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Sofà (2009-2011) Anno 4 Numero 13 dicembre 2010 - febbraio 2011



Walter Pedullà, vent’anni di ostinazione

Maurizio Zuccari

Colloquio con il direttore della collana Cento libri per mille anni: «Il meglio del pensiero italiano, quanti ostacoli ma sono orgoglioso»



Trimestrale dei sensi dell'arte


SOMMARIO SOFÀ N. 13


NOTIZIE


Cronache d’arte
La strana coppia va in tv

Fotografia
Viaggio nelle terre del fuoco


Esposizioni in Italia e all’estero
Chagall a Roma, Rauschenberg a Miami


PRIMO PIANO

Eventi
Expo 150, gli eventi per celebrare l’unità
L’idioma che fece l’Italia
Tullio De Mauro, la nascita della nazione sui banchi di scuola
La lingua vive grazie a Manzoni
Cento libri per mille anni: il piacere della lettura il valore della nazione
Le interviste possibili: padri della patria/2, Giuseppe Mazzini

Grandi mostre/1
Lucas Cranach, l’altro Rinascimento a Roma

Grandi mostre/2
Antonio Ligabue, l’arte come riscatto

Grandi mostre/3
Pablo Echaurren, Dio salvato dai pupazzi


PERSONAGGI

Conversando sul sofà
Walter Pedullà, vent’anni di ostinazione

Un caffè con
Alessandro Zuccari, Caravaggeschi a Roma

Il corpo dell’arte
Valerio Adami, d come dono

L’arte prende corpo
Mimmo Centonze, dipingere la vita


BELPASESE

I luoghi del bello/1
Palazzo Farnese, il dado delle meraviglie

I luoghi del bello/2
Casa Moravia, il rifugio del maestro


EDITORIA & ARTE

L’arte del libro/4
Flaminio Gualdoni: quando l’Arabia era felix

Speciale 150
1861-2011: omaggio alla nazione dal catalogo Editalia


ARTE & IMPRESA

Comunicare ad arte
Ferrari world Abu Dhabi, il sogno rosso sbarca nel golfo Persico

A regola d’arte
Fondazione Borsalino, storie di famiglia da togliersi il cappello

I mestieri dell’arte
Fondazione Cologni, i segreti dell’artigianato

Il motore dell’arte
Premio Enel contemporanea, farfalle olandesi


IN CHIUSA

In cassaforte
Modì milionario

Cose dell’altro mondo
Arte dal Marocco, effervescenza creativa

Il cammeo di Adiem
Il Magnifico cratere di Belgrado, nuova vita all’antica meraviglia
ARTICOLI DAGLI ALTRI NUMERI

Risate dall'Aldila'
Annarita Guidi
n. 12 settembre-novembre 2010

Ettore Spalletti, il silenzio del colore
Claudia Quintieri
n. 10 dicembre 2009 - febbraio 2010

Il corpo dell'arte: Laura Marcucci Cambellotti
Maria Luisa Prete
n. 9 settembre-novembre 2009

Cose dell'altro mondo. Quando arabo non vuol dire Islam
Martina Corgnati
n. 8 maggio-luglio 2009

Coerenza innovatrice
Valerio Di Gravio
n. 7 febbraio-aprile 2009


Italo Calvino ritratto da Graziano Origa

Walter Pedullà foto Piergiorgio Pirrone

Una collana unica, piena di volumi unici. Nessun libro in circolazione può infatti essere identificato con uno dei “Cento libri”. La cura dei singoli volumi è affidata a cento fra i migliori poeti, narratori, saggisti d’oggi, quasi sempre anche illustri docenti universitari, che sono stati incaricati di scegliere il meglio di un autore o di un tema. La loro storia intellettuale è una garanzia da ogni punto di vista. I curatori, che compiono la selezione e la motivano in un lungo saggio introduttivo, sono spesso i massimi esperti di un argomento o di uno scrittore proposto, con opere complete o capitoli che illuminano in modo essenziale la loro fisionomia artistica.
Altrettanti giovani studiosi assicurano ampie biografie, esaustive bibliografie, imponenti antologie della critica, dense premesse e note ai testi, di cui viene usata la più recente edizione critica, quando non una nuova edizione. Il titolo della collana è limitativo, in realtà i libri raccolti in essa sono più di 500. E sono più di mille gli autori e i testi presenti con componimenti brevi e con capitoli di un’opera. La collana è quindi sostanzialmente da sola una ricchissima biblioteca della letteratura italiana. Ci sono tutti i libri da cui non può prescindere chi vuole conoscere la poesia, la narrativa, il teatro, la saggistica, la storiografia, la filosofia, il pensiero politico degli italiani, nonché i cosiddetti generi minori: dalla memorialistica alla favola, dalla critica militante alla letteratura di viaggio, dagli scrittori d’arte ai proverbi».

Così Walter Pedullà, direttore della collana Cento libri per mille anni, presentava la sua creatura tempo fa. Incanutito e massiccio, dall’alto dei suoi ottant’anni, cinquanta passati a misurarsi coi maestri italiani del racconto, Pedullà macina parole e ricordi col piglio del calabrese doc e del critico letterario di razza. Nella sua casa romana a due passi da piazza Fiume, rievoca nella penombra dell’appartamento, tra il girovagare degli amati gatti, opere d’arte appese agli scaffali e i volumi della collana col marchio del Poligrafico in bella vista, spirito e tappe di un’avventura editoriale iniziata vent’anni fa. Cento volumi sul meglio della letteratura italiana, curati da scrittori come Arbasino, Bonaviri, Malerba, Vassalli, tanto per fare alcuni nomi, sotto la sua direzione. Un’opera in procinto di concludersi, in tempo per celebrare i 150 anni d’unità nazionale.

Cento libri per mille anni, un’operazione complessa e travagliata.
«Travagliata, sì. Questa collana ha occupato vent’anni della mia vita. Sugli incidenti di percorso potrei scrivere un romanzo, abbiamo avuto cinque-sei direttori editoriali in tutto questo tempo, se il Poligrafico raccogliesse le mie lettere di questi anni ne verrebbe fuori un volume, una sorta di “work in progress”. È stato un miracolo finire l’opera, ce l’ho fatta solo perché sono calabrese. Ma non rinnego nulla ed è importante averla finita ora, in occasione del centocinquantesimo dell’unità. Nei primi anni Novanta ci riunivamo alla Rai, di cui ero presidente, per predisporre il piano editoriale. A una cinquantina d’anni dai classici di Raffaele Mattioli, ci chiedevamo: chi sono nel nuovo millennio i primi della classe? Il quadro culturale italiano si era profondamente modificato, guardando agli otto secoli precedenti si è trattato di fare anche una revisione delle gerarchie, per cui autori minori sono diventati maggiori, come Carlo Dossi.

Nel complesso il rapporto tra il tema, il gruppo e i singoli autori è del 50%, o giù di lì. Come ho scritto, ci sono mille nomi dentro, qualcosa come 250mila cartelle che corrispondono a un migliaio di libri da 250 pagine ciascuno, quanto un libro medio. C’è il meglio del pensiero italiano, dalle origini ai nostri giorni, dai cronisti del Medioevo ai filosofi contemporanei. Grazie a me è stata convocata la cultura nazionale, per dire agli italiani cosa ricordare della loro letteratura dell’ultimo millennio. Ma la collana ha una sua agilità interna, nonostante il peso non trascurabile. Il Poligrafico deve essere orgoglioso di averla fatta, come me».

Lei ha curato direttamente la letteratura del ‘900. Uno degli autori più noti del periodo è Moravia, uno dei meno noti è D’Arrigo, entrambi toccati marginalmente, come pure Soldati, Camon. Persino Calvino. Che criterio ha usato?
«Il ‘900 è molto ricco e non fazioso: ho tenuto conto dell’importanza degli scrittori sotto diversi punti di vista, aprendo ad autori che non prediligo, ma della cui serietà sono convinto. L’opera è molto pluralista, in questo senso. È poliprospettica. E il massimo di modernità culturale e di tolleranza è dato da un volume sulla letteratura cosiddetta proibita che raccoglie il burlesco, il comico, il fantastico che rappresentano proprio la cifra della modernità. Non abbiamo messo tanti nomi che pure avrebbero meritato di starci per problematiche legate ai diritti, mentre abbiamo messo 300 scrittori dell’800, dove al massimo se ne selezionano una quarantina. Tra gli autori a cavallo dei due secoli abbiamo inserito nelle monografie Tozzi, oltre a Svevo e Pirandello, per questo motivo. Uno come Gadda, per esempio, rientra tra gli umoristi e i prosatori, recuperando spazio, ma anche la sua presenza è sacrificata per una questione di diritti, come Calvino. Comunque ci sono tutti, magari in appendice, anche i poeti e gli autori teatrali. Pure Camon e Soldati, che nella prospettiva di lungo periodo non regge. Chi ha vissuto, come me, due terzi del ‘900 sa che è rilevante, forse corrivo, a volte effimero. Scriveva troppo, alcuni suoi libri sono meravigliosi, ben curati, altri buttati giù per fare soldi. Moravia avrebbe meritato un volume ma sarebbe costato troppo, un mucchio di soldi. D’Arrigo esiste quasi solo per l’impegno che ho messo nel sostenerlo. Ho scritto decine di articoli su di lui, sto curando l’edizione generale delle opere. Per dieci anni l’ho frequentato quasi ogni giorno, dunque lo conosco bene. Poi non ho potuto fare molte modifiche. Il piano dell’opera rigido, vincolato a un numero definito, ha salvato la collana da chiusure anticipate ma l’ha pure bloccata. Umberto Eco, per fare un altro esempio, aveva accettato di fare Manzoni ma non entro i tre anni che gli avevo dato. L’Ariosto avrebbe dovuto farlo Volponi che è morto, come Fortini, infine l’ha fatto Celati assieme a mio figlio Gabriele. Molti autori che avrebbero dovuto partecipare, già anziani, sono venuti meno, come Quinzio e Rea. Alcuni mi chiedono perché non c’è uno come Guido Cavani, autore di un solo bellissimo romanzo, Zebio Còtal, ma se mettevamo tutti gli autori di un solo libro di una qualche bellezza non finivamo più. Poi un’antologia sui contemporanei è un gioco al massacro, e con la letteratura recente si ha un difetto di prospettiva: le cose vicine appaiono più grandi, gli scrittori si affollano e sembrano tanti. Ogni testo è accompagnato da una storia critica molto consistente, tanto da guidare il lettore in quello che è successo anche da un punto di vista interpretativo. Vorrei sottolineare il fatto che i testi sono senza note, un limite soprattutto per gli autori antichi, ma ci sono volumi con 500 pagine di antologia della critica. Così i libri hanno subìto questa specie di metastasi, sono cresciuti su sé stessi. Avrei voluto mettere anche un dizionarietto ma sarebbero esplosi, solo il dizionario di filologia romanza avrebbe triplicato il volume. E il numero di libri illustrati come quello sui proverbi curato da Luigi Malerba o quello sull’Ariosto, con figure coeve che piacevano a lui stesso, doveva essere limitato, compreso il volume sugli scrittori d’arte, perché parliamo di questi, non di libri d’arte».

Tenendo il punto fermo ai 150 anni d’unità, se ci dovesse essere un’opera, un autore da salvare, quale sarebbe? E quale ridimensionerebbe?
«È una domanda complicata. Potrebbe essere Verga, dal punto di vista della letteratura che si è fatta carico dei soprusi, della povertà delle masse, mentre lo scrittore moderno più conosciuto al mondo, il più rappresentato tuttora a teatro, è forse Pirandello. Sul romanzo non avrei dubbi: La coscienza di Zeno di Svevo. Pirandello ha la genialità, la visione, ma le sottigliezze, lo stile, il dire la verità attraverso la bugia, la modernità è di Svevo. Un autore che ha avuto più di quanto meritasse, pur avendo talento e ricchezza d’immaginazione, è probabilmente D’Annunzio. Ha spettacolarizzato la vita culturale più di chiunque altro, stroncando sé stesso, inventando il gossip, la cronaca mondana. Se vogliamo è lui il più moderno, modernamente effimero. Vistosamente falso, roboante. Ma la sua paccottiglia funzionava e poi non gliene fregava niente di niente, poteva rischiare la vita per una causa in cui non credeva. Una specie di mostro psicologico».

L’opera è stampata su carta di Fabriano garantita 200 anni. Ma non c’è il rischio che il libro scompaia prima?
«È vero e ci scherzo su: voglio vivere 200 anni per poterlo constatare. Ma quando sento parlare della morte dell’arte, della letteratura, non ci credo. Questa per l’uomo è stata una scoperta, come l’America: se ne aveva bisogno e qualcuno l’ha trovata. Diventerà minoritaria, ma quando mai non lo è stata? Nell’800 erano tutti analfabeti. Persino Manzoni in casa parlava in dialetto. Resterà per le minoranze, ma nel mondo globale anche queste fanno pubblico. Potrei dire, parafrasando Lévi Strauss secondo cui il mondo è nato senza l’uomo e morirà senza l’uomo: il mondo è nato senza letteratura e può darsi che morirà senza. Ma ne dubito, non ho mai visto tanti libri in circolazione come da quando si è detto che internet ha condannato a morte il libro. Le librerie pullulano, magari si vende poco ma ci sono 1.500 editori e c’è ancora gente che si paga i libri da sola pur di pubblicare. Leggere su internet non è la stessa cosa, eppoi non sono un profeta, ma posso fare una proiezione: da Gutenberg a oggi c’è stata una crescita esponenziale dei libri. Le grandi scoperte scientifiche sono complementari: il presente non farà mai a meno del libro, anche se sarà minoritario rispetto a internet».

Nonostante questa crescita esponenziale la nostra letteratura, però, resta fragile.
«È vero, ciò è dato dal numero di italiani nel mondo: chi capisce e legge la nostra lingua sono potenzialmente un centinaio di milioni di persone. Ma la cosa peggiore è che gli stessi italiani leggono poco: il nostro è il paese con il più basso tasso di lettura tra quelli europei».

Però ognuno ha un libro nel cassetto.
«Perché dalla scuola tutti ricevono l’“im-printing” mitologico del libro come sopravvivenza, come immortalità della memoria di chi è vissuto. E molti sono capaci di leggere dieci volte sé stessi ma non gli altri. Perché ci sia un processo l’orologio deve fare tic tac, qui fa solo tic».

Lei è stato giornalista, docente universitario, critico e saggista. Però non ha mai voluto scrivere romanzi.
«Non ho mai avuto voglia di raccontare qualcosa attraverso la fantasia o un’emozione in versi. Non perché non ne sia in grado, ma non mi sono mai ritenuto capace di scrivere un racconto o una poesia degni di questo nome. È un atto di umiltà e di orgoglio allo stesso tempo: ho voluto ottenere risultati con il mio mestiere, che è quello di critico letterario. Ma la difficoltà di scrivere lunghi articoli oggi è tale che è più facile far passare telegrammi piuttosto che idee. La nostra è una cultura che non vuole stare più a pensarci su: il lettore vuole sapere se un libro piace o no, non perché. Non serve più mediazione intellettuale, se qualcosa è complicato non interessa neanche più».

Quindi è morta la critica letteraria.
«Diciamo che non se la passa bene, c’è questa tendenza. Adesso il critico racconta la vita degli autori, raccontiamo il genio infinito di Leopardi attraverso il suo personaggio. Vanno tanto le biografie per questa ragione. Oppure funziona la fantasia più sfrenata, alla Potter».

Alla presidenza della Rai parlò di stato-spettacolo. Le cose non sono migliorate in questi ultimi vent’anni. Nel complesso, anzi, nel paese c’è una situazione precognitiva, non solo per l’assenza di critica ma di ogni dialettica, per l’incapacità ormai generalizzata di distinguere il male da ciò che non lo è.
«Nell’affrontare i problemi ci sono due modi, quello preconcetto del moralista che dice di essere nel giusto, l’altro del fenomenologo che cerca di capire cosa succede. Che sta succedendo? Il problema non è tanto difendere questa civiltà, uno può accucciarsi nella sua nicchia, amare il suo mito costitutivo, concluso, ma nella globalizzazione hai come vicini indiani, cinesi, uruguaiani e africani. È povertà se resta una Babele ma può essere una ricchezza, inorridisco mentalmente di fronte a certi aspetti della contemporaneità ma se sia una nuova barbarie non saprei, né direi. Nella riflessione sull’esistente posso dire che il futuro non è peggiore, solo poliverso. Ma in un mondo dove esiste solo il presente, nessuno più pensa o fa delle ricerche, non c’è futuro. La vera novità del nostro tempo è questa: nessuno più si chiede dove stiamo andando. Se su mille la pensano così in cento puoi ancora controllare il fenomeno, ma se sono 999 resta appena un po’ d’aria, stiamo crepando».


Torniamo alla letteratura, come si connota quella degli anni Zero, del decennio appena concluso?
«C’è talento in Andrea Baiani, Sandro Veronesi, Walter Siti, Alessandro Piperno, Michele Mari, Nicola Lagioia, tanto per dirne alcuni. Non scrivono cose prevedibili, tipiche della letteratura di consumo che pure ha una sua rispettabilità. Non vedo giganti ma molti scrittori rilevanti che messi insieme danno l’idea di una bella vitalità della nostra letteratura. Quando uno scrittore m’insegna come devo guardare, e non cosa vede, quando aggiunge un terzo occhio al mio vedere, allora la letteratura funziona. Aspettiamo il salto antropologico, qualcuno che dica cosa circola. Che ci dica: avete davanti l’immensa distesa di un mondo diverso e voi non siete più quelli di prima. All’inizio del secolo scorso Mario Morasso, tra gli ispiratori del futurismo, nel libro L’imperialismo artistitico preconizzava la presenza invasiva e costante dell’arte in ogni campo. Prendo atto, anche se non in quel modo, della straordinaria vitalità dell’arte italiana, dalla transavanguardia a Cattelan. Anche nel cinema, benché dominato dagli Usa e dunque tutto effetti speciali, privo della tensione etica e civile che pure l’ha caratterizzato, si registra qualcosa di promettente. Per quanto riguarda l’arte e la letteratura, insomma, il quadro non è tra i più deprimenti. Non vorrei fare l’esteta dicendo: guardate, se il mondo va male si salva l’arte, ma può darsi che questa, presentandosi con caratteristiche inizialmente innocue, sia capace a un certo punto di inoculare qualche veleno a questo tipo di società. Così non può continuare».

L’AUTORE
Critico letterario, dall’Avanti! alla presidenza Rai
Walter Pedullà (Siderno, 10 ottobre 1930) è saggista, critico letterario e giornalista. Laureato in lettere a Messina, dal 1958 al 1967 è stato assistente universitario di Giacomo Debenedetti all’università La Sapienza di Roma, di cui è stato docente di storia della letteratura italiana. Ha insegnato lingua e letteratura italiana anche negli atenei di Napoli, Salerno ed Enna. Consigliere d’amministrazione in Rai dal 1975 al 1992, poi presidente fino al luglio 1993. Già critico letterario all’Avanti! dai primi anni ‘60, dopo una lunga vicinanza al Psi, ha recentemente aderito al nuovo Partito socialista.


L'ATTIVITA' LETTERARIA
Oltre una ventina di saggi, alla guida del Caffè illustrato e dell’Illuminista
Rispetto alla sua attività più propriamente letteraria, Walter Pedullà dirige due riviste di letteratura: Il caffè illustrato e L’illuminista. Ha scritto oltre una ventina tra saggi e testi di critica letteraria, tra i più recenti: Le armi del comico, (Mondadori, 2001); Il Novecento segreto di Giacomo Debenedetti, (Rizzoli, 2004); Quadrare il cerchio, (Donzelli, 2005); E lasciatemi divertire! Divagazioni su Palazzeschi e altre attualità (Manni, 2006); Per esempio il Novecento. Dal futurismo ai giorni nostri, (Rizzoli, 2008); L’estrema funzione. La letteratura degli anni Settanta svela i propri segreti (Le Lettere, 2010).