Sofà (2009-2011) Anno 3 Numero 9 settembre-novembre 2009
Nipote di Balla, nuora di Cambellotti: ha 97 anni ma l’entusiasmo di una ventenne e le sue opere sono capolavori fatti di lana
Una via tranquilla sulla Laurentina, una casetta su due piani circondata da un piccolo giardino. La pace e il silenzio soffuso del caldissimo luglio capitolino. Già dall’uscio si intuisce che è l’abitazione di un’artista: entrando l’attenzione è subito catturata da donne eleganti e bellissime che invadono soavemente tutte le pareti. Sono le protagoniste degli arazzi realizzati da Laura Marcucci Cambellotti.
Laura è nata nel 1912, ha attraversato quasi per intero un secolo controverso, violento e innovativo. La sua è stata un’esistenza privilegiata, un’infanzia nell’oasi del tumultuoso e fervido crogiuolo artistico romano, circondata dall’arte e dai suoi maestri. Un tempo di rivoluzioni e sperimentazioni, di accesi dibattiti e confronti cosmopoliti: fervore intellettuale respirato a pieni polmoni. Brevi note biografiche per capire di chi stiamo parlando: è la figlia di Alessandro Marcucci, artista e pedagogo, nipote di Giacomo Balla, nel 1938 sposa Adriano Cambellotti, primogenito di Duilio, vecchio amico di famiglia. Con questa famiglia alle spalle il destino è segnato.
Un destino indissolubilmente legato all’arte. Seduta sulla poltrona, con fatica si alza per salutare. Ha un sorriso sereno e due occhi di un azzurro vivo e coinvolgente, i suoi 97 anni vengono strapazzati con violenza dall’afa, ma lo spirito nasconde una risolutezza ferma e rimasta intatta.
La stessa che la porta, ancora adesso, a lavorare otto ore al giorno, perché non potrebbe fare diversamente. Ama ricordare, ama raccontare le sue tante storie, ama descrivere la gioia di fare ed essere un’artista. «La passione è nata molto presto – racconta la Cambellotti – da bambina, mio padre conservava dei miei disegni realizzati intorno ai tre anni. Ho mantenuto costante questa passione, anche dopo essermi sposata, aver avuto tre figli, anche durante la guerra. Certo, sono cresciuta nell’ambiente di Cambellotti, amico d’infanzia di mio padre, ho vissuto nello studio di Balla, che era mio zio dato che aveva sposato la sorella di papà. E poi anche mio padre disegnava, lavorava nelle scuole, ma avrebbe desiderato tanto fare solo il pittore.
Tutti loro mi hanno trasformata in quello che sono, mi hanno trasmesso l’amore per l’arte». Sì, Balla, Cambellotti, il padre: non serve altro per accendere il fuoco sacro della creazione. Non occorre seguire corsi o frequentare scuole. Crescendo in questo contesto tutto scorre sul filo del naturale coinvolgimento e l’atto creativo diventa bisogno fisiologico. «Non l’ho mai considerato un mestiere – tiene a sottolineare l’artista – per me non lo è mai stato, anzi mi vergogno a vendere i miei lavori. Qualcuno l’ho venduto ma poi mi sono proprio vergognata, sono pezzi di me, li faccio talmente col cuore, con entusiasmo, con amore che non mi piace darli via, posso campare senza vendere gli arazzi». Già, gli arazzi… È riduttivo definirli con questo termine. In realtà si tratta di pittura praticata su tessuto con gli strumenti del cucito e del ricamo. Ago e filo al posto di pennello e pigmenti.
Agli arazzi Laura approda a metà degli anni ’70 a causa di una malattia agli occhi che le lascia una percezione visiva distorta. Non può abbandonare la pittura, quindi l’ingegno elabora una nuova forma di creatività, personale e originalissima. «Ho sperimentato molte tecniche, senza imparare da nessuno – tende a sottolineare – perché nessuno può spiegare certe cose. La tecnica viene fuori da sé. Si può imparare come tenere il pennello, come lavarlo, come scegliere i colori, ma non si può insegnare l’arte. Ho una formazione accademica ma non mi è servita granché, se non per qualche cenno di teoria critica. Ma anche in questo caso ho fatto la mia scuola fuori dall’accademia, frequentando i miei compagni di lavoro che venivano da tutto il mondo in una Roma cosmopolita che adesso non c’è più. L’accademia dovrebbe tirar fuori degli artisti, ma non è mai così. Io ho iniziato a fare ritratti prima di cominciare l’accademia». Nei suoi lavori domina sempre la figura. «Perché mi piace l’espressione – dice – amo anche il paesaggio stilizzato, non quello di oggi che non mi commuove più. Ho visto il Lazio quando era deserto, bellissimo. Ricordo le suggestioni della palude Pontina».
L’artista
Una vita dedicata all’arte
Laura Marcucci Cambellotti è nata a Roma il 21 novembre del 1912. Figlia di Alessandro Marcucci e nipote di Giacomo Balla, ha iniziato a lavorare come pittrice dopo aver frequentato l’accademia di Belle arti. Dopo il matrimonio (nel ’38), inizia la sua nuova vita: lavora accanto a Duilio Cambellotti (suo suocero), derivando dalla sua arte numerose istanze e impulsi verso un certo tipo di decorazione. Ha sempre fatto dell’arte la grande passione della sua vita, dedicandosi alla pittura come all’arredo, ai gioielli, all’illustrazione, alla ceramica e ai costumi. In trent’anni la Marcucci ha realizzato circa trecento lavori ad ago e ora, a 97 anni, nel silenzio di una casa atelier romana, continua a lavorare con entusiasmo otto ore al giorno.