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Juliet Anno 32 Numero 157 aprile-maggio 2012



Tomàs Saraceno

Valentina Marinone

Le Città Nuvola



Art magazine


SOMMARIO N. 157

INCHIESTA - DIBATTITO
38 | L’arte della sopravvivenza. Inchiesta-dibattito
sull’impegno etico-civile / Luciano Marcucci

Intervista
42 | Figura solare. Nicola Vitale / Ernesto Jannini
55 | Susan Norrie. Ecologia e testimonianza / Maria Cristina Strati
62 | English Breakfast 07. Interview with Kathrin Böhm, Artist and Co-founder of
Public Works / Matilde Martinetti
64 | Donald Baechler. “Uno, nessuno e centomila” / Antonella Palladino
66 | Yvonne Pugliese parla di Iler Melioli / Pina Inferrera
69 | Cristina Ariagno. Tra note e colori / Marilina di Cataldo
73 | Jacques Toussaint. “Io sono questo segno” / Luigi Cavadini
75 | Franco Passalacqua. L’universo della natura / Mauro Ventura
76 | Banafsheh Rahmani. E la custodia del fuoco / Matteo Gardonio
77 | Martina Di Trapani. My Dreams / Giuseppe Lippi
83 | M-Stash Crew / Marco Gnesda
Focus
46 | Micaël Borremans. La pittura come un film / Rosanna Fumai
50 | Barbara Polla. Su Paris Photo e altre cose / Pina Inferrera
58 | Se Mecenate fosse nato oggi... Considerazioni provocazioni opportunità
/ Luciano Marucci
67 | Luigi Tolotti. Il foro stenopeico / Caterina Ratzenbeck
68 | Luigi Merola. Come Lavora? / Caterina Ratzenbeck
72 | Arte/politica «la piovra» / Piero Gilardi
78 | Maurizio Stagni / Serenella Dorigo
79 | Art FaCTory02. Daniela Arionte / Pina Inferrera

Recensione
48 | Tomàs Saraceno. Le città-nuvola / Valentina Marinone
60 | Padiglione Tibet. Un sogno che ha lasciato il segno / Ruggero Maggi
70 | Danilo De Mitri. Corpi, ombre, strutture / Lucia Anelli

Reportage
71 | Luca Nanut / Fabio Rinaldi
74 | Erica Bognolo / Martina Fiorenza
79 | Gabriela Alarcón e Andrea Zullian / Massimo Goin
85 | Patrizia Serra / Luca Carrà

Rubrica
81 | P .P* Francesco Moschini / Angelo Bianco
82 | Ho della periferia / Angelo Bianco
84 | Hubout2 / SQSM

Spray
86 | Recensione mostre



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Immancabilmente l’Hamburger Bahnhof si dimostra in grado di superare il modello di museo-archivio, luogo sterile e alieno calato in un’atmosfera eccessivamente formale e “intimidatoria”, riproponendosi nuovamente “Museum für Gegenwart”, luogo della e per la contemporaneità.
Rivedendo e modificando le convenzioni specifiche caratterizzanti le istituzioni museali, l’arte contemporanea è in grado di assicurare un contributo all’educazione pubblica, ampliandone la partecipazione attiva. Le Cloud Cities di Tomàs Saraceno sfumano i confini tra educazione e intrattenimento, promuovendo un processo di scoperta che comporta il coinvolgimento dinamico e diretto dello spettatore.

Nell’ ex-sala d’attesa di quella che era una stazione ferroviaria, l’artista argentino prosegue nella sua ricerca di esplorazione e re/interpretazione della realtà contemporanea portando in scena il rapporto simbiotico tra l’ambiente e l’essere umano. La concettualizzazione astratta, associata alla sperimentazione attiva, viene rappresentata attraverso una gigantesca installazione modulare, all’ interno della quale l’artista, le cui opere nascono dalla collaborazione con ingegneri e astrofisici e sono notevolmente influenzate dalla sua formazione come architetto, congloba circa venti “biosfere”, trasparenti cupole geodetiche alla Bückminster Fuller che galleggiano tra cielo e suolo sotto l’ossatura severa di ferro e vetro dell’Hamburger Bahnhof.

Sferiche e aeree, apparentemente libere dai limiti imposti dalla forza gravitazionale, le sfere di Saraceno incarnano il prototipo per un inedito progetto di “cittá-volante”, una sfida alle nostre restrizioni culturali e sociali: citta-nuvola come metafora del futuro, forme galleggianti ed adattabili al contesto esterno che cambiano da un momento all’altro e sono in costante evoluzione.
E noi, come vorremmo vivere nel futuro? Conformemente all’idea vitruviana, l’architettura serve a creare uno spazio congruo all’uomo, pensato a sua misura e in grado di garantire il vivere civile. Saraceno, attraverso un modus operandi che si colloca a metà tra architettura e ricerca ecologica, cerca di dare nuova forma agli spazi sociali e ai comportamenti umani alterando la visione secondo la quale “naturale” è l’antitesi di “costruito”: precisamente tutto ciò che viene realizzato manualmente fa parte della natura perché l’uomo è parte della natura. Le biosfere, costruite con un materiale speciale e brevettato dallo stesso artista, fanno pensare a leggere bolle di sapone intrappolate in un labirinto di tensostrutture simili a ragnatele giganti; un sistema di corde fissate al pavimento, al soffitto e alle pareti le sostiene creando una perfetta e continua sinergia delle parti e ne mantiene in tensione la struttura disegnando un’ambientazione quasi surreale. Alcune sfere, superando la distinzione tra geometrico e biologico, racchiudono veri e propri ecosistemi, giardini aerei come quello delle tillandsie, piante aerofile senza radici originarie del Centro e Sud America; altre, invece, sono raggruppate in strutture di Weaire- Phelan, che permettono la partizione dello spazio in celle di eguale volume con la minima estensione superficiale. Due sfere sono abbastanza grandi da permettere l’ingresso dei visitatori: ridotte alla massima trasparenza e leggerezza, esse dipendono totalmente dall’interazione e la struttura interna cambia ogni volta che un nuovo individuo entra nell’installazione mentre la dimensione fisica e sensibile finisce per prevalere su quella mentale e immaginaria. L’impressione è quella di muoversi dentro Ottavia, una delle città invisibili di Calvino, la “città-ragnatela” sospesa nel vuoto tra due montagne e legata alle creste con funi, catene e passerelle. La rete struttura la città, non la imprigiona. È la città stessa a insegnare ai suoi abitanti a vivere, offrendo loro un diverso punto di vista, un’ottica rovesciata.

Voler vivere nelle Cloud Cities significa creare l’idea di un’architettura mobile, aerea, frutto di una visione aperta, transnazionale che ridisegna i propri confini sociali, nazionali e razziali dando forma nuova ai comportamenti umani. Tomás Saraceno considera la sperimentazione come premessa ideale per la realizzazione di un’utopia. Non si tratta però del non-luogo moriano che rimanda al sogno rinascimentale di una società perfetta sulla fittizia isola-regno; quelle di Saraceno sono “utopie realizzabili”, che esistono finché non vengono create, sicché anche idea e significato del termine stesso sono in costante evoluzione. E il lavoro di Saraceno disegna l’evoluzione di un’utopia.
L’arte assume un nuovo significato che supera la valenza prettamente estetica e si trasforma in strumento funzionale per l’umanità. Le Cloud Cities incarnano il tentativo di superare le spaventose distopie del presente che fanno pensare a un avvenire dove le tendenze sociali dominanti potrebbero arrivare a estremi apocalittici e offrono un “futuro al plurale” in un cambio di una prospettiva che responsabilizza ogni singolo individuo, restituendogli il libero arbitrio di sperimentare nuovi modi di vivere.

L’installazione “Cloud Cities” è inserita nell’ambito dei “Dornbacht Installation Projects”, evento a cadenza annuale promosso dall’azienda tedesca Dornbracht, nato dalla collaborazione con Udo Kittelmann e la Kölnischer Kunstverein, portato avanti con il Museo d’Arte Moderna di Francoforte e, a partire dal 2010, anche con la Galleria Nazionale di Berlino. Una partnership tra pubblico e privato con l’obiettivo di finanziare e promuovere nuove produzioni di artisti selezionati.



Valentina Marinone, nata nel 1982, consegue nel 2008 il Master in Art Management. Dal 2010 è art director presso la Galleria VBM 20.10 contemporary arts & design, a Berlino.