Juliet Anno 32 Numero 157 aprile-maggio 2012
Le Città Nuvola
Immancabilmente l’Hamburger Bahnhof si dimostra in grado di superare il modello di museo-archivio, luogo sterile e alieno calato in un’atmosfera eccessivamente formale e “intimidatoria”, riproponendosi nuovamente “Museum für Gegenwart”, luogo della e per la contemporaneità.
Rivedendo e modificando le convenzioni specifiche caratterizzanti le istituzioni museali, l’arte contemporanea è in grado di assicurare un contributo all’educazione pubblica, ampliandone la partecipazione attiva. Le Cloud Cities di Tomàs Saraceno sfumano i confini tra educazione e intrattenimento, promuovendo un processo di scoperta che comporta il coinvolgimento dinamico e diretto dello spettatore.
Nell’ ex-sala d’attesa di quella che era una stazione ferroviaria, l’artista argentino prosegue nella sua ricerca di esplorazione e re/interpretazione della realtà contemporanea portando in scena il rapporto simbiotico tra l’ambiente e l’essere umano. La concettualizzazione astratta, associata alla sperimentazione attiva, viene rappresentata attraverso una gigantesca installazione modulare, all’ interno della quale l’artista, le cui opere nascono dalla collaborazione con ingegneri e astrofisici e sono notevolmente influenzate dalla sua formazione come architetto, congloba circa venti “biosfere”, trasparenti cupole geodetiche alla Bückminster Fuller che galleggiano tra cielo e suolo sotto l’ossatura severa di ferro e vetro dell’Hamburger Bahnhof.
Sferiche e aeree, apparentemente libere dai limiti imposti dalla forza gravitazionale, le sfere di Saraceno incarnano il prototipo per un inedito progetto di “cittá-volante”, una sfida alle nostre restrizioni culturali e sociali: citta-nuvola come metafora del futuro, forme galleggianti ed adattabili al contesto esterno che cambiano da un momento all’altro e sono in costante evoluzione.
E noi, come vorremmo vivere nel futuro? Conformemente all’idea vitruviana, l’architettura serve a creare uno spazio congruo all’uomo, pensato a sua misura e in grado di garantire il vivere civile. Saraceno, attraverso un modus operandi che si colloca a metà tra architettura e ricerca ecologica, cerca di dare nuova forma agli spazi sociali e ai comportamenti umani alterando la visione secondo la quale “naturale” è l’antitesi di “costruito”: precisamente tutto ciò che viene realizzato manualmente fa parte della natura perché l’uomo è parte della natura. Le biosfere, costruite con un materiale speciale e brevettato dallo stesso artista, fanno pensare a leggere bolle di sapone intrappolate in un labirinto di tensostrutture simili a ragnatele giganti; un sistema di corde fissate al pavimento, al soffitto e alle pareti le sostiene creando una perfetta e continua sinergia delle parti e ne mantiene in tensione la struttura disegnando un’ambientazione quasi surreale. Alcune sfere, superando la distinzione tra geometrico e biologico, racchiudono veri e propri ecosistemi, giardini aerei come quello delle tillandsie, piante aerofile senza radici originarie del Centro e Sud America; altre, invece, sono raggruppate in strutture di Weaire- Phelan, che permettono la partizione dello spazio in celle di eguale volume con la minima estensione superficiale. Due sfere sono abbastanza grandi da permettere l’ingresso dei visitatori: ridotte alla massima trasparenza e leggerezza, esse dipendono totalmente dall’interazione e la struttura interna cambia ogni volta che un nuovo individuo entra nell’installazione mentre la dimensione fisica e sensibile finisce per prevalere su quella mentale e immaginaria. L’impressione è quella di muoversi dentro Ottavia, una delle città invisibili di Calvino, la “città-ragnatela” sospesa nel vuoto tra due montagne e legata alle creste con funi, catene e passerelle. La rete struttura la città, non la imprigiona. È la città stessa a insegnare ai suoi abitanti a vivere, offrendo loro un diverso punto di vista, un’ottica rovesciata.
Voler vivere nelle Cloud Cities significa creare l’idea di un’architettura mobile, aerea, frutto di una visione aperta, transnazionale che ridisegna i propri confini sociali, nazionali e razziali dando forma nuova ai comportamenti umani. Tomás Saraceno considera la sperimentazione come premessa ideale per la realizzazione di un’utopia. Non si tratta però del non-luogo moriano che rimanda al sogno rinascimentale di una società perfetta sulla fittizia isola-regno; quelle di Saraceno sono “utopie realizzabili”, che esistono finché non vengono create, sicché anche idea e significato del termine stesso sono in costante evoluzione. E il lavoro di Saraceno disegna l’evoluzione di un’utopia.
L’arte assume un nuovo significato che supera la valenza prettamente estetica e si trasforma in strumento funzionale per l’umanità. Le Cloud Cities incarnano il tentativo di superare le spaventose distopie del presente che fanno pensare a un avvenire dove le tendenze sociali dominanti potrebbero arrivare a estremi apocalittici e offrono un “futuro al plurale” in un cambio di una prospettiva che responsabilizza ogni singolo individuo, restituendogli il libero arbitrio di sperimentare nuovi modi di vivere.
L’installazione “Cloud Cities” è inserita nell’ambito dei “Dornbacht Installation Projects”, evento a cadenza annuale promosso dall’azienda tedesca Dornbracht, nato dalla collaborazione con Udo Kittelmann e la Kölnischer Kunstverein, portato avanti con il Museo d’Arte Moderna di Francoforte e, a partire dal 2010, anche con la Galleria Nazionale di Berlino. Una partnership tra pubblico e privato con l’obiettivo di finanziare e promuovere nuove produzioni di artisti selezionati.
Valentina Marinone, nata nel 1982, consegue nel 2008 il Master in Art Management. Dal 2010 è art director presso la Galleria VBM 20.10 contemporary arts & design, a Berlino.>