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Stile Arte (2006-2011) Anno 14 Numero 134 ottobre-novembre 2010



Abito, divina scultura

Alessandra Troncana



Approfondimenti d'arte e di storia della cultura per “leggere le opere”dell’arte italiana ed europea


Sommario Stile Arte n.134

TECNICHE ECCENTRICHE: Pittori con macchia ma senza paura 6

ARTE SEGRETA: Caccia alla faccia 10

SCOPERTE: In quel crocifisso c’è un manoscritto nascosto 13

CONTEMPORANEA: I colori della musica 14

CONTEMPORANEA: Lucchini: L’abito, divina scultura 20

ICONOLOGIA: Labirinto e mondo cifrato della badessa Giovanna 24

CINEMA & ARTE: Guttuso e Rossellini, il fascino della realtà 30

CONTEMPORANEA: Nerdrum l’eretico 34

ICONOGRAFIA: Nera e immacolata 38

MOSTRE: Veneto e Friuli, che Rinascimento! 41

CONTEMPORANEA: Brancaccio, alla ricerca dell’infinito 42

ARTE & SCIENZA: Cervello d’artista 44

CONTEMPORANEA: Il folle volo di Arcangelo 48

OTTOCENTO: L’attimo fuggente 52

OTTOCENTO: Van Gogh, il collezionista di insetti 56

ICONOGRAFIA: Le ombre lucenti di Dio 62

ICONOLOGIA: Il sogno di Raffaello è l’incubo di Didone 65

CONTEMPORANEA: Cose dell’altro mondo 68

L’AGENDA DELLE MOSTRE 70

ART FOOD: L’armonia degli opposti 73

QUATTROCENTO: Scene da un matrimonio 76

ARTE & EROS: Bocca a bocca 80
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Flavio Lucchini, Lego

Flavio Lucchini, Totem

“Con le mie creazioni- racconta a Stile Flavio Lucchini - ho cercato di fissare la straordinaria capacità del vestito di sublimare la donna che lo indossa, trasfigurandone il corpo e rivelandone per magia il fascino segreto”

Vent’anni fa la decisione di ritirarsi dal mondo della moda per appagare la propria sete di bellezza attraverso altre forme di ricerca artistica. Ma per Flavio Lucchini - fashion editor, grafico, scopritore di grandi stilisti - non si è trattato di un addio: i corpi sinuosi, gli abiti onirici, i viaggi, gli incontri, le pagine patinate delle riviste da lui curate (Vogue, Amica, Lei/Glamour, Donna, solo per citarne alcune) e così ogni altro aspetto di quel rarefatto universo frequentato per tanto tempo, hanno fornito costante linfa alla sua opera.
Tutte le sue sculture, le più grandi così come le più piccole, si plasmano sulla figura femminile - idealizzata, perfetta - rivestita da abiti metafisici. Donne divine, architettoniche, impossibili, versioni aggiornate della Nike di Samotracia, e nelle cui sembianze si ravvisano tracce di Canova, Koons e Warhol.


Lucchini, lei ha frequentato la Milano degli anni Cinquanta e Sessanta, ricca di menti brillanti - Bruno Munari, gli architetti Gregotti e Cannella -, ha frequentato Federico Fellini… Può descriverci l’effervescenza di quel clima culturale?
Negli anni Cinquanta e Sessanta c’era molto entusiasmo, una grande voglia di fare. Nel cinema, nell’architettura, nel design, nella pubblicità. C’era il “gasamento” della ricostruzione. I giovani di allora uscivano dal buio della guerra, desideravano un cambiamento totale e un po’ di felicità.

Nel ventennio successivo, lei ha interagito con Armani, Gianni Versace, Krizia, Trussardi: che cosa resta della creatività di quel tempo?
Negli anni Settanta ci sono state la rivoluzione giovanile, la contestazione, l’immaginazione al potere, la libertà, anche sessuale e vestimentare. Ottenuto il benessere, sono arrivati i problemi e le ideologie.
Subito dopo, per contrappunto, nei discussi e prolifici anni Ottanta, a Milano è scoppiata la moda. E con essa l’editoria femminile, il made in Italy, gli stilisti, che prima erano semplicemente sarti. Molti di loro sono diventati i grandi nomi conosciuti in tutto il mondo, hanno contribuito a cambiare l’estetica e la percezione stessa dell’Italia. Che si è riscattata dagli anni di piombo anche attraverso la sua capacità di creare lo stile.
Usciti dal marasma della politica e del terrorismo c’era nuovamente tanta voglia di scoprire il mondo, viaggiare, vestirsi, abitare e vivere in modo diverso dai genitori. Un altro, enorme cambiamento che trovava negli stilisti i suoi interpreti: essi non disegnavano solo vestiti, lasciavano intravedere orizzonti più lontani.

Hegel considerava la moda come una forma variabile di vanità da cui è assente la ricerca del bello; Benjamin, parafrasando Baudelaire, la definì “l’eterno ritorno del nuovo”; Barthes la giudicava un’entità che, in quanto non propriamente linguistica, non può fare a meno del discorso per affermarsi e, in quanto non propriamente reale, non può prescindere da qualche aggancio ontologico…
La moda è stata lo specchio del desiderio di cambiare. E lo sarà sempre, perché è questa la sua funzione intrinseca. Le nuove generazioni cercheranno sempre di distinguersi da quelle che le hanno precedute, e in tal modo la società cambia e si evolve.
Un tempo il processo era più lento e più netto. Oggi, con i flussi migratori, i mezzi di comunicazione, gli interscambi culturali, il cambiamento è continuo.

L’indumento costituisce un oggetto poetico in cui confluiscono forma, colore, tatto, luminosità, e che tra-veste il corpo funzionando al contempo come suo sostituto e come maschera - un’accezione, questa, troppo spesso sottovalutata anche da chi si occupa di moda -: in tal senso, il vestito produce magicamente la persona o piuttosto è la persona a produrre l’indumento, esprimendosi attraverso di esso?
Il vestito è importante perché permette alla persona di esprimere se stessa e i suoi desideri. Siamo tutti diversi e non siamo disposti a vivere secondo regole che ci rendono uguali. L’abito è una scelta personale che comunica questa diversità, fisica, cultura, politica. Non è l’abito a creare la persona, perché la persona interviene sempre a modificare l’abito per plasmarlo su di sé.

All’apice del successo editoriale, nel 1990, la decisione di ritirarsi nell’intimità del proprio atelier: aveva forse preconizzato la fine della carta stampata nell’era di internet?
Il desiderio di dedicarmi alla mia grande e mai sopita passione, l’arte, e la considerazione che i mezzi di comunicazione si stavano avvicinando a una grande rivoluzione tecnologica e culturale, sono state le due ragioni che mi hanno convinto a cambiare strada.
L’arte è un linguaggio universale, che non ha bisogno di parole per farsi capire. Ora tocca alla scienza e alla tecnica trovare il modo di superare la barriera delle lingue.

A proposito del suo lavoro, Martina Corgnati ha parlato di “forme pure, vuote, inabitabili da qualunque corpo”: si riconosce in questa definizione?
La mia ricerca artistica, che nasce dal mio vissuto nella moda, tende a far comprendere la magia e il mistero del vestito, oggetto iconico e pieno di significati per se stesso.
Niente meglio dell’abito rappresenta le epoche e la storia degli uomini. Così come l’arte. Con le mie sculture ho cercato di fissare, con una manualità tradizionale e tecniche diverse, la straordinaria capacità dell’abito di oggi di “divinizzare” la donna, estrapolandola dal contesto quotidiano. Ma non mi sono limitato a questo: da artista attento ai linguaggi contemporanei ci ho giocato, ironizzato, ho riflettuto su come il vestito viene vissuto in altri Paesi e altre culture. In ogni modo ho voluto essere un testimone del nostro tempo.

I suoi segni archetipi, i suoi totem, deificano quanto c’è di più caduco ed effimero: un abito. Sembra quasi un tentativo di esorcizzare la transitorietà della moda mediante forme ataviche e universali.
Non si possono conoscere i popoli senza conoscere i loro vestiti. Oggi come nel passato. Ma oggi un abito spesso si usa e si getta. Quelli “divini” restano nella nostra mente o vengono conservati. Ciò che io vorrei conservare per sempre, anche attraverso un archetipo, un simulacro essenziale, è il segreto fascino, la magia che, magari con un semplice dettaglio, permette di trasfigurare il corpo della donna ed elevarlo.

Nell’era della riproducibilità tecnica e dei deliri consumistici, l’arte e la moda sono ancora elitarie?
L’arte e la moda saranno sempre elitarie. Non è moda la produzione di massa, gli abiti nati dal marketing che ci circondano e ci opprimono. Bisogna essere artisti per creare. E solo chi è colto sa scegliere.

Che cosa differenzia un artista da uno stilista?
Lo stilista in fondo è un designer che utilizza anche l’arte per realizzare la sua invenzione. Ma il suo campo è limitato, i suoi confini sono il corpo, la vendibilità, la vestibilità, la stagionalità, la fattibilità…
L’artista ha l’infinito a disposizione. Può esprimere sentimenti, sogni, sensazioni, gioia, dolore, mistero, aspirazioni, creare mondi impossibili, situazioni immaginarie, interpretare il reale, criticare la società.

Lei sembra avere una predilezione per gli stilisti visionari, come Margiela, Galliano o Viktor & Rolf: è a loro che si ispira per le sue creazioni?
La mia attenzione non è per il vestito funzionale, ma per il vestito “divino”. Qualcosa che trascende la quotidianità e ha in sé un forte gesto creativo. Naturale che il mio interesse vada verso stilisti visionari che nell’abito inseguono altri valori: la bellezza, la reinvenzione della forma, l’attimo straordinario, il messaggio culturale o sociale.

Qual è il suo giudizio sul Postmoderno? Lo considera una forma aggiornata di manierismo o, piuttosto, un crogiuolo di esperimenti velleitari, epidermici?
Se parliamo di Postmoderno per l’attuale situazione fluida ed eclettica nell’arte e nella moda, credo che ci troviamo in una fase di attesa. Un grande cambiamento è in arrivo. La rivoluzione di internet ha ridotto le distanze tra i popoli e le culture.
E’ un cambiamento straordinario, di portata inimmaginabile. Tutte le forme, anche estreme, di creatività in ogni senso entreranno a casa nostra come e quando vorremo. Ribalteranno gli schemi culturali e le tradizioni. Altro che manierismo o esperimenti velleitari. La domanda è: che futuro ci aspetta?