Con-fine (2007-2013) Anno 2 Numero 7 settembre-novembre 2007
L’impulso vitale tra materia e memoria.
L'indifferenza è il peso morto della storia.
È la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti,
è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica.
(A. Gramsci, La Città Futura, Torino, 1917)
Il percorso che ci conduce ad esplorare la valenza dell’opera di Antonio Sgroi è quello del ritorno su un sentiero segnato in precedenza, che ci ha fatto sentire a lui vicini nel cammino verso una ricerca, sempre nuova e sempre antica, di una tensione verso un qualcosa che non c’è ancora, ma necessariamente legata a tutto ciò che di eterno è già stato.
Il lavoro di Sgroi è la sintesi di momenti storici, esperienze recenti, intuizioni future: un compendio di valori plastici della razionalità che nel silenzio del momento creativo trascendono le variazioni o le determinazioni temporali per assumere una dimensione di forma incontaminata, di puro inconscio, plasmando naturalmente metafora e realtà, contingenza e allegoria.
L’amnesia che sfuma in ricordo è il momento dell’agire in cui l’emotiva reazione alla realtà stessa si scontra con ciò che corrisponde esattamente ad una determinata verità e diventa immagine eternata nell’immediatezza del colpo, senza errore, dello scalpello. Forma assoluta del vissuto interiore che incontra il mondo e diventa di volta in volta ritratto, corpo, forma, monumento.
Da quest’oscillare empatico di dentro e fuori, di forma e non-forma, di bisogno interiore e necessaria committenza nascono opere come Libera che fuoriesce vittoriosa dal geometrico labirinto che la costringe e più recentemente A Gramsci, entrambi incarichi del Comune di Savignano sul Panaro, attento come non molti alla forza dell’arte e alla valorizzazione degli artisti del territorio, e attraverso di essi alla diffusione del messaggio culturale e della lotta ai mali del nostro tempo.
Ed è proprio dalla riflessione culturale che nasce la pila di enormi libri che sembra schiacciare e seppellire per sempre l’analfabetismo, assassino del pensiero e di ogni società.
Ma i libri di Sgroi, pur nella loro monumentalità, si mostrano congiunti e fluttuanti, come non avessero gravità, staccandosi leggeri dal suolo fino a fare da sostegno all’anima stessa dello scrittore, la cui immagine affiora delicata e struggente sulla pagina aperta.
Un’elevazione che coinvolge lo spettatore il cui sguardo, dal basso verso l’alto, dalla terra al cielo, dalla razionalità al pensiero puro, rimane impigliato fra le fenditure delle antiche pagine in un rapporto osmotico, continuo e reciproco, con l’interno del libro, con la cultura di cui diventa soggetto e oggetto allo stesso tempo.
Come osmotico è il rapporto con l’ambiente circostante dove il geometrismo dell’opera si propaga determinando rapporti pitagorici fra le linee stesse e le linee e lo spazio.
Sgroi, infatti, pur non ricusando l’epicità e la sacralità della scultura, con il suo fardello di valori etici e simbolici di cui si è in passato fatta carico, lavora come se l’opera dovesse incastonarsi perfettamente nello spazio che la andrà ad accogliere, ricavandone una monumentalità dovuta al suo essere proprio in quel luogo che, già nella mente dello scultore, deve convergere con il mondo circostante tutto nella scultura stessa. Cosicchè i basamenti dei libri-sedute di marmo sparsi nel parco circostante (come se Gramsci avesse lasciato cadere in questo percorso le pagine con i suoi pensieri come quelle de La Città Futura e Lettere dal Carcere, ma anche quelle dell’amato Dante con la Divina Commedia, di cui chiunque può usufruire) richiamano la policromia degli edifici circostanti tutti congiunti da una linea immaginaria che collega gli elementi dell’installazione, per poi finire all’adiacente scuola dei bambini, parte ludica e gioiosa, punto di partenza del percorso culturale di ogni essere umano.
Ma la reciprocità intercorre oltre che con lo spazio anche e soprattutto fra la materia pura ed il suo contenuto emozionale.
La busta esplode come le parole di Gramsci dal buio del suo carcere ed insieme ad essa esplodono le ombre che nette tagliano il candore del marmo di Carrara. È il contrasto fra verità e ingiustizia da cui lo scrittore riesce ad evadere solamente con il suo pensiero e solamente attraverso la cultura. Fisicamente resta dentro, al di là della busta aperta, al di là delle parole delle sue lettere, rinchiuso dal blocco di una cultura altra, oppressiva e repressiva.
Ma seguendo ancora le linee mai casuali che intessono la trama dell’equilibrio che tiene insieme verità e valore simbolico, disegno e tensione creativa, al centro l’imperturbabilità dello sguardo, la ieraticità del volto emerge però dal turbamento della sofferenza, patimento causato dalla malattia e dalla prigionia.
Ed è proprio questa afflizione interiore il fulcro di tutta l’opera: le forme che spingono dall’interno della materia vanno al di là del semplice bassorilievo e il coagularsi di questo tormento conduce alla forma riconoscibile nel volto dello scrittore, allontanandosi così da qualsiasi possibile accademismo e restituendo invece a tutta l’opera una fortissima valenza psicologica. Quelle che sarebbero dovute essere le pieghe dell’abito sembrano diventare carta e lo stropicciarsi della pagina panneggio e insieme nessuna delle due cose: un organismo complesso, un dedalo in cui molte idee confluiscono dalle lontane origini del pensiero per riversarsi e ritrovare una loro superficie lineare nelle grandi pagine del libro aperto: scultura pura.
Soprattutto in quest’opera Sgroi riesce a rendere classico frammenti di astrazione. Unisce in un unico grande momento figurativo tasselli singolarmente informali e concettuali non solo nelle grinze dell’anima di Gramsci, ma anche fra le pagine del libro, nei tagli impetuosi del marmo aggredito dallo scultore con la necessità tutta fontaniana di andare oltre la materia. Ma anche nello sfalsamento stesso delle posizioni dei piani nella composizione complessiva dell’opera.
È la potenza che può avere la cultura di liberarti, di portarti all’astrazione: come un Icaro che, innalzandosi dal groviglio malsano che lo ingabbia, si tira fuori dal labirinto dell’indifferenza, dalla prigione che lo opprime, sorretto dalle ali del genio.
Antonio Sgroi guarda con rispetto e ammirazione ai grandi maestri, ma senza ostentarne l’insegnamento, poichè egli stesso è insieme un artista sensibile e appassionato, un intellettuale capace di cogliere l’essenza dei problemi, uno spirito inquieto che persegue la sua arte come si persegue una bella creatura.
È l’élan vital che spinge verso molteplici tendenze, a volte apparentemente divergenti, ma che trovano concretizzazione nell’istante in cui l’artista pone in comunicazione materia e memoria, attraverso quello stesso impulso vitale che si lascia penetrare dal passato e diventa necessario crogiuolo del futuro.