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Segno Anno 34 Numero 230 giugno-luglio 2010



MACRO Roma. Una offerta in piu'

Ilaria Piccioni

Intervista a Luca Massimo Barbero



Attualità internazionali d'arte contemporanea


2/37 Anteprima Mostre&Musei
a cura di Lucia Spadano e Lisa D’Emidio

40/47 In copertina
Macro Roma
Una offerta in più
Intervista a Luca Massimo Barbero

a cura di Ilaria Piccioni


38/81 Attività espositive / recensioni & documentazioni
Speciale Roma/the Road to contemporary art
a cura di Ilaria Piccioni e Lucia Spadano

Intervista a Roberto Casiraghi
a cura di Francesca Ganzenua

Le mostre nei Musei, Istituzioni, Fondazioni e Gallerie

Herman Nitsch e Caravaggio, intervista a Peppe Morra a cura di Stefano Taccone, Mimmo Iodice (Paola Ugolini), Giuseppe Gallo (Paolo Aita), Alessandro Mendini (Simona Caramia), Michelangelo Consani (Stefano Taccone), Indian Art today (Federica Forti), Dahlem, Altin, Sennat (Antonello Tolve), Richard Serra (PaoloAita), Vittorio Corsini (Silvia Bottani), Rita McBride, Magnus Plessen (Stefano Taccone), Tommaso Cascella (TC), Paola Gandolfi (Gabriele Perretta), Lucia Romualdi (LS), Sergio Ragalzi (Antonello Rubini), Claus Larsen (FT), H.H.Lim (intervista a cura di Simona Brunetti), Alberto Di Fabio (Matteo Galbiati), Istvan Betuker (LS), Achille Perilli (Antonello Tolve), Vincenzo Starnone (ST), J.Beuys (Luca Pietro Vasta), Vincenzo Balsamo (LS), Giorgio Cattani (Ferdinando Creta), Martin Parr (Stefano Taccone), Tino Stefanoni (TS), Giulio De Mitri (Angelo Delli Santi), Stefano Soddu, Carmine Caputo (LS), Lucia Marcucci (Stefano Taccone), Andrea Di Marco (Alessandro Pinto), Cadavre Exquis show (Marina Pizzarelli), G.Albanese (intervista a cura di Dores Sacquegna), Premio Zingarelli (LS)

82/83 Premi, libri e cataloghi
a cura di Lucia Spadano, Gabriele Perretta, Antonello Tolve

84/85 Osservatorio critico
Dentro e oltre il mainstream di Gabriele Perretta
Nuova etica della responsabilità di Pietro Marino
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Riapre al pubblico il MACRO (Museo Arte Contemporanea Roma) con un nuovo ciclo espositivo e la presentazione della nuova ala, progettata da Odile Decq. In questa occasione festeggia il suo primo anno come Direttore del Museo, se l’aspettava così?

Me l’aspettavo difficile e non nego che lo sia stato, ma ho accettato questa sfida e Roma ci ha accolto con un entusiasmo inatteso. Abbiamo riaperto il Museo il 16 maggio 2009, credo che presentare la nuova ala dopo un anno esatto sia significativo. L’inizio è stato molto complesso. Bisognava pensare in tempi brevissimi come riaprirsi alla città, soprattutto perché il museo era rimasto chiuso per un anno; dovevo guardare all’immediato presente e al futuro prossimo. Prima della chiusura il MACRO aveva fatto mostre importanti, da Tony Cragg a Marc Quinn, dagli artisti romani di San Lorenzo sino a Tom Wesselmann; un trascorso molto ricco. E’ stato complicato, ma dalla prima sera di apertura – vedendo il pubblico percorrere le sale tra i lavori di Hema Upadhyay e Arthur Duff, la collezione permanente riscoperta, la piccola e meravigliosa Maternità di Pascali e le tantissime opere che già iniziavano ad arrivare come comodati – mi sono accorto dell’energia di Roma. Penso che un museo, per quanto grande, sia una casa e noi dobbiamo dare ospitalità a un pubblico, a volte sconosciuto. Mi dicevano che Roma è molto difficile, ma ha un entusiasmo molto curioso, rovesciato nei confronti di sé stessa; parte disincantata e tende a non infiammarsi di passioni, per poi stupirti e stupirsi – una qualità rara.

Forse perché non è abituata ad avere una offerta culturale costante?
Spero di mantenere abbastanza la lucidità di un occhio esterno e un cuore interno, nel senso che chi è a Roma forse guarda familiarmente le proprie cose. Posso garantire che città come Torino, con un understatement straordinario, Milano e Venezia, da cui provengo professionalmente, non hanno le molteplicità culturali, i due musei d’arte contemporanea che presto apriranno, le gallerie, le manifestazioni teatrali e il cinema che ha Roma. Qui c’è l’offerta di una capitale. Sicuramente, se vogliamo sempre vedere il bicchiere mezzo vuoto, è vero che Roma non è New York. Ma le confesso, avendo una certa esperienza di studio e lavoro a New York, Roma non è da meno anche se non ha i grattacieli! L’esistenza del suo passato appesantisce, ma come accade nel resto d’Italia, non obnubila il contemporaneo; il contemporaneo è un’offerta in più e lo stiamo scoprendo!

La risposta del pubblico romano alle novità nel contemporaneo e al rinnovamento dell’offerta culturale, con una attiva partecipazione agli eventi, troverà corrispondenza nella programmazione del MACRO?
Assolutamente sì. Abbiamo pensato a una programmazione trasversale, di qualità, che possa suscitare l’interesse di varie tipologie di pubblico. Sin dall’inizio siamo partiti con un ritmo che ci caratterizza: ogni ciclo espositivo presenta da cinque a sette mostre o interventi artistici. Abbiamo cercato di definire che il MACRO non è il luogo per pochi addetti al contemporaneo ma, come ha scritto il Financial Times, “a place for stimulating curiosity”, una casa delle curiosità. Mi interessa che tale curiosità non sia stimolata soltanto dal grande nome. La nostra pluri offerta, definita da alcuni “le diversità del contemporaneo”, è fatta di differenti aspetti del contemporaneo presentati contemporaneamente. Siamo pienamente ripagati dalla risposta e attenzione del pubblico, che dimostra interesse anche nel tempo che trascorre nei nostri spazi.


Reagisce, nonostante il momento difficile, guardando anche all’arte, aspettando i cambiamenti imminenti. Probabilmente riconosce una nuova intenzionalità e una qualità che va tenuta d’occhio?
Sì, noi non facciamo un programma che distrae. C’è una massa critica vera, ed è questo che ci tiene in piedi. Fa un esercizio di conoscenza, che non è staccarsi dalla realtà ma è penetrare di più la contemporaneità, che talvolta si è basata soltanto sull’aggiornamento e sull’aspetto glam, non cercando l’interazione con il pubblico. Per questo è nato il progetto di Macro Scuola, meno noto ma di grande soddisfazione, realizzato con partner importanti come la Guggenheim, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, e altri musei internazionali, condividendo anche il loro know how. Facciamo diventare il Museo uno strumento didattico, sottolineando l’aspetto nuovo del Macro come laboratorio, aprendolo internazionalmente anche per gli stage agli studenti stranieri.

Ogni cosa è pensata per la città, per il luogo, per incontrare il pubblico e per costruire un rapporto con esso. Sono stato subito confortato dall’eccezionale risultato di New York Minute, mostra organizzata con la Fondazione Depart, che si è rivelata un primo test positivo per ciò che chiameremo il MACRO Testaccio. Ci sono stati 25000 visitatori paganti in quaranta giorni e 7000 persone nella serata di inaugurazione. E’ veramente bello vedere che una mostra di artisti contemporanei non affermati, abbia richiamato in una sola sera tanta gente che ha festeggiato in modo assolutamente educato. Abbiamo scoperto subito che la nostra direzione era giusta perché Roma riesce a essere diretta e generosa; non ha perso la curiosità e la voglia di muoversi, di vedere cose nuove, contrariamente all’aspetto disincantato che anche la condizione politica ed economica attuale ci porta a vivere. E’ un passaparola che vede insieme il grande collezionista con il giornalista, con il giovane che festeggia al museo il proprio compleanno. Un museo deve aprirsi a tutti, in particolare ai giovani, con conferenze nelle periferie, i contatti con le associazioni e altre attività extra espositive.

Lo può fare anche prolungando i tempi di apertura del museo nella fascia oraria serale?
Certamente, il nostro pubblico è molto diversificato e non richiama soltanto i più giovani ma anche famiglie e anziani. Stiamo arrivando al 50% di pubblico straniero, riscontrando che il turista tipo, anche italiano, dopo aver visitato i luoghi canonici della città, la sera ha voglia di affacciarsi al contemporaneo. Al MACRO Testaccio stiamo già adottando orari serali prolungati, con l’apertura degli spazi fino a mezzanotte e penso che il MACRO di via Reggio Emilia debba rimanere aperto almeno fino alle 22.

La nuova stagione del MACRO prevede una collaborazione con il MAXXI?
Con il MAXXI c’è un forte dialogo, stiamo già costruendo dei tavoli di discussione e coordinamento. La nostra preview è in un certo senso un modo per festeggiare l’apertura del MAXXI e per sottolineare come Roma stia crescendo nel contemporaneo. Si sta parlando anche di una piattaforma di collezioni, cosa che trovo molto saggia; perché Roma possa condividere le collezioni e possa arricchirle anche scambiandole e prestandole reciprocamente. L’idea è di costruire una collezione per il futuro, con la piattaforma che unisca grandi musei storicizzati come la GNAM, il MAXXI, e le Fondazioni private. Quando lo sharing funzionerà, il pubblico potrà avere un’idea vera delle radici della contemporaneità a Roma, visitando tre musei meravigliosi. Trovo che la Galleria Nazionale sia uno spazio incredibile e così sarà anche il MAXXI. Il resto del lavoro tocca alle amministrazioni, noi facciamo esclusivamente politica culturale.

Questa nuova collaborazione sarà consentita grazie alla costituzione di una fondazione?
La collaborazione col MAXXI c’è già e non dipende quindi dalla costituzione di una fondazione.

Costituire una fondazione è una volontà forte, che speriamo si sviluppi coinvolgendo innanzitutto realtà locali e nazionali. Tra i vari vantaggi, agevolerebbe la gestione museale, migliorerebbe il rapporto tra pubblico e privato. Stiamo già lavorando con partner privati, come Unicredit Group, grazie al quale è stata realizzata la Danza di Buren, un fantastico “cannocchiale” sulla nuova ala del MACRO, e Fondazione Roma il cui supporto è stato fondamentale per presentare le nuove mostre. E’ importantissima anche la partnership con ENEL, che partecipa concretamente al making del Museo e ha scelto MACRO per Enel Contemporanea. Dopo Doug Aitken nel 2009, la cui opera è stata donata al Museo, il duo olandese Bik van der Pol ha vinto il premio di quest’anno con un progetto per me straordinario, che presenteremo all’apertura. Il MACRO inizia a essere la casa delle contemporaneità diffuse.


Ci parli del progetto vincitore del duo Bik van der Pol, formato dagli artisti Liesbeth Bik e Jos Van der Pol?
Sono un duo olandese che realizzeranno l’opera nella grande hall del nuovo Museo. Si tratta di una casa in scala di Mies van der Rohe, una citazione di una architettura dentro all’architettura; il contemporaneo d’inizio ‘900 ospitato dalla grande contemporaneità attuale. All’interno ci sarà un ecosistema perfettamente funzionante, che il pubblico potrà vedere anche dall’alto, con lo schiudersi delle farfalle che notoriamente hanno una vita molto breve, alcune vivono soltanto un giorno, e sono anche uno dei primi segni di salute dell’ecosistema.

Parliamo della collezione del MACRO, ci sarà uno spazio ad essa dedicato o si alternerà con le altre mostre?
Noi abbiamo una collezione permanente che sta crescendo grazie a comodati, prestiti e donazioni e che sarà sempre visibile a rotazione nel museo. Il Sovrintendente Broccoli ha attribuito al MACRO le opere dal ’58 in poi, che appartenevano alla collezione della Galleria Comunale di via Crispi. Ci sarà una sala o una parte di sala dedicata alla permanente. Ma uniremo le opere come nella mostra aperta a gennaio scorso, dove lavori di artisti romani si alternavano con altri di italiani, per creare dei confronti. Pensiamo di mescolare con linee sottili, non imposte e non troppo concettuali, aspetti diversi di una stessa contemporaneità. La particolare installazione della sala consente di costituire un dialogo fra le opere. L’idea di fondo è la vitalità. A questo proposito voglio ricordare un aspetto che mi sta molto a cuore: la persona che mi ha convinto ad accettare questa sfida incredibile è Claudia Gian Ferrari che ha donato al museo una bellissima opera di Massimo Bartolini, e ha lasciato come comodati tantissime opere importanti da Cindy Sherman a Bill Viola, a Enzo Cucchi, a opere di fotografi indiani, di giovani artisti contemporanei italiani e stranieri.

Quindi la collezione sta prendendo un’ottima forma? Come pensate di continuare, considerate di acquisire anche opere di giovani artisti?
Sì, direi che sta prendendo un’ottima forma e acquisiremo opere non solo di giovani artisti. Spesso si dimostra poco interesse per i giovani, anche lasciando loro poco spazio, ma penso che per questo il progetto intitolato Roommates/Coinquilini abbia un formato estremamente interessante, che vuole far incontrare non soltanto gli artisti ma anche i curatori. Costanza Paissan, coordinatrice del progetto, invita due giovani curatori che lavorano a Roma che chiamano a loro volta due artisti a condividere lo stesso spazio, per realizzare un progetto specifico. I lavori sono prodotti dal Museo e stanno entrando nella collezione con donazioni. E poi MACRO vuole aprirsi alla città, portando l’arte in luoghi strategici come il lavoro di Doug Aitken all’Isola Tiberina, di Aaron Young al Teatro di Marcello.

Come vengono recepiti gli ultimi sviluppi del contemporaneo a Roma sul piano internazionale, c’è attenzione per le novità italiane?
Da parte della stampa c’è una grande attenzione. Siamo monitorati ad esempio dal Financial Times e dal New York Times on line. Hanno colto il modo in cui stiamo lavorando a Roma. Si sta costruendo una bella piattaforma di interesse anche grazie alle ultime mostre fatte sul contemporaneo a Roma negli anni ‘70, come la retrospettiva su Graziella Lonardi Buontempo – A Roma, la nostra era avanguardia. Inoltre c’è grande interesse per la programmazione estiva. Molti curatori e direttori di musei stranieri verranno a trovarci per la preview.

La concomitanza con The Road of Contemporary Art di Roma sembra dimostrarsi una buona scelta strategica, anche per la nuova sede espositiva inclusa negli spazi dell’ex Mattatoio.
Sì, trovo che sia una concomitanza straordinaria. Penso che l’area dell’ex Mattatoio, con MACRO Future e la Pelanda, ovvero Macro Testaccio, sia un posto straordinario per molti aspetti. La prima volta che l’ho visitato ho pensato che sapesse ancora di un luogo dove l’uomo ha sempre nascosto come si procura il cibo, adesso invece noi dobbiamo fornire cibo per gli occhi. E il pubblico è la linfa del museo.

Qual è la sua opinione in merito al progetto architettonico di Odile Decq? Vedendolo ora nella fase conclusiva, come immagina la forma definitiva data al nuovo Museo con i progetti da lei curati?
Quando sono arrivato il cantiere non era nello stato in cui è oggi. Era una giornata terribile, pioveva anche dentro al cantiere, sembrava un’ambientazione post atomica. Devo ringraziare l’amministrazione pubblica degli straordinari progressi avvenuti in quest’ultimo anno. Il progetto non è muscolare e non ha un’apparenza speciale, ma al suo interno racchiude un’energia incredibile. Non insiste sul quartiere, è isolato, sta dentro il suo perimetro, non è evidente. Già dal foyer c’è una bellissima dislocazione, sembra un po’ cubista, e poi si svela con il nero che in realtà è luce, che dialoga con la luce romana che entra dal lucernario-fontana. Decq ha unito due elementi che amo moltissimo, che a Roma mi mancano: la luce sull’acqua, che si trova a New York e a Venezia. La grande sala è veramente spaziosa, percorribile anche dall’alto, offre così due punti di vista. Sto pensando di progettare una mostra aerea, per giocare con il pubblico non permettendo l’accesso in sala, ma concedendo soltanto la visione dall’alto. Anche l’art caffè sospeso su via Nizza è veramente molto bello; è un piccolo scrigno racchiuso fra palazzi degli anni Venti, senza contrasti.

Con l’amministrazione pubblica c’è un dialogo aperto?
C’è un ottimo dialogo, sono stato chiamato alla direzione del MACRO dall’assessore Croppi e ho accettato proprio per gli impegni che si è preso. Mi farà piacere festeggiare con la preview questo primo anno di lavoro, perché la mia assunzione poteva comportare un grande rischio professionale e di responsabilità. Ho una formazione trasversale che probabilmente è piaciuta. Lavoro con le immagini. Accettando questo incarico, con uno staff molto ristretto, mi sono messo in gioco e devo ringraziare l’amministrazione che mi lascia un’ampia libertà d’azione. E’ stata una scommessa legata alla capitale e all’arte contemporanea. Sono meravigliosamente distrutto.