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Lettera internazionale Anno 26 Numero 105 novembre 2010 - gennaio 2011



Paesaggi, passaggi

João Nunes



Rivista trimestrale europea


SOMMARIO LETTERA INTERNAZIONALE n. 105

Sul paesaggio

Vita e morte dei paesaggi, Alain Roger
Abitare il paesaggio, Massimo Venturi Ferriolo
Paesaggi, passaggi, João Nunes
Autenticità: spazio, materia e tempo, Carmen Añón
La terra promessa. Paesaggio: sostantivo anche femminile, forse, Mariella Zoppi
La disfatta dell’arte. Proust di fronte al paesaggio, Jean Starobinski
La natura indifferente. Frammenti dalla Zelanda, Zbigniew Herbert
Islanda a un primo sguardo, William Morris

Paesaggio e reti
Dal paesaggio al web, Franco Farinelli
L’osservatore forte, Peter Sloterdijk
Parigi, città invisibile: il plasma, Bruno Latour
Utopie palermitane, Francesco Giambrone
Nuovi paesaggi urbani, Franco Ferrarotti

Suono/Musica/Natura
Natura è musica, Quirino Principe,
La musica e l’estetizzazione del paesaggio, Elio Matassi
Costruzioni sonore tra natura e cultura, Maurizio Cogliani

Mindscape/Landscape
Esercizi di pensiero del finito, Ugo Morelli
Paesaggi interiori, Carla Weber
Lezioni di paesaggio, Gabriella De Fino

Libri ed eventi
A cura di Dario Gentili, Aldo Iori, Maria Mantello, Anna Simone, Federico Trocini

Gli artisti di questo numero:
Eugenio Giliberti, Bruno Querci, Bogdan Bogdanovic, Sven-Ingvar Andersson
A cura di Aldo Iori
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Mahi Binebine
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Eugenio Giliberti
Linea d'orizzonte
particolare castello di Portovenere 2005

Bruno Querci
Corporale, 1996

Bruno Querci
Infinito Planimetrico

Tutti gli esseri viventi, nell’esercizio delle loro funzioni vitali, si relazionano gli uni agli altri e ciascuno di loro con il territorio che costituisce la base della loro sopravvivenza. Dalla vita di tali esseri risultano prodotti e sottoprodotti che, in modo più o meno evidente, più o meno marcante, segnalano la loro presenza o il loro passaggio, condizionando la vita di tutti gli altri. Dalle loro azioni risultano impronte direttamente o indirettamente lasciate sul territorio; impronte che, per tutti gli altri esseri che condividono lo stesso territorio, assumono significati in quanto si trasformano in segnali e codificano aspetti dell’inevitabile relazione che li unisce tutti.
L’idea a cui frequentemente corrisponde il termine paesaggio è una manifestazione dei modelli che contribuirono alla costruzione del mondo all’epoca della nascita della società mercantile. Alla luce di tali modelli, il paesaggio si presenta come profondamente associato al riconoscimento visivo di una realtà.
Questa idea, che, nella società moderna, si accentua con la crescente importanza acquisita dall’immagine come rappresentazione della realtà, era già presente con l’avvento della società borghese. Quest’ultima, proponendo un sistema di sopravvivenza fondato sul commercio, sugli scambi, si mostrava indifferente a tutti i fattori di funzionamento del mondo che condizionavano fortemente il mondo rurale da cui, culturalmente ed economicamente, la società borghese cominciava a prendere le distanze. Quindi, l’unico modo di riavvicinarsi a tali processi era la rappresentazione artistica, soprattutto pittorica.


Le impronte come relazioni

Il paesaggio ha modificato nel corso degli anni il suo significato fino a tradursi, al giorno d’oggi, nell’insieme delle impronte lasciate sul territorio dalle diverse comunità e dai diversi individui che lo condividono, sovrapponendosi a quelle della genesi fisica del territorio stesso e a quelle corrispondenti alle trasformazioni a cui è estranea la comunità vivente. Si tratta insomma di un insieme di impronte codificato dal sistema di significati; il paesaggio sarà, dunque, il complesso di relazioni a cui tali impronte corrispondono come manifestazioni percettibili della vita: relazioni che si sviluppano tra individui della stessa comunità, tra individui di comunità differenti, tra comunità differenti, collettivamente, e tra tutti loro e il territorio; relazioni che implicano uno sforzo di sopravvivenza, un meccanismo per assicurare la sopravvivenza della comunità, un gesto di protezione delle generazioni precedenti verso quelle successive.
Le impronte, in sé, sono banali (corrispondono ai marchi causati da gesti semplici, quotidiani, spesso automatici e involontari); le ragioni che stanno dietro a tali gesti sono altrettanto banali (sopravvivere, vivere, appropriarsi dello spazio, proteggere i figli, calpestare, correre, saltare, accoppiarsi). E tali impronte si imprimono su uno strato precedente fatto di altre impronte di altri individui, della stessa o di altre comunità, o su impronte di erosione, di degradazione materiale del territorio stesso, anch’esse banali, causate da pioggia, vento, sole. Sono impronte elementari, in tutti i sensi, che costituiscono la manifestazione di processi legati ai fatti basilari della vita.
Allo stesso tempo, sia a causa della sovrapposizione che si attua nel corso del tempo, sia per la complessa rete di relazioni che si esplicano in un paesaggio considerando tutti gli individui, tutte le comunità, tutte le ragioni, tutti i fenomeni geologici fondamentali della geomorfologia di un luogo e tutti i processi entropici legati ai processi di trasformazione per erosione, per degradazione, per alterazione dell’ordine iniziale di formazione di tali territori, il testo che si va così costruendo si rivela complesso e difficile da decodificare.
Ciò significa che il paesaggio dovrebbe essere considerato una rappresentazione complessa dei processi in atto su un territorio e della sintesi storica dei processi passati che può essere descritta oggettivamente attraverso lo studio delle caratteristiche del territorio, delle comunità e delle loro relazioni.


Cultura, ambiente, abitudini

Sommando la lettura specialistica di un geomorfologo, di un geologo, di un pedologo, di un ecologista, di un botanico, di uno zoologo, di un archeologo, di un antropologo, di uno storico, di un geografo, si dovrebbe avere, una volta operata una sintesi elaborata di tutto questo, una descrizione completa dell’entità-paesaggio. Tuttavia, l’esperienza ci dice che non basta un ambito oggettivo per spiegarla. Così, il paesaggio è, oltre a tutto questo, la rappresentazione che ciascuno di noi costruisce a partire da tutti questi apporti attraverso una lettura condizionata dai filtri che cultura, ambiente e abitudini ci impongono.
Possiamo, così, pensare al paesaggio come a un concetto a cui corrisponde non una situazione che è dato riconoscere e percepire, profondamente associata alla percezione visiva – ricordiamo che la definizione corrente del dizionario per il termine “paesaggio” è: “parte di spazio che la vista abbraccia con uno sguardo” –, quanto piuttosto a una situazione associata a un funzionamento di cui percepiamo l’unica manifestazione in grado di farci capire ciò che accade quando si interferisce con quel funzionamento.
Il concetto di paesaggio, in quanto direttamente associato alle impronte di ciascun momento, di ogni generazione e di ogni cultura che si sovrappongono nello stesso luogo, è profondamente legato alla trasformazione. Il paesaggio è qualcosa in continua evoluzione ed è funzionale alle convinzioni che in ogni momento portano a gesti diversi a cui corrispondono impronte diverse per la soluzione di problemi di sopravvivenza delle comunità, diversi in ogni momento.
D’altra parte, considerare il paesaggio come una realtà fondamentalmente costituita dai segnali corrispondenti a tale insieme complesso di processi di grande dinamismo, o dal risultato sommatorio di tali segnali nel corso del tempo, fa sì che si intenda il paesaggio molto più come una parte di tempo che come una parte di spazio.
Cercando forzatamente di mantenere la restrizione rispetto alla situazione visiva di percezione, dovremmo dire, dunque, che il paesaggio è quella parte di tempo che la vista abbraccia.
Questa definizione risulta così un enunciato poetico, ma è inutile, in quanto non risponde alle sollecitazioni inerenti, ad esempio, alla necessità di definire il paesaggio come ambito di lavoro di una disciplina specifica che lo interpreta, analizza, trasforma e gestisce.


Trasmettere un processo, non un’immagine

Trasmettere il paesaggio dovrà, quindi, consistere in un sistema di comunicazione di un processo, non di un’immagine. Il nocciolo del discorso sarà narrativo, ovvero la descrizione di una dinamica, la spiegazione di un funzionamento riducibile, eventualmente, a una certa quantità di immagini, a un insieme comprensibile di fotogrammi in successione secondo un ordine ben strutturato, ma difficilmente riducibile a una sola e unica immagine.
L’editoria specializzata dovrà, dunque, superare la mera descrizione visuale del progetto per arrivare a enunciare un ragionamento che è presente nel processo stesso di costruzione del paesaggio, sia che esso corrisponda a un progetto di paesaggio sia che corrisponda a un processo spontaneo o di responsabilità collettiva comunitaria, ma che, in ogni caso, non è presente nelle piattaforme di comunicazione abituali.
Queste ultime, infatti, lavorano, come si fa nelle pubblicazioni di architettura, alla costruzione di un’“ammirazione” non giustificata o spiegata, alla creazione di un mito, al distacco rimbecillente tra l’immagine e ciò che la potrebbe spiegare, riducendo il discorso a una specie di cartoon futile e superficiale sul cui poco spessore si può fondare un mercato, un affare, uno star system di attori, ma che molto poco contribuisce alla costruzione di un universo di lettori critici, coscienti, saggi e partecipativi, ovvero alla costruzione intelligente e democratica del futuro. E se ciò è già terribile nell’universo dell’architettura, con risultati, del resto, ben evidenti quando analizziamo il prodotto medio della creazione architettonica d’oggi, è assolutamente disastroso quando è applicato all’universo del paesaggio, dal momento che si tratta di un universo che si fonda, di fatto, non sull’immagine prodotta, ma sulla rete di avvenimenti che lo giustificano e lo spiegano.
D’altra parte, nella costruzione anche soltanto di un immaginario a qualunque livello, la divulgazione di modelli e di processi legati al paesaggio potrà diventare lo strumento fondamentale per la costruzione del paesaggio stesso.
La costruzione del paesaggio, nonostante sia ricondotto con frequenza alla sfera dei desideri e delle ambizioni comunitarie e individuali che possono presiedere alle trasformazioni processuali che lo costituiscono in quanto processo dinamico, si fonda sempre su un’azione coordinata o mossa direttamente dal potere. Cioè a dire è il potere, in quanto interprete attento della volontà delle comunità – o della sua maggioranza, nei sistemi democratici – o in quanto vettore prepotente di una volontà non condivisa in seno alla comunità, che procede direttamente alle iniziative di trasformazione inerenti al senso di costruzione del paesaggio, siano esse azioni di infrastrutturazione (come per esempio la costruzione di una strada, di un’autostrada, di una linea ferroviaria o dell’alta velocità, di un aeroporto o di un porto), siano esse azioni diffuse (come quelle che corrispondono ad azioni regolatrici, quali, ad esempio, il sistema di incentivi agricoli della politica agricola comunitaria o il condono edilizio in Italia).


Per costruire i paesaggi del futuro

Questo significa che trasmettere paesaggi vuol dire anche responsabilità nel suscitare presso il potere, democraticamente istituito o meno, i modelli e i valori fondamentali per una costruzione del paesaggio equilibrata e valida per le popolazioni. Così, “comunicare paesaggio” si trasforma necessariamente e implicitamente in uno strumento di costruzione del paesaggio, dal momento che “comunicare paesaggio”costruisce la possibilità di sostituire lo stato di coesione culturale di altri tempi, ma permette anche di spiegare la portata e la perfezione di alcuni processi di costruzione del paesaggio di epoche passate che costituiscono oggi punti di riferimento universali.
D’altra parte, trasmettere paesaggio in modo completo e profondo, anziché attraverso la ripetizione di modelli di comunicazione superficiali e mediocri, potrà essere un modo di divulgare e discutere modelli di trasformazione includendo la dimensione economica della trasformazione, suscitando nelle persone a cui arriva la comunicazione la coscienza dei processi che stanno dietro la formattazione delle piattaforme fisiche necessarie allo svolgimento delle loro vite, e ancora permettendo loro di venire a conoscenza sia dei processi che, in passato, hanno finito con l’essere responsabili del mondo così come oggi lo vediamo, sia delle logiche di trasformazione inerenti alle opzioni di vita e alle decisioni che, prese oggi, prefigurano gli scenari del futuro.
Perché, infine, trasmettere paesaggi è anche un’altra cosa: è creare le condizioni di costruzione dei paesaggi del futuro, dei paesaggi in cui i nostri figli e nipoti vivranno, è trasmettere loro, fisicamente, i paesaggi che abbiamo saputo creare.

João António Ribeiro Ferreira Nunes, architetto paesaggista portoghese, è fondatore e maggiore responsabile dello Studio di Architettura Paesaggista PROAP che riunisce un vasto gruppo di professionisti dell’architettura del paesaggio, del design e delle arti plastiche.