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Juliet Anno 32 Numero 156 febbraio-marzo 2012



Carlo Piemonti. Piante, linee, territorio

Giulia Bortoluzzi



Art magazine


SOMMARIO N. 156


INCHIESTA - DIBATTITO


8 | L’arte della sopravvivenza. Inchiesta-dibattito

sull’impegno etico-civile / Luciano Marcucci


Recensione

54 | Henrik Olesen. Quel che resta del vuoto / Maria Cristina Strati

62 | Edvard Ciani. Foto di reportage / Adriano Perini

68 | Carlo Piemonti. Piante , linee, territorio / Giulia Bortoluzzi

75 | Kristian Sturi. Hunter / Stefano Cangiano

80 | Andare lavorare camminare / Bruno Sullo


Intervista

42 | Piero Gilardi. Dal naturale all’artificiale / Roberto Vidali

58 | Forme della committenza. Testimonianze dal festival di Faenza

/ Luciano Marucci

64 | Venere Chillemi. E i semi di sesamo / Willy Darko

73 | Domenico Borelli. Respiri congelati / Alessandro Carrer

76 | Back home. Ritorno a casa / Maria Vinella

77 | Stefano W. Pasquini. E l’orizzontalità / Luca Rossi

78 | Mauro Covacich. Scrivere è mentire / Serenella Dorigo


Focus

46 | Zao Wou-Ki. Tra Oriente e Occidente / Franco Savadori

48 | Bibliophilia. Leto Gallery, Warsaw / Fabio Fabris

52 | Emilio Isgrò, il sacro incancellabile. Calendario d’autore 2012

/ Luciano Marucci

60 | Documents d’Artistes. Mappa della creazione artistica

/ Stefania Meazza

65 | Sadar+Vuga. Centro sportivo multifunzionale a Ljubljana

/ Paola Ricco

69 | Marco Dianese. The Cherry on the Cake / Rosanna Boraso

70 | Beatrice Bonzanigo. BB Arca / S. P Gorney
.
72 | Matteo Rosa. E l’insostenibile leggerezza / Paola Vettorazzi


Reportage

50 | Graz 2011. Joanneumsviertel / Chiara Longari

56 | Women Artists from Turkey / Emanuele Magri


Pensiero d'artista

67 | C’è troppo silenzio nei musei / Pino Boresta


Fotoritratto

66 | Erika Skabar / Carlo Pacorini

71 | Roberta Radini / Fabio Rinaldi

74 | Alessandro Sartore / Martina Fiorenza

79 | Guglielmo Castelli / Simona Cupoli

Rubrica

81 | P .* Piotr Hanzelewicz / Angelo Bianco

82 | H-o del pubblico / Angelo Bianco

83 | Stupidè / Giacomino Pixi

84 | Hubout / SQSM

Spray

86 | Recensioni e mostre

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Carlo Piemonti
City, n. 9

Carlo Piemonti
People n. 21

Avvicinandosi alle opere di Carlo Piemonti si ha l’impressione di osservare delle piante, delle linee che disegnano il territorio, che delimitano, che segnano. Sono tratti oculati che mirano alla realizzazione di un’architettura, cioè di un’immagine finita. Ma sono linee essenziali.
Senza di esse l’immagine non avrebbe più lo stesso significato, non rappresenterebbe più ciò che noi oggi vediamo.Il profilo è dunque il segno necessario all’identificazione della figura disegnata, senza di esso non avremmo significato perché non avremmo un’immagine che ci parla di qualcosa. Il segno in semiotica è, infatti, ciò che unisce il soggetto che percepisce all’oggetto percepito. Allo stesso modo i profili di Piemonti creano un ponte tra la rappresentazione grafica che egli ne dà e l’interpretazione alla quale ciascuno di noi è portato.
Questi sono i profili di persone, città e fiori. Profili che nella loro diversità mantengono quel carattere unitario di semplicità e presenza ben ancorata, riconoscibilità e chiarezza. E questo non solo nella pulizia delle linee ma anche nella dicotomia del colore, nella bidimensionalità del bianco e del nero che è quasi una radiografia della società. Il tratto infatti è completamente in armonia con la modalità cromatica scelta da Piemonti, che si mantiene su di una linea di essenzialità ma non per questo meno profonda. Tutt’altro, in un mondo dove la confusione e il caos s’impongono sul silenzio, la nettezza del segno come del colore preserva l’immagine in un aurea di spontanea pulizia.Altra caratteristica essenziale nella pittorica di Carlo Piemonti è la componente distanza. Mi spiego meglio: osservando queste opere si ha l’impressione di situarsi, come in automatico, dietro un vetro o una grande finestra. Dei tratti marcati sono disposti là sulla tela, in primo piano, come a confermarcelo. Come una sorta di elemento disturbante provocano un distacco tra l’osservatore e l’osservato.
Quasi come una pioggia o una perturbazione che s’impone allo sguardo, non per comprometterlo o distruggerlo bensì per creare un distacco, una separazione tra il mondo e l’occhio.

Alla fin fine potremmo dire che ogni gesto umano, in primo luogo quello artistico, crei una separazione o trasformazione del mondo nell’avvicinamento che ne consegue. L’occhio per primo va a sezionare questa realtà e ce la riporta come una nuova trasformazione. Come dice Merlau-Ponty nel saggio L’occhio e lo spirito “La scienza manipola le cose e rinuncia ad abitarle”, ma il pittore mette in campo qualcosa di diverso dalla scienza cioè il suo corpo. La distanza che necessariamente sussiste tra sé e le cose, e che è doveroso conservare, può essere attraversata col corpo, cosa che uno spirito non potrebbe mai fare.Sempre Merlau-Ponty dice “è prestando il suo corpo al mondo che il pittore muta il mondo in pittura. Per comprendere questa transustanziazione, bisogna ritrovare il corpo operante e presente, che non è una parte di spazio, un fascio di funzioni, ma che è un intreccio di visione e movimento”. Ecco dunque l’importanza di questa distanza che separa e al contempo unisce il pittore al segno tracciato sulla tela da Piemonti. È la traccia di quel farsi corpo che solo permette di irrompere nella realtà coi propri occhi. Ed e così che si materializzano questi profili chiamati “People”, “City” e “Flowers”.

Free Flowers è una serie composta agli inizi del 2010, riprende i motivi vegetali come metafora dell’umano. A mio avviso questi splendidi fiori se ne stanno distesi sulla tela come giovani donne che godono nel farsi ammirare. Sono pacifici e immobili nella loro freschezza e purezza, liberano quasi un profumo d’inverno. Essi esauriscono la loro essenza nell’essere null’altro che segni puri e semplici, la sola traccia del passaggio della mano di Piemonti incide lo sguardo, creando il fiore.

People è una serie iniziata sempre nel 2010 e nel complesso ritrae profili di persone non troppo definite in scene di vita quotidiana. Il movimento è una componente preponderante di queste tele in quanto rappresentano quasi sempre scene dinamiche, colte nella loro naturalezza e spontaneità. Come delle fotografie o delle vetrine sull’oggi immobilizzano incontri o scontri di “people”, appunto. S’intravede già nell’orizzonte di alcune opere il profilo di New York, componente di prim’ordine per la serie successiva, ovvero “City”.

City è sicuramente una serie un po’ più complessa ed elaborata delle altre due. Sempre del 2010 traccia profili di città o di frammenti di città. Anche queste tendenzialmente colte nel loro dinamismo, come in delle cartoline disegnate ad personam. Sono profili di città in movimento che godono della loro bellezza e la stampano nel tempo: Trieste, Kiev, Istanbul, New York.