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boîte Anno 2 Numero 8 primavera 2011



L’album da viaggio di Marcel Duchamp

Carla Subrizi



Scatola d'arte, di studi , d'idee e di altri pensieri


SOMMARIO Boîte N. 08

tutta l’arte è stata contemporanea
Carla Subrizi / Dall’album di viaggio di Marcel Duchamp

testimoni oculisti
Giulia Brivio / Bruno Munari. Sculture da viaggio
Giulia Brivio / Luca Vitone. Itinerari intimi

camera con vista
Federica Boràgina / Tímea Anita Oravecz. Some artists are shamans

locanda dei forestieri
Fabrizio Eva / I confini del viaggiatore

cesta dei granchi
Federica Boràgina e Emanuele Beluffi / boîte vs kritikaonline.net

albergo delle vespe
Nicole Dalton / Un sogno ecumenico

aspettando godot
Giulia Brivio e Gianluca Di Lauro / Connessioni

appunti di viaggio
Valerio Del Baglivo / Un brindisi al tuo fallimento! La Bitter Valise di Joseph del Pesco
Fulvio Marinetti Ravagnani / Qui cabinet
Federica Boràgina e Giulia Brivio / Aveva ragione Dorothy?

prendi cura di te stesso
La tua porzione di stelle (a cura di Antonella Scaramuzzino) international snacks
Simonetta Roncaglia / Catuaba



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Marcel Duchamp, La Boîte-en-Valise, 1935 - 1941

La Bitter Valise di Joseph del Pesco

Luca Vitone
Arrivo a Colonia, 1998, scatole di cartone, valigia
Galerie Christian Nagel, Colonia
Courtesy l’artista

1935-1941: sei anni sono necessari a Marcel Duchamp per realizzare questa nuova Scatola, la Bôite- en-valise che segue la Bôite verte, pubblicata nel 1934. Come si legge in una lettera del 5 marzo 1935 indirizzata a Katherine Dreier, l’idea parte dal voler realizzare dei multipli di vecchie opere: dieci riproduzioni fotografiche da vendere per fare un po’ di soldi da impegnare poi per l’album completo, ovvero la Bôite, una sorta di catalogo in miniatura di tutta la sua opera, che poi sarebbe stato pubblicato in trecento esemplari. Ogni esemplare, di lusso, conteneva circa sessanta riproduzioni tra le quali una sola opera era, anche se in piccolo, un’originale.

Quindi all’inizio l’idea è quella di riprodurre, rendere piccole e trasportabili le opere realizzate fino ad allora. Ecke Bonk nel suo importante libro Marcel Duchamp: The Portable Museum - An Inventory(1) fa notare che non tutte le riproduzioni vennero fatte da originali ma perlopiù da maquettes o altra riproduzioni fotografiche. Questo accentua ancor più l’aspetto della riproducibilità, essendo questa realizzata non solo dagli “originali” ma già da copie, mettendo dunque diverse questioni (originale, copia, riproduzione) in campo.
Ma mi vorrei qui soffermare su un aspetto che tra questi mi sembra meno affrontato: le idee del “portabile”, del trasportare e del nomadismo che sono introdotte da questo “oggetto” di Duchamp e le relazioni con altri temi duchampiani come quelli dell’indifferenza, dell’infrasottile, del “portatile” che implica l’idea del viaggio.

C’è anche un’interessante coincidenza: Duchamp lavora alla Scatola mentre Walter Benjamin sta pubblicando L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (il 1936 è la data della pubblicazione del saggio, mentre il 1935 la data d’inizio dell’idea della Scatola). Due opere dunque sulla riproducibilità e le sue infinite novità per l’arte ma soprattutto per il pubblico e le possibilità di avvicinarsi all’arte.
Nel 1938 Benjamin inizia anche la seconda stesura del saggio Baudelaire e la Parigi del secondo impero che nel 1939 sarà pubblicato con il titolo Di alcuni motivi in Baudelaire: una riflessione sul flâneur e “sulla dissoluzione dell’aura nell’esperienza dello choc”. Duchamp pensa nello stesso tempo la Bôite anche come una possibilità di trasportare il suo “album” negli anni della guerra, nei suoi continui spostamenti tra Europa e Stati Uniti. Dunque in qualche modo trasportabilità e viaggio, spostamento e transitorietà coincidono e vediamo ora meglio come.

Tra il “privilegio della libertà” (2)come ha sostenuto Griselda Pollock e “la tendenza problematica tra gli artisti maschi della modernità a riappropriarsi dei significati propri della femminilità”(3) con l’immagine del flâneur si spostano le identità, le implicazioni dell’autorialità, gli sguardi si riorientano a partire dall’indifferenza. Il flâneur si muove senza meta e attraversa la città piuttosto che situarsi in un luogo. Duchamp ha “fumato” e viaggiato più di quanto abbia lavorato. Il Pieghevole da viaggio del 1916 (un readymade realizzato con un fodero per macchina da scrivere), la Scultura da viaggio, del 1918, fatta di pezzi di cuffie di plastica incollati, ma anche la strada Jura-Parigi su cui si muovono “una macchina a 5 cuori, un fanciullo puro di nichel e di platino”(4), la strada in salita del suo ciclista etico in Avere l’apprendista nel sole, indicano idee di viaggi, percorsi, stati di fatica in salita nei passaggi più accidentati. C’è inoltre Air de Paris, del 1919, una piccola ampolla chiesta a un farmacista che, svuotata del suo contenuto, gli permetteva di trasportare un po’ di aria di Parigi in regalo ai suoi amici americani Walter e Louise Arensberg.
L’idea del viaggio e del possibile trasporto di oggetti materiali o immateriali è dunque presente in Duchamp, già prima della Scatola in valigia. Ma negli anni della valigia sono il montaggio e l’idea dell’album a divenire importanti per la concezione stessa di quell’oggetto. Affiancare più cose in uno stesso oggetto, non rende unitario il molteplice: piuttosto rende molteplice e frammentaria l’idea di un’opera d’arte.

Duchamp colleziona in una valigia piccole riproduzioni di sue opere e mette insieme in fondo una autobiografia; Benjamin arriverà, sempre in quegli anni, nel 1938, all’ultima redazione della sua Infanzia berlinese, una autobiografia anch’essa costruita come un montaggio di racconti brevi ognuno dei quali è un episodio, un ricordo o un sogno riemerso dell’infanzia.
C’è l’instaurarsi di una condizione nuova legata alla dimensione “neutra” dell’identità. Duchamp “indifferente” si mette ai margini di quei requisiti creduti fondamentali per l’opera d’arte: intenzionalità, ricerca della forma, gusto, stile. Benjamin, in altro modo, sposta dalla parte dell’esperienza e della pratica fisica del ricordo (meglio, della memoria involontaria) la dimensione tradizionale, di culto e contemplazione, dell’opera d’arte. Il declino dell’aura, non la sua sparizione, apre molte vie che sotto altre vesti diventeranno nei decenni a venire i processi di smaterializzazione, le “astrazioni eccentriche”, il simulacro, il fantasma e le nuove dinamiche del sublime (nella prospettiva di Jean-François Lyotard) nelle opere di molti artisti.

Duchamp già dai primi anni, come si legge in molte note della Scatola verde, parla di una bellezza di indifferenza; Benjamin in uno dei suoi scritti giovanili si propone e propone alla filosofia futura di “trovare, per la conoscenza, la sfera della neutralità totale rispetto ai concetti di oggetto e soggetto”, mentre in Di alcuni motivi in Baudelaire torna a sottolineare l’importanza dello spleen poiché “annulla l’interesse e la recettività”.
Duchamp sempre negli stessi anni di lavoro per la Bôite-en-valise mette insieme le note sull’inframince (l’infrasottile ovvero una misura immisurabile come quella di due arie o profumi che mischiano, il calore che resta su una sedia dopo esserci stati seduti) mentre Benjamin nel saggio sull’opera d’arte del 1936, parla degli aspetti fuggitivi, di temporalità minime e impercettibili.
Una disposizione di indifferenza o neutralità fa dunque da sfondo a una condizione nomade del pensiero. Nomade è un pensiero che non si ferma, che sceglie la trasversalità più che le cause e gli effetti, che si sposta rizomaticamente e che costruisce reti e rimandi del senso piuttosto che contenuti da inscrivere in forme immobili. Nomade può essere anche l’ipotesi di una diversa disposizione dello sguardo: che non domina, che si sposta al lato, che sceglie percorsi sotterranei, dispersi, lontani dalle apparenze e dalle immediate fisionomie delle cose.

È interessante che anche altri artisti che hanno lavorato con valige o valigette di diverso formato, riunendo oggetti di diverso tipo in esse, abbiamo pensato non al semplice accumulo in uno spazio ma al viaggio: penso al Necessaire per l’oltretomba di Gianfranco Baruchello (un lavoro del 1962: una sorta di kit in valigetta di cuoio con oggetti vari tra cui spazzolino da denti, rasoio, passaporto incollati e imbiancati per un viaggio nell’oltretomba) o la valigia By air di Emilio Fantin del 1992 in cui si progettava una serie di elementi da usare nel corso di un viaggio aereo. Quindi la questione del viaggio, del portatile, dell’opera resa nomade e in movimento, nonché riprodotta e rimpicciolita per renderne più semplice il trasporto, sono aspetti connessi anche se in modi diversi.
Duchamp voleva fare un vero “museo portatile”, senza pareti e senza una sede fissa anche per rivolgere una provocazione nei confronti di un sistema dell’arte già allora per Duchamp arrivato a una quasi completa identificazione con il mercato, il successo, con il potere dei musei più importanti e decisivi per le collezioni, gli acquisti, le mostre. In viaggio, il “museo” di Duchamp diventava uno spazio indipendente firmato tra l’altro insieme al suo alter ego femminile Rrose Selavy.
Si dava con ciò un segnale di un percorso da fare non sulle strade principali e più sicure, ma ai confini del certo, tra immaginazione e ricerca di spazi infrasottili, come Duchamp diceva, per scelte, sì, ma indifferenti.


Note

1.Ecke Bonk, Marcel Duchamp: The Portable Museum - An Inventory, Thames & Hudson, London 1989.
2.Griselda Pollock, Vision and Difference, Routledge, London 1988, p. 94 (dell’edizione del 2009).
3.Christine Buci-Glucksmann, Catastrophic Utopia: The Feminine as Allegory of the Modern, in “Representations”, n. 14, primavera 1986, pp. 220-228.
4.In Marcel Duchamp, Scritti, Abscondita, Milano 2005, p. 31



Carla Subrizi è docente di Storia dell’arte contemporanea e Semiologia dell’arte contemporanea presso l’Università di Roma La Sapienza; è direttore artistico della Fondazione Baruchello. Tra le sue numerose pubblicazioni si ricorda Introduzione a Duchamp (Laterza, 2008). Ha curato mostre, workshop, convegni in Italia e all’estero.
La sua boîte custodisce un biglietto aereo per lo Yemen.