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Mousse Anno 5 Numero 23 aprile -maggio 2010



Group Material. Arroz con Mango (What a Mess)

Jonathan Griffin





MOUSSE 23



Starring
by Antonio Scoccimarro

JOSEF STRAU
Out of Inconvenience
by Dominic Eichler

KAI ALTHOFF IN CONVERSATION WITH GEDI SIBONY
Exposure
by Kai Althoff / Gedi Sibony

GROUP MATERIAL
Arroz con Mango (What a Mess)

by Jonathan Griffin

PART OF THE PROCESS / PETER FRIEDL
Bilbao Song
by Anselm Franke

HARK!
Tv Virgin
by Jennifer Allen

HITO STEYERL
Do You Speak Spamsoc?
by Francesca Boenzi

MELANIE GILLIGAN
Like an Animal Whose Attention Is Drawn Away From the Ned to Survive
by Dan Kidner

MASSIMILIANO GIONI & JEFFREY DEITCH
Inventing Names
by Francesco Garutti

Artist Project
by Josef Strau

LOST & FOUND / STUART SHERMAN
Stuart Sherman
by Jonathan Berger / portfolio by Babette Mangolte

NIKOLAS GAMBAROFF
...and at Some Point the Painting Starts Again
by Nick Mauss

PORTFOLIO / LARA ALMÁRCEGUI
Under Construction
by Max Andrews & Mariana Cánepa Luna

LONDON / LUCY CLOUT & RUTH BUCHANAN
Social Objects / Social Spa Ces
by Alli Beddoes

BERLIN / CLEMENS VON WEDEMEYER
The History of Inspiration Continues…
by Paolo Caffoni

PARIS / LILI REYNAUD DEWAR
She Dances, She Cooks and She Cosmetics & Thinks
by Alexis Vaillant

LOS ANGELES / JOEL KYACK
The Infinitude of the Private Man
by Andrew Berardini

NEW YORK / MICHAEL PORTNOY
Pedagogical Porn
by Raimundas Malašauskas

BEYOND / MASSIMO MININI IN CONVERSATION WITH MASSIMO DE CARLO
Catch Me If You Can
by Massimo Minini / Massimo De Carlo

MARIO GARCIA TORRES
Curator’s Corner

Diary
by Francesca Pagliuca

Books
by Stefano Cernuschi

PETRIT HALILAJ
Here and There
by Barbara Casavecchia

FRANCESCO ARENA / PATRIZIO DI MASSIMO
Introducing / Francesco Arena & Patrizio Di Massimo
by Francesco Arena / Patrizio Di Massimo

OSCAR TUAZON
Useless Objects
by Esperanza Rosales

ÖZLEM ALTIN
Survival of an Idea
by Christiane Rekade
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Emily Pethick
n. 27 febbraio-marzo 2011


Group Material storefront at 244 East 13th Street
New York, 1980
Courtesy: Group Material.

Group Material
AIDS & Insurance, 1990
Courtesy: Group Material

Group Material
DA ZI BAOS, 1982
Courtesy: Group Material

Frustrati da ciò che constatavano essere il conservatorismo del florido mercato dell?arte agli inizi degli anni ?80, un gruppo di artisti newyorchesi scelsero di lavorare collaborativamente su progetti “dedicati alla comunicazione sociale e al cambiamento politico”. Nonostante numerose discussioni, congedi e cambi di direzione, nei suoi sedici anni di storia, Group Material ha prodotto un corpus di lavori che continua a influenzare e ispirare una nuova generazione di artisti e curatori
.

“Voglio essere onesto. Sono rimasto molto turbato dall’incontro della scorsa settimana; la depressione che ne è seguita è stata esacerbata dal fatto che alcuni membri, mi pare di capire, ritengano che sia io il diretto responsabile dei problemi del gruppo”.

Così comincia una lettera, datata 22 luglio 1980, indirizzata a Group Material dal suo fondatore, Timothy Rollins. Solo dieci mesi prima Rollins e un gruppo di amici e amici di amici – la maggior parte dei quali freschi di laurea alla School of Visual Arts di New York – avevano deciso di stabilire una collaborazione che servisse a rimettere in discussione le possibilità dell'arte di influenzare il cambiamento sociale e politico. Nel settembre 1980 il gruppo contava quattordici componenti; un anno dopo, si erano ridotti a tre.
All’inizio Group Material decise di costituirsi come società no-profit, in modo da accedere ai finanziamenti governativi. Ciò richiedeva almeno una sembianza di formalità: furono aperti un conto corrente bancario e una linea telefonica di servizio, gli incontri erano verbalizzati, e nonostante la fiera resistenza a dotarsi di una struttura gerarchica, all’interno del gruppo furono stabilite alcune posizioni ufficiali. Tanta burocrazia non godeva di grande popolarità fra gli artisti, ma oggi ci lascia un affascinante archivio di materiali, molti dei quali sono raccolti in un libro appena pubblicato da Four Corners Books dal titolo Show and Tell: A Chronicle of Group Material. Una struttura non gerarchica, aperta e democratica non era di per sé priva di problemi. Rollins continua nella sua lettera: “Credo che il comportamento ‘anticameratesco’ evidente nelle riunioni e (ne sono certo) nelle conversazioni private fra i membri di Group sia patetico e inspiegabile in questa fase iniziale, soprattutto fra persone che dovrebbero essere amiche”.
Fra i problemi da lui lamentati c’erano la disparità di contributo intellettuale e creativo fra i vari membri, il ritardo o l’assenteismo nelle riunioni, e la prevalenza della critica sprezzante sulla produzione reale. Sebbene il gruppo si opponesse fermamente all’impianto di ciò che considerava arte mainstream istituzionalizzata – la quale, ricordiamo, all’inizio degli anni Ottanta aveva preso una piega particolarmente conservatrice – non ebbe mai la determinazione sufficiente per individuare un luogo da adibire a galleria e quartier generale. Affittarono un piccolo negozio nell’East Village, a maggioranza ispanica, che ristrutturarono e dipinsero di grigio e rosso (era bandito il bianco). La mostra inaugurale, che presentava opere a messaggio politico dei membri del gruppo e di altri personaggi influenti, si rivolse intenzionalmente alla gente del posto: tutto il materiale scritto era in Spagnolo oltre che in Inglese, il mobilio fu preso in prestito o donato, e all’apertura un vicino si incaricò di cucinare le frittelle di pesce.

L’esposizione seguente portò questo approccio a uno stadio successivo: fu composta interamente di lavori messi a disposizione dai vicini, dalle foto del matrimonio a una collezione di scatole di caramelle. La mostra, inizialmente intitolata “The People’s Choice”, più tardi fu sottotitolata “Arroz con Mango”, un’espressione cubana approssimativamente tradotta con “che casino”. In una recensione dell’epoca su Artforum, Thomas Lawson scrisse che per Group Material “più delle singole opere d’arte conta l’idea che si cela dietro ciascuna mostra”. Questa era infatti la posizione adottata dal gruppo per impedire che il proprio lavoro fosse cooptato dal (fiorente) mercato dell’arte. Un precedente importante per le loro attività – il “Times Square Show” del 1980 dell’organizzazione Colab, una vivace esposizione di graffiti e arte fai-da-te in un ex bordello – aveva procurato un rapido successo commerciale ai suoi protagonisti, fra cui Jean-Michel Basquiat, Kenny Scharf e Keith Haring. Tuttavia, quando Hannah Alderfer lasciò Group Material nel 1981, lo fece recriminando che il gruppo fosse diventato “un trampolino di lancio per le carriere artistiche individuali nelle gallerie commerciali”. È comprensibile che gli artisti anelassero a uno sbocco più autonomo della propria voce creativa. Sottomettendosi a un soggetto autoriale collettivo, i membri non soltanto rischiavano di non vedere rappresentato il proprio punto di vista individuale, ma anche, come avvenne con “The People’s Choice”, che il risultato finale mancasse di coerenza estetica e concettuale. Nonostante fosse la diversità a essere prioritaria, visti da lontano i progetti di Group Material sembrano, ironia della sorte, in qualche modo omogenei: accozzaglie di manufatti, documenti e immagini, fissati, come nei salon, sulle pareti colorate della galleria. È solo nei dettagli che si rivelano le incongruità e le frizioni.
Nel suo saggio “Show and Tell...”, l’ex membro Doug Ashford enfatizza l’importanza dello scontro interno al gruppo per la composizione di un’estetica, e scrive “il nostro disaccordo con il mondo ha logicamente ispirato il dissenso anche fra di noi”. “Il dissenso”, scrive, “è un’invenzione emozionale di grande bellezza”.
Bellezza o no, il dissenso si dimostrò essere una forza distruttiva per Group Material e, dopo l’abbandono di diversi componenti del gruppo a causa di “inconciliabili differenze in merito alle priorità ideologiche e scontri di personalità” e del “desiderio di concentrarsi sulle... pratiche artistiche individuali”, rimasero soltanto Rollins, Julie Ault e Lundy McLaughlin. Essi distribuirono un volantino intitolato PERICOLO DI MORTE! SPAZIO ALTERNATIVO!, che in gran parte attribuiva la responsabilità della disintegrazione del gruppo allo sforzo di mantenere le premesse iniziali.

“La nozione di spazio alternativo non è soltanto politicamente ipocrita ed esteticamente ingenua; può persino essere diabolica”. Da quel momento in poi, Group Material divenne un’organizzazione itinerante, che accettava inviti dalle istituzioni e utilizzava strutture esistenti quali cartelloni pubblicitari, annunci sui mezzi di trasporto, persino buste della spesa come sede delle proprie opere.
Presto, raggiunto dal quarto membro, Doug Ashford, fu in questa forma più leggera e agile che il gruppo produsse alcuni dei suoi lavori più significativi. Per il progetto M5 (1981-82) esso invitò ventinove artisti a disegnare cartelloni (spesso politicamente sovversivi) da affiggere sugli autobus di New York, una strategia ripetuta l’anno successivo in metropolitana. Da un altro progetto di poster, DA ZI BAOS (1982), scaturì una forma che il gruppo avrebbe in futuro riutilizzato. Il titolo si riferiva ai cartelloni tradizionalmente affissi negli spazi pubblici cinesi con testi scritti a mano, spesso di natura propagandistica o dissenziente. Group Material invitò una serie di individui e organizzazioni – da un senzatetto a un centralinista dell’Ufficio contro l’abuso di stupefacenti dello stato di New York – a rilasciare delle dichiarazioni su alcuni argomenti topici. C’è una linea d’influenza che collega DA ZI BAOS ai lavori più recenti di artisti quali Gillian Wearing, Annika Eriksson, Phil Collins o Harrell Fletcher, ma è l’approccio, la presentazione politicizzata e impersonale a distinguere Group Material: poster rossi e gialli scritti in pesanti lettere maiuscole, attaccati sbrigativamente, di notte, sui tabelloni vuoti. Per quanto paradossale, è inevitabile l’impressione che Group Material fosse sempre più interessato alle nozioni astratte e teoretiche di “personale” e “sociale”, più che alle persone in sé. L’invito ricevuto dal gruppo a partecipare all’edizione 1987 di Documenta segnò un punto di svolta, allontanandolo dall’attivismo diretto verso una posizione di critica più distaccata, persino ironica. Il loro contributo, The Castle, faceva riferimento all’immagine tracciata da Franz Kafka del potere, al quale ci immoliamo anche senza mai accedervi. Il loro comunicato stampa dichiarava “Questa è l’offerta che portiamo al Castello (...) oggetti visivi che indossano i paramenti del potere per guadagnare, forse, udienza dal potere, udienza dal Castello”. In uno spazio circolare, assemblarono le loro opere artistiche con oggetti acquistati nei negozi (mischiando le une con gli altri, senza distinzione), da una confezione di caffè Master Blend a una scultura di Haim Steinbach, in modo da evocare un senso di gerarchia e di status. L’esposizione fu un successo, dovuto all’attenzione prestata all’estetica degli oggetti selezionati, e ottenne l’obiettivo sottolineato da Jacques Rancière: mostrare l’intreccio inestricabile fra estetica e politica, e l’impossibilità di scegliere l’una e scartare l’altra. Subito dopo questa esposizione, il gruppo iniziò a collaborare con il suo componente più celebre, Felix Gonzalez- Torres, e contemporaneamente Rollins colse l’occasione di allontanarsi per dedicare più tempo a un gruppo di studenti del South Bronx che si autodefinivano “Kids of Survival”.
Tim Rollins e i K.O.S., come sono tuttora noti, trovarono subito successo nel mercato dell’arte, collocandosi in posizione evidentemente antitetica a quella di Group Material. Anche Gonzalez-Torres, parallelamente alla partecipazione al gruppo, riscosse successo commerciale con il suo lavoro personale; la sua opera perdura, grazie alla sua singolare visione, in un modo che non sarebbe mai stato possibile, né pensabile, all’interno di Group Material.
I traguardi di Group Material sono invece esemplificati in quella che è probabilmente la loro opera più famosa, AIDS Timeline (1989-91). Con Whitney Houston, Tylenol, Oscar Wilde e Dick Cheney fra i contributori accreditati, l’opera è un’eclettica cronologia di arte e fandonie culturali sull’epidemia di AIDS. Fu un lavoro di cruciale importanza per portare alla luce l’inefficienza del governo americano nel contrastare il problema, e la cultura di rimozione e d’ignoranza che circondava la malattia. Mentre per il gruppo fu di grande significato aver portato il dibattito dentro i musei, l’ansia del lavorare con Group Material mostrata da tutte le istituzioni iniziò a insinuare uno strisciante senso di disagio. In quello stesso periodo, Group Material fu invitato alla Corcoran Gallery a Washington D.C. per sviluppare un progetto sulla censura, in seguito allo scandalo per la decisione della galleria di cancellare un’esposizione di Andres Serrano. Resosi conto che il progetto di Group Material rischiava di diventare un cerotto istituzionale, il gruppo declinò l’invito. Mentre Gonzalez-Torres soccombeva gradualmente a complicazioni legate all’AIDS, al gruppo si unirono i pittori tedeschi Jochen Klein e Thomas Eggerer. Ma alla morte di Gonzalez-Torres, nel 1996, tutti sentirono che era giunto il momento di terminare il proprio cammino comune. Era stato un percorso accidentato, lungo sedici anni, fatto di dissensi, litigi, frustrazioni e compromessi. Nonostante tutto, Group Material non perse mai di vista la propria ambizione, dichiarata in un manifesto del 1981: “Far esplodere tutte quelle asserzioni che pretendono di dire che cosa sia l’arte, per chi sia l’arte, come dovrebbe essere una mostra d’arte”.