessiva, che è un pericolo anche peggiore. Parola di Umberto Galimberti.



Umberto Galimberti, filosofo e psicoanalista, è una tra le personalità intellettuali più rilevanti del nostro paese. Docente di Filosofia della Storia all'Università di Venezia, è anche noto ai lettori italiani per la rubrica che tiene da molti anni su D-Donna di Repubblica. Ha pubblicato numerosi saggi, tra cui Psiche e tecnhe, (1999) e il recentissimo La casa di psiche, (2005); la serie delle sue Opere Complete è in corso di ristampa presso Feltrinelli.
A lui, pensatore a tutto campo che non si è mai sottratto alla responsabilità di esprimere giudizi pubblici anche su questioni controverse di attualità - quali il tema della donazione di organi o il problema della fecondazione assistita - abbiamo chiesto di parlarci del problema della sicurezza nell'età della tecnica.

A proposito di sicurezza e della sua sorella gemella - l'insicurezza, mi piacerebbe avere un parere su fenomeni che hanno scatenato il panico collettivo all'interno dello scenario consumistico. Un esempio è il famigerato Acquabomber, lo sconosciuto avvelenatore di bottiglie di acqua minerale. Fatti di cronaca come questo sembrano sollevare molti temi, anche legati, per esempio, alla società del rischio.
La paura è un ottimo meccanismo di difesa: proprio perché ho paura mi difendo dal pericolo; quando un cane che mi corre dietro o scappo o lo affronto, insomma, grazie alla paura, qualcosa devo fare; i bambini viceversa, corrono grandi rischi proprio perché non hanno paura. Invece bisogna distinguere dalla paura l'angoscia. L'angoscia si differenzia dalla paura perché non ha oggetto a cui fare riferimento, non è prevedibile, non c'è qualcosa di determinato che mi mette paura - e tuttavia aleggia questo timore che non ha oggetto, e quando non c'è oggetto c'è l'assoluta imprevedibilità. Ora, noi dobbiamo ricordare che la storia dell'umanità è consistita fondamentalmente nella riduzione dell'imprevedibile - e la scienza stessa non è altro che il tentativo di ridurre l'imprevedibile (Nietzsche dice che la scienza nasce perché è terrorizzata dall'ignoto): allora è facile capire che uno che riesce a inserirsi nella struttura primordiale dell'angoscia compie qualcosa di significativo, che è la stessa pratica utilizzata dai terroristi.

In effetti, a proposito del fenomeno Acquabomber alcuni hanno parlato di ecoterrorismo, altri di gruppi anarchici che agirebbero contro le multinazionali proprietarie delle sorgenti di acque minerali. Ma dato che poi i casi si sono ripetuti prima in un'area circoscritta geograficamente, poi in tutta l'Italia, e alla fine non si è trovato il responsabile, chi potrebbe essere secondo te? È uno che si diverte a fare queste cose? E' solo uno scherzo di pessimo gusto?
Il profilo psicologico di quello che i giornali si sono affrettati a battezzare "Acquabomber" è quello di uno che vuole distruggere il mondo perché ha già distrutto se stesso, uno che ha di sé un'identità negativa, che non si accetta, che non si vuole, che ha una tentazione suicida - ma che prima di far fuori se stesso fa fuori il mondo. Il concetto espresso dal motto "muoia Sansone con tutti i filistei" non si riferisce solo a un evento biblico, ma è una struttura psichica - però la cosa interessante è appunto la categoria dell'imprevedibilità da cui siamo partiti. Il terrorismo per esempio gioca su questo, perché non avendo delle forze equivalenti per contrastare il suo nemico, non avendo esercito, non avendo missili, non avendo bombe atomiche, sfrutta l'imprevedibilità come dimensione in grado di azzerare la quotidianità. L'11 settembre ha fatto duemila morti, ma non è tanto quello il danno che hanno fatto: il danno che è stato fatto in termini di economia, in termini di vissuti di libertà e di sicurezza, è stato molto più devastante.

Ma allora ha ragione il sociologo tedesco Ulrich Beck secondo cui la nostra è una Risikogesellshaft, una "società del rischio"?
Più che società del rischio, noi occidentali siamo una società assediata, assolutamente assediata; siccome siamo l'unica società tecnicamente avanzata, siamo anche la popolazione più debole della terra, proprio perché siamo quella più assistita tecnicamente. Non dobbiamo andare a cercarci il pane, è sufficiente andare dal panettiere; non dobbiamo andare a cercarci la carne, è sufficiente andare al supermercato; non dobbiamo arare i campi, è sufficiente andare dal fruttivendolo... Ecco che l'assistenza tecnica ci rende deboli, e siccome siamo la popolazione più debole del mondo non sapremmo vivere a Falluja, e neanche saremmo stati in grado di vivere a Sarajevo quando c'era la guerra. E allora, dato che la nostra condizione di sussistenza è un apparato tecnico, dobbiamo anche tener presente che un apparato tecnico, proprio perché è un apparato, è fragile, basta interrompere un piccolo ingranaggio e si ferma tutto il meccanismo, bastano dieci controllori di volo che scioperano per fermare tutto il traffico aereo di una nazione, e via dicendo. Pertanto, noi siamo una società che, essendo debole, può sopravvivere solo sulla difensiva; e siccome siamo anche privilegiati rispetto al resto del mondo perché siamo il 17% della popolazione e consumiamo l'80% delle risorse mondiali, è chiaro che per mantenere i nostri privilegi dobbiamo potenziare la tecnica. Potenziando la tecnica, però, ci indeboliamo antropologicamente, direi addirittura biologicamente, e chi riesce a perforare le nostre difese ci manda all'altro mondo.

"Perforare" è la parola giusta, visto che la strategia di Acquabomber consisteva proprio nel perforare il packaging...
...sì. In altre parole, quello di Acquabomber è solamente un piccolo episodio di un più grande episodio che è la fragilità delle culture occidentali che riescono a sopravvivere solo grazie alle difese tecniche.

Infatti il risultato di tutto ciò è stato che, in assenza di uno o più responsabili, adesso nei bar se chiedi un semplice bicchier d'acqua ti danno la bottiglietta chiusa, perché c'è il timore che anche l'acqua di un normale bicchiere potrebbe essere "contaminata".
Ripeto, non di paura si tratta, ma dell'angoscia, anzi della sua "polverizzazione". Prendiamo un soggetto delirante: all'inizio ha paura di una determinata cosa, ma quando poi i segnali di questa determinata cosa si "polverizzano" su tutte le cose, e sulla porta, sul divano, sulla sedia, si vedono microbi e veleni da tutte le parti, allora il delirio diventa catastrofico ... quando vado al bar e ho paura che l'acqua minerale che mi danno sia stata infettata, allora siamo nell'angoscia totale, cioè nel delirio ormai irrecuperabile.

Ci sarebbe tuttavia anche un altro elemento in gioco, cioè la comunicazione; da più parti si è fatto notare che se non si desse pubblicità su giornali e televisioni a questo genere di episodi, forse sparirebbero da soli...
... ma non si può non dargli pubblicità, perché i giornali e le televisioni vivono dell'"evento" che si strappa dall'ordinario, mentre con l' "evento ordinario" non si fa audience; è evidente che Unabomber, prima, Acquabomber poi, e gli stessi terroristi, sanno benissimo di compiere determinate azioni perché poi avranno una determinata risonanza mediale. D'altra parte non è che giornali e televisioni non debbano o non possano parlare di queste cose, perché il loro mestiere è quello di raccontare il mondo.

Ma secondo te, esiste o no, in questi casi, il rischio dell'emulazione - penso anche al caso dei lanciatori di sassi dai cavalcavia,e a tanti altri fatti di cronaca di questi anni...
Assolutamente sì, certo. Sono convinto, per esempio, che il delitto di Cogne ne ha provocati tanti altri, infatti sono accaduti quattro o cinque episodi simili di seguito.
Certo, volendo tacere per evitare l'emulazione si otterrebbe forse un effetto benefico, ma una volta che cominciamo a tacere per evitare l'emulazione, come potremmo poi fermarci?... Tacciamo già su tante cose, a partire dalla guerra in Iraq della quale non sappiamo praticamente niente; allora a questo punto l'informazione diventerebbe inconsistente, e con essa l'intera democrazia.

Secondo Franco Ferrarotti questi personaggi non sono dei pazzi, sono solo dei balordi che si sentono emarginati.
Io direi invece che si tratta di persone assolutamente percorse dall'angoscia e dal delirio di distruzione, tutt'altro che balordi. Anche perché per fare queste cose ci vuole un'intelligenza assolutamente lucida, una bellissima organizzazione mentale, e questo è possibile solo se non si hanno interferenze emotive ovvero se la psiche è già azzerata e i miei gesti non hanno nessuna risonanza psichica dentro di me.
In questo senso occorre distinguere i deliri maniacali, del tipo di quelli che dicono "io sono Napoleone", dai deliri ben più complessi che non sono di origine maniacale, ma di origine paranoica, dove io, non potendo trasformare il mondo, lo distruggo.
Il delirio paranoico è un delirio dove io voglio costruire un mondo a mia misura, secondo la mia misura, come lo voglio io, e non potendolo fare distruggo l'esistente.

Da questa analisi, sembrerebbe che i terroristi, nelle loro numerose varianti, condividano la medesima struttura paranoica, anche se cercano di darsi una ragione politica, o una giustificazione sociale.
Il gruppo può anche darsi delle ragioni politiche, nella misura in cui la paranoia può avere un contenuto politico. Prendiamo il caso delle Brigate Rosse. Era praticamente impossibile che duecento persone cambiassero la faccia dell'Italia, quindi dietro questo progetto c'era un delirio paranoico. Chiamiamo delirio paranoico quello che mi spinge a fare azioni assolutamente impossibili sul piano di realtà, ma che io provo lo stesso a realizzare, anche a costo di trovar loro, in seguito, una motivazione politica.

Come consumatori, ossia come cittadini, ci si sente anche in balia di altri eventi imponderabili - penso al recente episodio di contaminazione dei cibi a causa degli inchiostri impiegati in determinate confezioni...
Quello è un caso diverso, di incompetenza o malafede; ma siamo fuori dal delirio, non c'è nessuna volontà di distruggere i consumatori. Sono due cose assolutamente diverse: in questo secondo caso non c'è nessuna volontà di distruggere i consumatori. Il paranoico delirante, che si chiami Brigate Rosse, che si chiami Unabomber, che si chiami terrorista, vuole la distruzione. Non penso che una grande azienda voglia la distruzione, semplicemente non vuole rinunciare a un profitto.

Esiste una qualche soluzione a tutto ciò? Basta, come è stato scritto, stare semplicemente più attenti a cosa si compra e si consuma, per trovare una via d'uscita razionale a questa situazione?
Il problema è che se io devo annusare ogni bottiglia che apro, se devo controllare il colore di ogni barattolo che compro, eccetera - la vita diventa in ogni caso impraticabile, perché non si può stare ad osservare tutte le cose, altrimenti tutta la quotidianità finisce per essere costellata continuamente da strutture di controllo, e non vivo più. Prendiamo gli ossessivi che devono controllare il mondo: si devono alzare tre o quattro volte di notte per vedere se hanno spento il gas o se hanno chiuso la porta - costoro non stanno più vivendo.

Stiamo diventando effettivamente tutti un po' ossessivi. Penso anche alla questione della tracciabilità di certi prodotti come la carne. Devi guardare l'etichetta tre volte per capire cosa dice.
Non dimentichiamo che la parola ossessivo viene da assediato, "obsessus"; siamo assediati dall'angoscia.

Ma quindi che dobbiamo fare? Siamo tra la paranoi e l'angoscia, tra la paranoia e l'ossessione; non siamo messi molto bene, mi sembra.
No, per niente: ma è inevitabile, perché noi non abbiamo ampie risorse se non le difese tecniche, che però sono deboli. La nostra colpa è di avere costruito una società in cui possiamo vivere solo se tecnicamente assistiti, e a questo punto ne paghiamo il costo. Se si dovesse interrompere l'energia elettrica a Milano per due giorni è un disastro, va a male il cibo, non vanno più i frigoriferi, non c'è più il riscaldamento. Mentre se va via l'energia elettrica in un paese di campagna come ce lo potevamo immaginare cinquant'anni fa, si accendono due candele, ma non va a male niente. Più le società si fanno complesse e più le conseguenze dell'introduzione degli apparati tecnici diventano disastrose.

Non so se hai notato quanto sia aumentata la quantità di involucri che si buttano via una volta fatta la spesa. Prima non era così. Forse anche questo rientra in quell'idea di protezione che non protegge...
...di protezione, di riparo, di igiene; anche l'igiene è arrivata a livelli parossistici perché viviamo il nostro mondo come un mondo infetto. Quando ero piccolo io c'era la carta da zucchero e quando andavi a comprare lo zucchero te lo mettevano lì dentro. Adesso sarebbe impensabile. Ma l'igiene, a questi livelli, non è altro che un apparato ossessivo.

Insomma, non è tanto il mondo che è infetto, quanto la psiche?
La nostra psiche ormai teme rischi da ogni parte: tutte queste norme per la confezione degli alimenti sono il sintomo di una società ossessiva.

Allora la soluzione sarebbe fare un passo indietro?
Sì, un passo indietro. Pensiamo anche solo all'ossessione di salvare tutto ciò che si scrive al computer su dischi e dischetti - vuol dire che siamo ossessionati dal rischio continuo. Io infatti scrivo tutto a mano con la penna, stilografica naturalmente, e ho anche una bellissima scrittura!...